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NGO Shipbreaking Platform denuncia che il 60% delle demolizioni navali avviene ancora sulle spiagge del sud-est asiatico
Delle 768 navi smantellate nel corso del 2015, 469 sono state demolite sulle spiagge di Bangladesh, India e Pakistan
5 febbraio 2016
Oltre il 60% delle navi demolite complessivamente nel corso del 2015 sono state smantellate sulle spiagge del sud-est asiatico in stabilimenti che non rispetterebbero gli standard internazionali in tema di lavoro e di protezione dell'ambiente. La denuncia è della NGO Shipbreaking Platform, piattaforma che riunisce organizzazioni non governative attive nella salvaguardia dei diritti umani, del lavoro e dell'ambiente, che ha raccolto dati sulle attività di demolizione navale svolte nel 2015 nel mondo censendo un totale di 768 navi smantellate nel corso dell'anno, di cui 469 sulle spiagge di Bangladesh, India e Pakistan «ove - ha denunciato NGO - le strutture di demolizione navale non garantiscono il rispetto dei più fondamentali diritti dei lavoratori, ignorano le leggi internazionali in tema di gestione dei rifiuti e violano normative ambientali».
«Nonostante l'attenzione riservata a livello internazionale al problema dello smantellamento navale sulle spiagge asiatiche meridionali - ha sottolineato Patrizia Heidegger, direttore esecutivo della NGO Shipbreaking Platform - le statistiche dell'anno 2015 dimostrano che la maggior parte degli armatori non ha cambiato minimamente le proprie politiche di demolizione, prediligendo i peggiori luoghi di demolizione al mondo quali il Bangladesh. Numerosi adolescenti vengono impiegati nello smantellamento manuale delle imbarcazioni a fine vita sulla piana tidale di Chittagong».
L'organizzazione non governativa ha sottolineato che alcuni armatori «deliberatamente scelgono l'Asia meridionale come destinazione finale per lo smantellamento vendono le vecchie navi ai cosiddetti cash-buyers. Si tratta - ha spiegato la NGO - di società specializzate nel mercato del tonnellaggio giunto a fine vita. I cash-buyers offrono agli armatori il prezzo più alto possibile come corrispettivo della vendita, assumendosi in toto le responsabilità relative alla gestione delle imbarcazioni durante l'ultima fase del ciclo di vita delle stesse. Le navi commerciali contengono grandi quantità di materiali tossici come amianto, morchie e vernici composte da metalli pesanti. Per le imprese navali è meno conveniente, da un punto di vista esclusivamente economico, optare per un riciclaggio sicuro e pulito in strutture all'avanguardia. Rottamare una nave in India, Pakistan o Bangladesh è vantaggioso visti i bassi costi della manodopera e le scarse prescrizioni ambientali. A ciò poi si aggiungono le condizioni del mercato dell'acciaio, le quali al momento sono più favorevoli in Asia meridionale rispetto ad altre aree del globo».
La NGO ha precisato che «nel 2015, nel solo Bangladesh, sedici lavoratori hanno perso la vita a causa di incidenti quali esplosioni e cadute da grandi altezze. Alcuni lavoratori sono rimasti schiacciati da grandi lastre d'acciaio. Almeno ventidue persone sono rimaste ferite ed alcune di esse sono ancora in attesa di ricevere un adeguato trattamento medico. Moltissimi altri lavoratori si sono ammalati inalando fibre d'amianto e fumi tossici quali quelli prodotti dalle fiamme ossidriche durante le operazioni di taglio dello scheletro d'acciaio delle navi». L'organizzazione non governativa ha ricordato che, «secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, si tratta di uno dei lavori più pericolosi al mondo. Anche le strutture pakistane di Gadani - ha rilevato la NGO - risultano essere poco sicure; è evidente la mancanza di infrastrutture e metodi in grado di assicurare una gestione appropriata dei rifiuti pericolosi che si trovano a bordo delle imbarcazioni. In India - ha specificato l'organizzazione - passi in avanti sono stati fatti da alcuni operatori: quattro siti di smantellamento, per esempio, sono stati riconosciuti come rispondenti ai requisiti della Convenzione di Hong Kong dalla società di classificazione giapponese ClassNK (inforMARE del 5 ottobre 2015). Tuttavia la Platform nutre ancora preoccupazioni riguardanti l'area di smantellamento intertidale primaria priva di qualsivoglia sistema di protezione ambientale, la mancanza di alloggi e strutture sanitarie per i lavoratori e la mancanza di una gestione “downstream” dei rifiuti. I siti di smantellamento situati in altre parti del mondo - ha chiarito inoltre la NGO - non operano tutti necessariamente in maniera sostenibile. Molte società di demolizione cercheranno di essere incluse nell'elenco europeo delle strutture di riciclaggio navale approvate. Solamente quelle che rispondono ai requisiti comunitari e non causano l'inquinamento di spiagge e ambienti costieri saranno approvate».
Shipbreaking Platform ha elencato alcuni degli incidenti più gravi avvenuti l'anno scorso nel corso delle attività di smantellamento delle navi: vi è stata - ha ricordato l'organizzazione - «una terribile esplosione di gas nei pressi del sito di smantellamento Shitol Enterprise in Bangladesh. Lo scheletro dell'imbarcazione battente bandiera di St. Kitts e Nevis, una tipica bandiera utilizzata per l'ultimo viaggio delle navi a fine vita, giaceva sulla spiaggia di Chittagong quando lo scoppio di un cilindro ha ucciso sul colpo quattro lavoratori e ne ha infortunati altrettanti. La nave sulla quale tale tragico evento ha avuto luogo apparteneva all'armatore greco Universal Shipmanagement Corporation; l'azienda, probabilmente con la cooperazione di un cash-buyer, aveva venduto l'imbarcazione qualche mese prima della tragedia a Shitol, senza preoccuparsi della qualità dei servizi offerti dallo smantellatore».
Secondo Shipbreaking Platform, è la Grecia la prima nella classifica dei peggiori inquinatori «con più - ha specificato l'organizzazione - di settanta navi demolite in Asia meridionale. A livello globale, la Grecia è seguita da Cina, Germania, Corea del Sud, Russia e Giappone. A livello europeo, precede Germania, Regno Unito, Cipro, Italia, Svizzera, Norvegia e Polonia. Per la prima volta dopo diversi anni - ha precisato ancora l'organizzazione - il Bangladesh figura come la meta preferita dagli armatori che hanno deciso di smantellare le proprie navi».
Per quanto riguarda l'Italia, Shipbreaking Platform ha spiegato che «nel 2015 otto navi appartenenti ad armatori italiani sono state smantellate nel mondo. Gli armatori Saipem Spa, Enermar Transporti Srl e il Gruppo Ferrovie dello Stato - ha rilevato l'organizzazione - hanno optato per le strutture di riciclaggio di Aliaga, in terra turca, a cui hanno venduto complessivamente quattro navi». L'organizzazione non governativa ha invece lamentato che navi delle società armatoriali Ignazio Messina, Grimaldi Group e Cafiero Mattioli sono state demolite negli stabilimenti del sud-est asiatico.
NGO Shipbreaking Platform ha invitato la Confederazione Italiana Armatori (Confitarma) «a dissociarsi dalle pratiche di demolizione non sostenibili. È giunta l'ora - ha affermato Nicola Mulinaris, communications and legal advisor dell'organizzazione non governativa - che il settore marittimo prenda finalmente coscienza del problema e che alle parole seguano i fatti. Vi sono già aziende che hanno optato per un riciclaggio navale sicuro e pulito. Le alternative pertanto sono reali e percorribili. Anche a livello governativo - ha proseguito Mulinaris - è necessaria più determinazione non solo nel garantire il rispetto delle normative europee ed internazionali ma anche nel promuovere le competenze dei porti italiani. Alla luce dei recenti sviluppi legislativi nell'Unione Europea, le strutture di riciclaggio italiane, come quelle presenti a Piombino e Genova, potrebbero affermarsi quali leader nel settore».
L'organizzazione ha tuttavia evidenziato che «le recenti adozioni di politiche aziendali di smantellamento navale sicuro e pulito da parte di un gruppo di armatori dimostrano che vi è speranza e che vi sono già alternative percorribili. L'Unione Europea - ha ricordato la NGO - pubblicherà entro la fine del 2016 un elenco delle strutture di demolizione approvate in quanto rispondenti ai requisiti europei. Solo le navi battenti bandiera europea dovranno essere smantellate nelle strutture approvate. Tuttavia la lista sarà uno strumento utile anche per quegli armatori che possiedo esclusivamente imbarcazioni battenti bandiere non europee. Essi infatti potranno in forma volontaria avvalersi delle informazioni contenute in tale documento e optare per un riciclaggio in linea con gli standard comunitari. Ciò soddisferà senz'altro coloro che esigono un cambiamento di rotta da parte dell'industria della demolizione navale».
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