Mentre gli altri paesi liberalizzano i servizi l'Italia è l'unica ad attuare normative restrittive ed indefinite sulla prevenzione. L'accusa viene lanciata oggi dal Comitato Nazionale di Coordinamento degli Utenti e degli Operatori Portuali, che ritiene che i porti italiani siano «i più penalizzati in Europa».
Obiettivo dell'attacco degli utenti è il decreto ministeriale 293/2001 con il quale l'Italia ha attuato la direttiva europea relativa al trasporto di merci pericolose.
A distanza di due anni dall'emanazione - hanno spiegato gli utenti portuali - il decreto del ministero dell'Ambiente relativo al controllo di eventuali incidenti determinati dalla movimentazione di sostanze pericolose, il cosiddetto "decreto Seveso II", non ha ancora trovato un precisa attuazione in Italia, mentre l'Unione Europea sta operando in maniera opposta e sta per varare la liberalizzazione dei servizi nei porti.
La legge italiana nata dalla direttiva comunitaria Seveso II - ha sottolineato il presidente del Comitato, Giorgio Fanfani - è diretta a regolamentare gli stabilimenti industriali definiti a rischio. La complessa struttura è riferita in effetti a realtà operative che detengono e lavorano merci pericolose in un ambito ben definito quale l'impianto industriale. La realtà esistente nell'ambito portuale determina una notevole stortura sia sotto il profilo giuridico che tecnico.
Il decreto n. 293/2001 già attuato nei singoli stabilimenti industriali - hanno precisato gli utenti - non aggiunge nulla in termini di maggiore sicurezza in ambito portuale. Il risultato che si ottiene - ha detto Fanfani - è di appesantire l'attività degli organi di controllo su quanti devono vigilare sulle operazioni portuali, attribuendo loro nuove incombenze di carattere solo burocratico e procedurale ignorando ogni obiettivo di semplificazione e razionalizzazione. Secondo gli utenti portuali si tratta ancora una volta si tratta di una fuga in avanti in Italia nel recepimento di norme comunitarie, adottate solo nel nostro Paese in ambito portuale, che compromette seriamente la competitività degli scali nazionali rispetto a quella degli altri stati membri.
Il problema - ha spiegato il Comitato - si potrebbe risolvere con un tavolo di concertazione e con interventi delle diverse amministrazioni interessate per facilitare l'attività portuale senza creare intralci, limitazioni o blocchi operativi, come accade, in una realtà economica così rilevante per il nostro Paese quale quella portuale.
Oggi gli operatori portuali - ha detto Fanfani - sono bersagliati da richieste di dati da parte delle autorità portuali e marittime, che fanno riferimento ad un decreto che non dispone della definizione del proprio campo di applicazione. Le attività portuali per operare - ha concluso il presidente degli utenti portuali - hanno bisogno di regole precise e chiare, non confuse e contraddittorie; sicurezza e chiarezza delle norme sono necessarie per poter mantenere competitivi i nostri porti non qualificandoli come stabilimenti industriali.