La cinese ZPMC detiene una quota del 70% del mercato delle gru
di banchina e i mezzi portuali realizzati dall'azienda asiatica sono
utilizzati in oltre 100 nazioni, inclusi i porti statunitensi nei
quali circa l'80% delle gru è stato prodotto dalla ZPMC. Lo
evidenzia la relazione “U.S. Maritime Trade and Port
Cybersecurity” stilata nell'ambito del Public-Private Analytic
Exchange Program (AEP), il programma promosso dal Dipartimento della
Sicurezza Interna americano, per valutare il grado di vulnerabilità
del sistema statunitense dei trasporti marittimi rispetto ad
attrezzature e sistemi portuali forniti da altre nazioni.
Queste percentuali spiegano da sole qual è la posta messa
in gioco dal decreto firmato mercoledì dal presidente
americano Joe Biden che ha messo sul piatto più di 20
miliardi di dollari per aumentare la sicurezza delle infrastrutture
portuali nazionali e, in particolare, per rifornire gli scali
portuali statunitensi di gru “sicure”
(
del 21
febbraio 2024). Le gru “insicure” sono quelle cinesi
bollate recentemente come tali da un'indagine indagine della
Commissione ristretta per la competizione strategica tra gli Stati
Uniti e il Partito Comunista Cinese (PCC) della Camera dei
rappresentanti degli Stati Uniti
(
del 19
gennaio 2024).
Se il proposito annunciato da Biden di riportare negli USA la
produzione di gru portuali dopo 30 anni nei quali gli scali
nazionali hanno dovuto acquistare mezzi esteri non allarma
eccessivamente Pechino, dati i tempi necessari per attuare il
programma, il governo cinese è invece evidentemente
preoccupato per gli effetti che il decreto di Washington potrà
avere anche nel breve termine sul mercato dei mezzi portuali degli
USA e, a cascata, su quelli di altre nazioni. Venerdì la
portavoce del ministro degli Esteri di Pechino, Mao Ning, ha
sottolineato che «l'accusa secondo cui le gru prodotte in Cina
comportano rischi per la sicurezza è del tutto infondata».
Rispondendo ad una domanda posta dall'agenzia “Bloomberg”
sui rischi connessi alle gru cinesi, Ning ha affermato che il
governo cinese si oppone fermamente «al fatto che gli Stati
Uniti estendano eccessivamente il concetto di sicurezza nazionale e
abusino del potere dello Stato per perseguire prodotti e aziende
cinesi. Trasformare le questioni economiche e commerciali in un'arma
- ha denunciato la portavoce del dicastero cinese - accentuerà
i rischi per la sicurezza nell'ambito delle supply chain e dei
settori industriali globali e avrà un effetto boomerang. Gli
Stati Uniti devono rispettare i principi dell'economia di mercato e
della concorrenza leale ed offrire un quadro equo, giusto e non
discriminatorio alle aziende cinesi. La Cina - ha concluso -
continuerà a proteggere risolutamente i diritti e gli
interessi legittimi e leciti delle aziende cinesi».
L'associazione dei porti statunitensi, intanto, si è
schierata a sostegno del provvedimento di Washington: «i porti
americani - ha dichiarato mercoledì il presidente e
amministratore delegato dell'American Association of Port
Authorities, Cary Davis - lavorano a stretto contatto con i nostri
partner federali per mantenere i più elevati standard
possibili di sicurezza sia fisica che informatica. Accogliamo con
favore e plaudiamo alle azioni del presidente Biden che danno
ulteriore potere alla Guardia Costiera al fine di mantenere sicuri i
nostri porti e agli sforzi dell'amministrazione volti a sviluppare
la capacità di produzione nazionale di attrezzature chiave».
Specificando che l'industria marittima è pronta e disposta ad
incentivare la produzione nazionale di attrezzature portuali, l'AAPA
ha ricordato di aver stilato una specifica proposta legislativa, il
Crane Reshoring and National Enforcement of Supply Chain Security
(CRANES), ed ha esortato il Congresso a presentare e approvare
questo disegno di legge.
Non ci sono dubbi sul fatto che il decreto del presidente
americano abbia avviato una nuova fra le tante guerre commerciali
concluse e in corso tra Washington e Pechino. Per ora è un
conflitto dove ognuno cerca di tirare l'acqua al proprio mulino. Se
oggi l'American Association of Port Authorities plaude al
provvedimento del governo federale, e ai fondi che promette, lo
scorso marzo l'associazione dei porti statunitensi aveva rilevato
che neppure le gru portuali più moderne sono attualmente «in
grado di tracciare l'origine, la destinazione o la natura del
carico» e che «non sono state registrate violazioni
della sicurezza a causa dell'uso di gru nei porti statunitensi,
nonostante i resoconti allarmistici dei media». Sull'edizione
odierna del “China Daily”, da parte sua la
corrispondente americana del quotidiano cinese ha evidenziato come
l'associazione dei porti americani abbia ricordato che attualmente
le gru prodotte in Cina costano la metà di altri analoghi
mezzi disponibili sul mercato, senza specificare che l'AAPA aveva
precisato che il costo ridotto delle gru cinesi è determinato
dalle sovvenzioni alla loro produzione concesse da Pechino. Così
anche nell'articolo si afferma che la Virginia Port Authority «ha
comunicato di non avere alcuna intenzione di sostituire le sue gru
prodotte dalla ZPMC», quando in effetti Cathie Vick,
funzionaria dell'autorità portuale americana, ha dichiarato
ai giornali nazionali che «attualmente la Virginia Port
Authority non prevede di sostituire le gru prodotte dalla ZPMC».
Se per ora si gioca con le parole, vista la posta in gioco non
ci vorrà molto per passare ai fatti.