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- Oggi, per celebrare i venticinque anni dalla sua istituzione, la Federazione del Mare ha organizzato a Roma, presso il CNEL, la presentazione della sesta edizione del Rapporto sull'economia del mare realizzato con il Censis, che aggiorna i dati delle edizioni precedwenti e ne amplia l'analisi all'Europa (a cura di Cogea) e al Mediterraneo (a cura di Srm-Gruppo Banca Intesa), abbinata alla presentazione dello studio “Cinquant'anni di economia marittima in Italia: evoluzione e prospettive tra XX e XXI secolo” realizzato sempre dal Censis con il contributo di Federazione del Mare, dei gruppi d'Amico e Grimaldi e di Ucina-Confindustria Nautica. La manifestazione è stata presieduta da Tiziano Treu, presidente del CNEL, e da Mario Mattioli, presidente della Federazione del Mare.
- Treu ha sottolineato che «il valore prodotto dall'economia del mare e la sua importanza socio-economica con le significative ricadute occupazionali del cluster marittimo, sia dirette che indotte nel resto dei settori della nostra economia, sono fattori indispensabili per lo sviluppo del Paese. Il Rapporto - ha aggiunto il presidente del CNEL - evidenzia il rilievo strategico del settore marittimo e, sulla base di un attento esame dei dati, conferma lo sviluppo e i successi raggiunti, indicando anche le sfide che si devono affrontare sia in Europa che nel Mediterraneo, in una fase storica particolarmente delicata come è quella attuale. Da non dimenticare - ha rilevato Treu - che questo settore è trasversale a molti altri ed in alcuni casi indispensabile».
- Treu ha ribadito che, per concretizzare le opportunità, è fondamentale investire in logistica e sui porti, nodi strategici del sistema infrastrutturale italiano, sia a livello locale che nazionale, ed ha ricordato che proprio per questo il CNEL ha presentato tre disegni di legge sulla logistica, nati da un lungo ciclo di audizioni con le 34 organizzazioni più rappresentative. «Puntare sul sistema logistico legato all'economia del mare - ha spiegato - significa rafforzare l'offerta del nostro Paese sul fronte dell'esportazione oltremare e del turismo crocieristico. Quindi favorire lo sviluppo anche a livello dei territori».
- «Quella legata al mare - ha concordato il presidente della Federazione del Mare - è una realtà che per il suo rilievo e la sua integrazione richiederebbe una più efficace e coerente attenzione sul piano politico e amministrativo, questione quanto mai sentita tra i soggetti pubblici e privati che in essa operano da quando le competenze marittime sono state progressivamente disperse tra più dicasteri, compromettendo le possibilità di elaborazione di una politica nazionale del settore e di una sua promozione in ambito europeo». «Non a caso - ha osservato Mario Mattioli - un deciso processo di ammodernamento normativo ne ha assicurato la competitività e favorito lo sviluppo, con le riforme del sistema portuale nel 1994 e nel 1998 della navigazione mercantile internazionale. Tali riforme hanno liberato risorse e portato ingenti investimenti, con ricadute positive per tutto il cluster marittimo».
- «L'impatto delle attività legate al mare - ha proseguito Mattioli - va ben oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione logistica e tocca direttamente l'intero apparato produttivo nazionale, agricolo e industriale, tanto che al cluster marittimo vengono attribuiti beni e servizi per un valore pari al 2% del PIL complessivo e al 3,5% della sua componente non statale, con acquisti di beni e servizi nel resto dell'economia italiana che sfiora annualmente i due terzi del valore prodotto dalle stesse attività marittime. L'auspicio della Federazione - ha concluso Mattioli - è quindi che anche in Italia, accanto al rafforzamento dell'attenzione dedicata al mare, si giunga all'istituzione di un'unità amministrativa specifica con poteri di coordinamento, in modo che una catena di comando ben integrata porti ad una maggior efficacia nell'adozione e nell'attuazione delle decisioni in campo marittimo (tra queste in primis una semplificazione burocratica) e sia in grado di farlo in tempi conformi agli standard europei e internazionali caratteristici di questo mondo».
- Le analisi contenute nella sesta edizione del Rapporto sull'economia del mare sono riferite al triennio 2015-2017 e certificano i progressi effettuati dai singoli comparti che compongono il cluster marittimo italiano. La Federazione del Mare ha evidenziato che il Rapporto precedente (pubblicato nel 2015 e riferito agli anni 2011-2013) guardava ad un Paese ancora pesantemente coinvolto dagli strascichi della profonda crisi dalla quale il Mondo intero cercava di affrancarsi, mentre negli anni seguenti il commercio mondiale e il Pil dei grandi Paesi sono tornati a crescere restituendo fiato e prospettive a tutto il sistema.
- Il cluster marittimo italiano si conferma infatti uno dei settori più dinamici dell'economia italiana. In tre anni (2015-2017) è cresciuto in valore del +5,3%, contribuendo al PIL nazionale per 34,3 miliardi di euro. Anche l'occupazione diretta è cresciuta (del +5,7% complessivamente) e il cluster assorbe oggi un'occupazione complessiva (tra addetti diretti ed indotto) pari a circa 529mila unità di lavoro (il 2,2% della forza lavoro del Paese).
- Il cluster marittimo industriale mantiene un notevole equilibrio tra le sue componenti. In termini di valore della produzione il 41,9% è attribuibile ai trasporti marittimi (12,3 miliardi di euro), il 22,1% alla logistica portuale e servizi ausiliari (6,5 miliardi di euro), il 20,7% alla navalmeccanica (6,1 miliardi di euro), il 9,4% alla cantieristica da diporto (2,8 miliardi di euro), il 5,8% alla pesca (1,7 miliardi di euro).
- Il 78,9% del valore generato viene dalle attività produttive in senso proprio (il trasporto marittimo, la cantieristica navale e da diporto, le attività logistiche portuali, la pesca); il 13,6% è generato invece da attività istituzionali (Marina Militare, Guardia Costiera, Capitanerie di Porto, Autorità Portuali). A ciò si aggiunge un ulteriore 7,5% determinato dalle spese sul territorio nazionale di diportisti e croceristi.
- L'impatto sull'economia italiana delle attività marittime va oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione trasportistica e coinvolge direttamente anche i settori produttivi, manifatturieri e terziari, dell'economia. Il cluster marittimo industriale spende annualmente in acquisti di beni e servizi circa 20,5 miliardi di euro.
- A livello più generale, le attività marittime presentano un elevato livello di integrazione con il resto dell'economia nazionale. Lo dimostra il fatto che ogni 100 euro investiti dai soggetti del cluster marittimo generano un effetto moltiplicatore di 226 euro, mentre ogni 100 nuovi posti di lavoro nelle attività marittime ne determinano 173 nell'economia.
- Per quanto concerne la ripartizione dell'occupazione diretta, il 33,3% è impiegata nei trasporti marittimi, il 22,3% nella logistica portuale e servizi ausiliari, il 19,7% nella pesca, il 15,9% nell'industria navalmeccanica e l'8,8% nella cantieristica da diporto.
- Negli ultimi tre anni considerati (2015-2017) il valore della produzione è cresciuto soprattutto nella navalmeccanica (+9,5%, ma +46,2% considerando solo la cantieristica navale maggiore) nella cantieristica da diporto (+14,2%) e nella logistica portuale (+5,7%).
- Per contro, l'occupazione ha mostrato i trend evolutivi più significativi nel trasporto marittimo (+8,1%) e nella logistica portuale (+6,3%).
- Il valore della produzione per unità di lavoro nel cluster marittimo è di circa 206.000 euro/anno, con una produttività di 259.000 euro nei trasporti marittimi, 204.000 nella logistica portuale, 269.000 nell'industria navalmeccanica (che nei cantieri maggiori è quasi 500.000 euro), 220.000 nella nautica da diporto e 61.000 nella pesca. Valori significativamente superiori a quelli delle grandi branche economiche nazionali di riferimento: trasporti e magazzinaggio 165.000 euro per addetto, industria manifatturiera 282.000 euro per addetto e agricoltura 48.000 euro per addetto.
- Anche il valore aggiunto per unità di lavoro nel cluster marittimo, pari a 72.000 euro/anno, è superiore a quello di settori come le costruzioni, il commercio, il tessile e l'alimentare.
- Nella seconda parte della mattinata odierna si è svolta una tavola rotonda incentrata sullo studio “Cinquant'anni di economia marittima in Italia: evoluzione e prospettive tra XX e XXI secolo” che rappresenta un significativo affresco storico, mettendo a fuoco il ruolo imprescindibile dell'industria armatoriale italiana nell'equilibrio produttivo del Paese, ricostruendo il valore economico e occupazionale della nostra cantieristica e descrivendo l'evoluzione della portualità nazionale nel sistema trasportistico europeo e negli scenari della globalizzazione, come di quella della nautica da diporto e della pesca.
- Sono intervenuti alla tavola rotonda, condotta da Giorgio De Rita, segretario generale del Censis: Lucio Caracciolo (Limes), Francesco Dandolo (Università di Napoli), Luigi Giannini (Federpesca), Carlo Lombardi (Federazione del Mare), Roberto Perocchio (Ucina), Giovanni Pettorino (Comandante generale Corpo Capitanerie di Porto - Guardia Costiera), Gianpaolo Polichetti (Grimaldi Lines).
- «Se si guarda all'Italia della fine degli anni Sessanta e la si confronta con l'attuale - ha rilevato Mario Mattioli nel corso della tavola rotonda - si può tranquillamente affermare che in questi cinquant'anni moltissimo (forse quasi tutto) è cambiato, almeno sul piano politico-sociale ed economico. Quello che ritroviamo invariato è però certamente il fatto che, oggi come allora, in Italia riveste un ruolo strategico ai fini dello sviluppo la nostra economia marittima, date le ampie dimensioni sue e del suo indotto, il ruolo importante che riveste il mare per la logistica delle persone e delle merci, la pronunciata dipendenza dagli approvvigionamenti marittimi dell'industria manifatturiera, il forte turismo crocieristico e nautico, il ruolo della pesca, la prevalente natura peninsulare del territorio, la rilevanza delle città di mare. Di qui il grande interesse della Federazione del Mare per il progetto del Censis di approfondire il nesso tra le attività marittime nazionali e il nostro sviluppo socio-economico. Un interesse che si è tradotto in realtà anche grazie alla partecipazione dei gruppi armatoriali d'Amico e Grimaldi e di Ucina-Confindustria Nautica, trovando poi un'ulteriore motivazione con il venticinquennale della Federazione stessa».
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