Nella migliore delle ipotesi, nel 2030 l'impatto dei cambiamenti
climatici sul commercio internazionale che transita attraverso tre
arterie marittime strategiche (chokepoints), ovvero il canale di
Panama, il canale di Suez e gli Stretti Turchi, causerà una
riduzione sino a 34 miliardi di dollari (prezzi del 2014) del
prodotto interno lordo mondiale. Lo evidenzia uno studio guidato dal
Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) che si
concentra sugli effetti di questo impatto sulla produzione e sui
prezzi delle materie prime agricole.
Il valore di questi ulteriori costi è stato stimato sulla
base di uno scenario SSP3 in termini di percorsi socio-economici
condivisi (Shared Socioeconomic Pathway) che ipotizza un'evoluzione
dell'economia mondiale che presenta un grado inferiore di
cooperazione commerciale internazionale a causa dei timori sulla
sicurezza alimentare e sulla dipendenza energetica.
Lo studio precisa che le perdite macroeconomiche derivanti dalle
restrizioni imposte dagli effetti dei cambiamenti climatici sulle
tre vie marittime sono trascurabili in termini di variazione
percentuale e vanno dal -0,02% del Pil mondiale nel caso del canale
di Panama al -0,004% nel caso del canale di Suez e al -0,002% nel
caso degli Stretti Turchi. Si tratta di riduzioni del prodotto
interno lordo globale - specifica lo studio - che sono
principalmente a carico degli importatori (80% del totale).
Lo studio rileva, inoltre, che, in uno scenario frammentato dal
punto di vista socio-economico come quello SSP3, gli effetti
macroeconomici della riduzione del traffico navale in queste tre
primarie arterie marittime risultano più pesanti rispetto ad
uno scenario SSP2 che presenta un livello medio di apertura degli
scambi commerciali internazionali.
Soffermandosi sulla valutazione dell'impatto dei cambiamenti
climatici sulle tre cruciali vie marittime, lo studio spiega che le
restrizioni al traffico navale nel canale di Panama sembrano essere
le più critiche originando gli impatti macroeconomici più
ampi, a livello globale e per i diversi gruppi di Paesi: tra gli
esportatori - precisa il documento - gli Stati Uniti e il Canada
sono chiaramente i perdenti a favore di Ucraina e India; l'area UE
risponde anche con incrementi della produzione agricola e delle
esportazioni, ma registra comunque, nel complesso, una performance
del Pil leggermente negativa; tutti gli importatori registrano un
calo delle importazioni, particolarmente acuto in Cina per i semi
oleosi, nella regione MENA per il grano e in Corea del Sud per gli
altri cereali.
Le restrizioni al traffico commerciale
attraverso il canale di Suez - prosegue lo studio - tendono a
penalizzare le esportazioni ucraine, russe e in parte indiane,
favorendo USA, Argentina, Australia, Brasile e Paraguay. Il calo
delle importazioni è particolarmente evidente nell'area MENA,
in quella dell'Africa sub-sahariana e nell'area “Tigri ed
Eufrate”. Gli impatti sull'UE sono particolarmente evidenti
nell'aumento della produzione di riso.
Le restrizioni al
traffico commerciale negli Stretti Turchi hanno invece i maggiori
impatti negativi per Russia e Ucraina, le cui esportazioni di
cereali sono per lo più trasportate attraverso questa rotta
marittima, mentre tendono a favorire altri esportatori come
l'Argentina (di altri cereali), l'India (di grano e altri cereali),
il Brasile (di altri cereali), gli Stati Uniti (di grano e altri
cereali) e il Canada (di grano). L'UE risponde aumentando la
produzione e l'esportazione di grano e diminuendo quella di riso.
All'interno dell'area UE emerge anche una sostituzione tra i
produttori di cereali del Mediterraneo e dell'Europa dell'Est. Un
calo particolarmente preoccupante delle importazioni di commodities
agricole colpisce soprattutto la Turchia, la regione MENA, l'area
del Tigri e dell'Eufrate per quanto riguarda il grano e la Cina.
Relativamente alla sola economia dell'Unione Europea, il
documento osserva che gli eventi meteorologici in località
remote rispetto a questo mercato come il canale di Panama, che
attualmente è l'arteria marittima più colpita dalla
carenza di precipitazioni atmosferiche, potrebbero avere effetti a
cascata sull'UE con potenziali perdite pari a due miliardi di
dollari di Pil. Lo studio sottolinea che ancor più
preoccupante è l'impatto sui Paesi a medio e basso reddito:
lo studio mostra infatti che il Nord Africa, il Medio Oriente e
l'Africa sub-sahariana sono ancora più vulnerabili a questi
effetti, evidenziando ancora una volta l'asimmetria e la
distribuzione diseguale degli impatti del cambiamento climatico
sull'agricoltura.
Lo studio conclude che l'area MENA, quella del Tigri e
dell'Eufrate e l'area dell'Africa sub-sahariana potrebbero essere
particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici anche a seguito
delle restrizioni al traffico commerciale che potrebbero colpire i
tre chokepoint marittimi. In tutti e tre i casi, le tre aree
soffrirebbero di un calo delle importazioni di prodotti agricoli
che, sebbene i valori assoluti del calo risulterebbero modesti, sono
comunque da considerare preoccupanti, anche in considerazione del
fatto che molti dei Paesi colpiti sono a medio e basso reddito.
Inoltre, gli impatti negativi si aggiungerebbero alla riduzione dei
raccolti in quelle regioni causate dai cambiamenti climatici.
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