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CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XVIII - Numero 5/2000 - MAGGIO 2000 |
Porti
I progressi dei porti nordamericani
del Pacifico Nord-Occidentale
Secondo una recente previsione dell'Associazione
Porti Pubblici dello stato di Washington, i traffici containerizzati
nella zona dello Stretto di Puget sono destinati a raddoppiare
(e ad andare anche oltre) rispetto agli attuali 2,6 milioni di
TEU/anno, sino a più di 6 milioni di TEU nel 2020. Questi
dati si riferiscono per lo più ai porti statunitensi del
Pacifico nord-occidentale di Seattle e Tacoma. Tuttavia, dal momento
che negli ultimi tre anni è venuto alla ribalta il porto
canadese di Vancouver (nella British Columbia) nonché alla
luce dei solidi risultati del porto statunitense di Portland (nell'Oregon),
sembra che i porti di questa regione del Nordamerica debbano affrontare
sfide su due diversi fronti. La prima è quella di far sì
che le infrastrutture terminalistiche siano in grado di far fronte
all'aumento dei traffici containerizzati; la seconda è
quella di assicurare connessioni intermodali efficienti, in grado
di movimentare più carichi dai porti alle aree di consumo
a distanza.
Di sicuro, negli ultimi anni si
è verificata una clamorosa crescita dei risultati containerizzati
presso il porto di Vancouver (v. Tabella 1). Nel 1996, Vancouver
aveva movimentato complessivamente 506.102 TEU nell'ambito dei
suoi due terminals, Centerm e Vanterm. Questa cifra ha fatto segnare
un incremento del 16,5% rispetto ai 427.123 TEU visti nel corso
del 1995, ma - ed è ciò che più importa -
quel risultato ha dato inizio ad una tendenza che da allora ha
fatto registrare una crescita a due cifre. Nel 1997, Vancouver
ha ottenuto un risultato di 607.417 TEU (più 15,8%), mentre
nel 1998 il risultato è stato di 709.274 TEU (più
14,4%) e la barriera del milione di TEU è stata superata
nel 1999, con 1,09 milioni di TEU (più 27%). Cifre davvero
impressionanti a leggersi.
TABELLA 1 |
CONFRONTO QUADRIENNALE DEI RISULTATI CONTAINERIZZATI IN TEU DEI PORTI DEL PACIFICO OCCIDENTALE E NORD-OCCIDENTALE |
Porto | 1999 | Camb. % | 1998 | Camb. % | 1997 | Camb. % | 1996 |
Portland | 293.262 | 13,1 | 259.308 | -12,1 | 294.930 | -2,4 | 302.171 |
Seattle | 1.490.048 | -3,5 | 1.543.726 | 4,4 | 1.475.813 | 1,0 | 1.473.561 |
Tacoma | 1.271.000 | 9,9 | 1.156.000 | -1,0 | 1.159.000 | 7,3 | 1.074.000 |
Vancouver | 1.007.000 | 27,0 | 709.274 | 14,4 | 607.417 | 15,8 | 511.363 |
Totali | 4.061.310 | 9,7 | 3.668.308 | 3,6 | 3.537.160 | 5,0 | 3.361.095 |
Fonti: Porti, dati di Containerisation International Yearbook
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Gordon Chu, direttore sviluppo
traffici alla VPA (Autorità Portuale di Vancouver), ammette
che le cose stiano così e commenta: "Abbiamo avuto
una crescita più alta del normale rispetto ai porti della
Costa Occidentale degli U.S.A.". A mo' di spiegazione ha
aggiunto: "Abbiamo avuto successo nel catturare nuovamente
le attività relative ai carichi canadesi destinati all'Ontario
ed al Quebec che venivano instradati via Seattle e Tacoma. Un
altro fattore è stato rappresentato dalla capacità
di istituire un sistema ferroviario da Vancouver a Chicago basato
sui prezzi e sui tempi di viaggio".
Allo stesso tempo, Chu ritiene che
il successo di Vancouver sia stato dovuto alla propria abilità
nell'assicurarsi presso le proprie infrastrutture il primo e l'ultimo
degli scali programmati da importanti vettori marittimi. "Stiamo
parlando di una crescita che è qualcosa di più che
semplicemente organica. C'è voluto molto tempo per convincere
linee quali la Zim (Zim Israel Navigation Company), la Cosco e
la Norasia Line a venire a Vancouver" afferma. Chu ha spiegato
che tutte e tre le linee di navigazione forniscono modelli diversi
di servizio ma che tutte e tre apportano vantaggi a Vancouver.
"La Zim, provenendo dall'Asia, fa il primo scalo a Vancouver,
poi scende in California ed infine torna da noi. Noi conseguiamo
il margine sui carichi asiatici con tempi di viaggio veloci. La
Cosco ha due servizi. Il primo fa di Vancouver l'ultimo porto
di scalo con le grosse navi da 5.000 TEU, mentre una nave più
piccola prima viene qui e poi va a sud in California. Questo alla
fine diventa una sorta di servizio a due giri che va in direzioni
opposte ma con bilanciamento dei carichi. Da ultimo, la Norasia
è a sua volta diversa. Vancouver è il suo solo porto
di scalo nel contesto di un servizio transpacifico. La specialità
della Norasia sono le veloci, piccole navi da 1.500 TEU da 25
nodi" spiega Chu.
Ephraim Alter, vice presidente della
Zim Israel Navigation e presidente della Zim Container Service,
ravvisa che la Zim abbia agito un po' da pioniere nello scegliere
Vancouver quale primo porto di scalo. "Volevamo servire il
Canada ed il Mid-West statunitense; per farlo, abbiamo guardato
a Vancouver. La California meridionale non potevamo sceglierla
a causa dell'intasamento e quindi Vancouver è diventato
il porto prescelto per il nostro servizio. L'accordo con il porto
e la Canadian National Railway è diventato una nicchia
operativa molto buona per la Zim" ha spiegato.
A lungo termine, Chu ha detto che
la VPA intende indirizzare le capacità del Centerm e del
Vanterm nella baia interna. Essa si sta accingendo a pubblicare
i risultati di una consulenza finalizzata all'analisi delle possibilità
di estendere tali infrastrutture; a breve termine, peraltro, la
continuazione della crescita risiederà nel Deltaport.
In effetti, non vi sono dubbi che
Vancouver non avrebbe potuto sviluppare le proprie impressionanti
cifre in termini di risultati senza quest'ultima infrastruttura.
Essa è stata inaugurata nel 1997 in un momento in cui,
secondo Chu, molti osservatori dubitavano della razionalità
dei piani di Vancouver. "Si chiedevano da dove sarebbero
arrivati i carichi, si domandavano perché avessimo bisogno
di una capacità aggiuntiva di 600.000 TEU. Tuttavia, vogliamo
che i fatti parlino da soli" afferma Chu.
E la VPA non si ferma qui. Esistono
altri piani per incrementare ulteriormente la capacità
del Deltaport. "In prossimità del Deltaport vi sono
altri 70 acri. Questi ultimi verranno integrati nell'attuale infrastruttura
ed andranno ad incrementare la capacità da 600.000 TEU/anno
sino a 850.000 TEU entro la fine di quest'anno" rivela Chu.
Il Deltaport è gestito dalla
TSI (Terminal Systems Inc) attraverso un accordo di noleggio a
lungo termine. Essa ha un altro accordo simile per la gestione
del terminal Vanterm. Secondo Bruce A. S. Macdonald, direttore
servizi commerciali della TSI Terminals, ci si aspetta che le
trattative con la VPA vengano portate presto a termine di modo
che la TSI possa comprendere l'ulteriore ormeggio presso il Deltaport
nell'ambito delle proprie operazioni. E Macdonald non ha dubbi
circa la provenienza del traffico aggiuntivo per la nuova capacità
che verrà offerta. "La crescita a lungo termine risiederà
nella nostra capacità di movimentare i traffici statunitensi
alla volta di zone come Chicago" ha dichiarato.
Barrie Sime, anche lui della TSI,
è il direttore del terminal dell'infrastruttura Deltaport.
Sime, che ha lavorato per il progetto Deltaport sin dalla fase
progettuale nel 1993, fa compiere ancora un passo in avanti ai
commenti di Macdonald. "Il cliente di Chicago non si interessa
del Deltaport di per se stesso. A loro importa il pacchetto complessivo,
togliere il box dalla nave, metterlo sul treno e poi consegnarlo
a destinazione. Il mercato locale è in grado di assorbirne
tantissimi e poi ci sono il Canada e gli Stati Uniti. Ma l'unica
grossa differenza, in questo caso, la fa il piazzale intermodale.
Nell'intermodalismo sta la futura crescita del porto" ha
detto.
Il piazzale intermodale del Deltaport
utilizza una tecnologia di trasmissione dati via radio completamente
computerizzata al fine di incrementare l'efficienza e di eliminare
l'errore umano. Esso è inoltre specializzato in un metodo
"ad approccio diretto" di movimentazione dei containers
in importazione, in cui i box vanno dritti dalla stiva della nave
all'attesa dei convogli ferroviari intermodali. Sime ritiene che
la metodologia lavorativa "ad approccio diretto" rappresenti
un altro vantaggio della ferrovia su banchina. Aggiunge Sime:
"Questa concezione funziona facendo sì che tutte le
connessioni della catena vengano coordinate, dallo stivaggio nella
nave al nostro terminal e infine all'operatore ferro-stradale".
Vancouver non è il solo porto
a riconoscere l'importanza dell'intermodale, come la rivista Containerisation
International ha scoperto visitando i porti dello Stretto di
Puget.
Andrea Riniker, direttore esecutivo
del Porto di Tacoma, è molto interessata a tale argomento:
"Noi siamo l'intermodale. E' il settore che pensiamo ci definisca
nel modo migliore, specialmente perché il 70% dei nostri
volumi containerizzati al momento va altrove. Sotto questo aspetto,
siamo un porto assai discrezionale".
Nel 1999, il risultato di Tacoma,
appena inferiore a 1,3 milioni di TEU (v. Tabella 1) ha rappresentato
un incremento del 9,7% rispetto agli 1,156 milioni di TEU movimentati
nel 1998. Secondo la Riniker, Tacoma si aspetta che questa tendenza
continui. "Nel 2000 prevediamo un ulteriore incremento del
7%, specialmente perché esso riflette un'intera annata
di movimentazioni delle navi della HMM (Hyundai Merchant Marine).
Ci aspettiamo che le attuali linee di navigazione che fanno scalo
a Tacoma continuino a crescere quanto ad attività, in modo
da poter ampliare le nostre operazioni terminalistiche. Abbiamo
raggiunto un nuovo accordo nel 1999 che prevede l'ampliamento
del Terminal Evergreen ed inoltre speriamo che il nuovo Terminal
HMM possa alla fine raddoppiare le proprie dimensioni sino a più
di 120 acri" spiega la dirigente.
Secondo le previsioni a lungo termine
di Tacoma, l'espansione delle infrastrutture terminalistiche è
necessaria. Essa ha appena aggiornato il proprio studio sulle
prospettive da qui al 2010 e ha concluso che sta per verificarsi
"una maggiore domanda di nuove infrastrutture dal momento
che i volumi containerizzati stanno facendo registrare una notevole
crescita".
La Riniker non ha alcun dubbio in
ordine a che cosa ciò potrà significare: "Serviranno
a breve altre acque ed altro terreno per far fronte alla crescente
domanda di traffico. A Tacoma, noi abbiamo entrambi".
Paul Chilcote, direttore anziano
dei trasporti intermodali del Porto di Tacoma concorda con tale
opinione ma ritiene che più traffici stiano semplicemente
a significare un affidamento ancora maggiore sull'intermodale.
"Come tutti gli altri porti, noi sappiamo come realizzare
terminal marittimi buoni ed efficienti. Ma che cosa succede quando
i containers sbarcano dalla nave e devono andare a New York ed
a Chicago?" si domanda. Di conseguenza, Chilcote afferma
che Tacoma ha un'unica meta molto semplice, vale a dire diventare
la porta d'accesso intermodale più efficiente ed affidabile
del Nordamerica. Alla luce del fatto che approssimativamente due/terzi
dell'attività internazionale di Tacoma vengono movimentati
per ferrovia, Chilcote è molto chiaro in ordine a quali
siano le relative implicazioni. "Attirare qui le navi è
molto importante, ma il nostro futuro sta nell'intermodale. Solitamente,
due o tre convogli ferroviari partivano e lo stesso numero di
treni ritornava per ciascuna portacontainer. Ora ci sono da sei
ad otto treni in ciascuna direzione. Presto potremmo ritrovarci
con 16 treni in ciascun senso, di pari passo con l'aumento delle
dimensioni delle navi" ragiona Chilcote.
Chilcote ha pertanto affermato che
è essenziale per Tacoma migliorare l'efficienza intermodale.
Il porto è coinvolto in due iniziative specifiche che potrebbero
contribuire a conseguirla. La prima è la costituzione di
un Comitato Congiunto per le Infrastrutture Terrestri con il porto
di Seattle. Questo comitato è stato istituito allo scopo
di esaminare e risolvere tutti i problemi inerenti all'accesso
alla regione. Spiega Chilcote: "A causa delle direttrici
di linea primaria, tutti i traffici di Tacoma della BNSF (Burlington
Northern Santa Fe) devono passare attraverso l'area di Seattle,
mentre tutti i carichi di Seattle della UP (Union Pacific) devono
essere movimentati attraverso Tacoma".
Di conseguenza, il Comitato Congiunto
per le Infrastrutture Terrestri ha sviluppato un programma di
massima che ricalca in qualche misura quello dell'iniziativa attinente
il Corridoio di Alameda nella California meridionale. Tuttavia,
mentre il progetto Alameda ha lo scopo di allacciare i terminali
della baia con le direttrici ferroviarie principali, il progetto
Corridoio Veloce del Pacifico Nord-Occidentale è finalizzato
a contribuire all'aumento del flusso di un maggior quantitativo
di traffico che passa attraverso aree sempre più urbanizzate.
"Stiamo parlando di un'area in cui si sono trasferite altre
300.000 persone ed in cui si sta assistendo ad un fenomeno per
cui, nell'arco delle 24 ore, per tre ore e mezza i treni sostano
sui binari" spiega Chilcote.
Pertanto, il Corridoio Veloce mira
alla costruzione di un certo numero di sottopassi e di ponti da
Tacoma a Seattle. Questa iniziativa verrà a costare circa
400 milioni di dollari ed andrà ad aggiungersi ad altri
320 milioni di dollari spesi per l'aumento del livello di computerizzazione,
di accentramento ferroviario, di scambi e di binari ad alta velocità.
Tutti i costi dovranno essere affrontati da un'associazione composta
da 11 comunità, 3 contee, 11 città, 3 porti (tra
cui quello di Port Everett nello stato di Washington), 2 ferrovie
di primaria importanza (la BNSF e la UP), nonché dai governi
statale e federale. "Ed occorre aggiungere che Seattle e
Tacoma stanno spendendo per iniziative di reciproco interesse
altri 250 milioni di dollari, mentre nei prossimi cinque anni
anche noi abbiamo l'intenzione di spendere 1 miliardo di dollari
in miglioramenti intermodali e ferroviari" afferma Chilcote.
L'altro importante porto dello Stretto
di Puget, Seattle, ha usufruito di una stabile - ancorché
non spettacolare - crescita nel corso degli ultimi anni, vale
a dire sino al 1999 allorquando ha fatto registrare un calo (v.
Tabella 1). Dopo avere raggiunto il record di tutti i tempi nel
1998 (1,54 milioni di TEU), il porto ha sofferto un'inversione
di tendenza nel 1999 con una piccola diminuzione del 3,5% per
1,49 milioni di TEU. Il porto ha attribuito questo calo alla perdita
della HMM nel mese di maggio a vantaggio della vicina Tacoma,
laddove la HMM ha inaugurato la propria nuova infrastruttura dedicata.
Tuttavia, Seattle ha sottolineato come nel corso del 1999 essa
si sia assicurata complessivamente sette nuove linee di navigazione,
tra cui quattro scali diretti presso il Terminal 18 da parte della
Grand Alliance (Hapag-Lloyd, NYK Line, OOCL e P&O Nedlloyd),
della Zim e della Fesco (Far Eastern Shipping Co). Il porto è
sicuro che questo ulteriore traffico "nel corso del 2000
rimpiazzerà - ed andrà oltre - il traffico della
HMM".
In ordine ai volumi complessivi di
Seattle, circa il 90% del traffico viene movimentato da e per
i mercati asiatici; rispetto ad esso, il 75% delle importazioni
ed il 33% delle esportazioni asiatiche viaggia intermodalmente
da e per le infrastrutture di Seattle. I principali mercati dell'entroterra
sono rappresentati dal Mid-West (Chicago), dal Nord-Est (New York)
e dal Sud-Est (Atlanta, in Georgia) degli Stati Uniti.
Sembra che la perdita della HMM sia
stata un brutto colpo per Seattle, ma il porto in questione crede
di potersi riprendere dallo smacco, tanto che sta coraggiosamente
ampliando le proprie infrastrutture terminalistiche. "La
nostra crescita a lungo termine è prevista in media sul
4-5% annuo" ha dichiarato Mic Dinsmore, direttore esecutivo
del porto. L'iniziativa più recente è costituita
dall'ampliamento del Terminal 18. L'infrastruttura - che dovrebbe
essere completata nel 2001 - raddoppierà le proprie dimensioni
sino a 200 acri, per un costo di circa 219 milioni di dollari.
Il terminal è noleggiato alla SSAT, un'associazione commerciale
tra la SSA (Stevedoring Services of America) e la Matson Navigation
Company.
Mark Knudsen, direttore operazioni
marittime del porto, commenta: "Il Terminal 18 rappresenta
un importante progetto di espansione. I finanziamenti sono stati
assicurati per mezzo di speciali obbligazioni sulle infrastrutture,
mentre l'accordo di noleggio a lungo termine garantisce annualmente
290 milioni di dollari di nuovi introiti dalle attività".
Knudsen aggiunge che verranno ampliate anche le infrastrutture
ferroviarie di banchina sul terminal a seguito di un'iniziativa
dello stesso tipo portata a compimento nel 1998 presso il Terminal
5. Infatti, tra il 1997 ed il 2002 Seattle avrà ampliato
le infrastrutture terminalistiche del 50%, per un totale di 534
acri destinati alla movimentazione dei contenitori. Tutte le nuove
infrastrutture trarranno vantaggio dall'ampliamento delle infrastrutture
intermodali e ferroviarie. "Dal momento che si tratta del
porto più vicino all'Asia, l'intermodalismo costituisce
un fattore decisivo per il nostro successo, poiché esso
consente i tempi di viaggio più rapidi dall'Asia alle principali
destinazioni interne statunitensi" dichiara il portavoce
dello scalo.
La regione del Pacifico Nord-Occidentale
sembra essere pronta a ricevere altro traffico e tutti quanti
i suoi porti sono consapevoli della necessità di far sì
che i collegamenti intermodali rispondano pienamente a - o addirittura
vadano oltre - i programmi inerenti alle infrastrutture di movimentazione
terminalistica. Chilcote di Tacoma riassume con maggiore efficacia
i sentimenti della regione: "Di quanto possano crescere i
traffici, è una pura congettura; l'autocompiacimento, invece,
no. Se saremo autocompiaciuti, vedremo svanire del tutto i nostri
sogni".
(da: Containerisation International, aprile 2000)
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