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COUNCIL OF INTERMODAL SHIPPING CONSULTANTS
ANNO XXXVI - Numero 15 GENNAIO 2018
LOGISTICA
IL CAPITALISMO MODERNO HA APERTO UN NUOVO IMPORTANTE FRONTE
PER GLI SCIOPERI: LA LOGISTICA
Il declino dei sindacati in tutti i paesi sviluppati non
rappresenta una novità.
Negli Stati Uniti la percentuale dei lavoratori iscritti ad un
sindacato è calato dal punto più alto del 35% nel
1954, per lo più nel settore privato, all'11% nel 2016 con
pressoché la metà nel settore pubblico.
Lo spessore dei sindacati nel Regno Unito è diminuito da
un picco del 55% nel 1979 al 25% nel 2016.
Malgrado il recente rilancio della sinistra in entrambi i paesi,
i giorni in cui i sindacati avevano il potere di richiedere
importanti concessioni ed ottenerle pure sembrano assai lontani.
In parte grazie alle dure normative sul lavoro ed
all'aggressività dei datori di lavoro, il loro ruolo è
diventato molto più di tipo consultivo che di predominio.
Ora, tuttavia, un ritorno all'antico sembra possibile e non solo
a causa del clima politico.
I cambiamenti avvenuti nel panorama aziendale dall'era
Reagan/Thatcher indicano grandi opportunità per il lavoro
organizzato.
La questione è se i sindacati cercheranno di trarne
vantaggio.
Perché il declino
Negli Stati Uniti il calo della associazioni dei lavoratori era
iniziato alla fine della seconda guerra mondiale poiché i
principali produttori avevano spostato le strutture produttive nel
sud non sindacalizzato per ridurre i costi e sfuggire alle grandi
concentrazioni dei lavoratori sindacalizzati come quelle attorno a
Detroit, Gary, Los Angeles e Chicago.
Fra il 1947 ed il 1972, il contributo dei sudisti al valore
aggiunto della produzione americana è quasi raddoppiato sino
a quasi un quarto del totale.
I grandi sindacati delle industrie hanno assistito ad un picco
di iscrizioni nei primi anni '70, per non crescere più in
seguito.
Il Regno Unito avrebbe poi seguito questa tendenza grazie al
declino della propria base produttiva ed alla determinazione di
Margaret Thatcher di distruggere il potere sindacale negli anni '80.
Un'altra tendenza fondamentale è stata l'ondata di
fusioni ed acquisizioni negli anni '60 lanciata dalle società
con grande liquidità che hanno tratto vantaggio dalla forte
crescita economica.
Questi accordi fra imprese sono cresciuti dai circa 1.200
all'anno nel 1963 negli Stati Uniti, ad esempio, ad un massimo di
6.000 nel 1969, per quanto fosse prevalente in molti paesi.
Ciò ha prodotto l'aumento dei conglomerati: vale a dire,
le ditte che offrono un'ampia varietà di merci e servizi
spesso non correlati.
I sindacati si erano costituiti dapprima presso imprese
caratterizzate da un singolo importante prodotto come le auto o
l'acciaio.
Far parte di un insieme molto più grande ha ridotto il
potenziale dei lavoratori al danno indotto mediante agitazioni
sindacali.
Questo a sua volta ha reso meno attraenti i sindacati ed
ulteriormente compresso il numero degli iscritti.
Molti altri posti di lavoro nei sindacati sono stati eliminati
dalla severa recessione del 1979-82 e poi dall'intensificarsi della
concorrenza derivante dalla globalizzazione alla metà degli
anni '80.
Molte aziende occidentali hanno preso esempio dalla strategia
dei loro concorrenti giapponesi e hanno introdotto la produzione
snella, e cioè: produrre di più con meno lavoratori,
più affidamenti all'esterno e consegne di parti tempestive,
tagliando le scorte al minimo.
La produzione snella ha aiutato le imprese a recuperare la
propria redditività, ma l'incremento della concorrenza
globale ha indotto un'altra enorme ondata di fusioni: dalle 4.239
per un valore di 206 miliardi di dollari USA (152 miliardi di
sterline) nel 1990 alle 11.169 per un valore di 3.400 miliardi di
dollari nel 2000.
Dopo il 2001 esse si sono livellate sulle 7.000 circa all'anno,
ancora ben al di sopra del livello precedente agli anni '90.
Le società europee hanno seguito una tendenza molto
simile e la quota maggiore è stata quella del Regno Unito.
Ma adesso il capitale ha abbandonato i conglomerati per
reindirizzare la produzione verso linee produttive mirate.
Esso ha creato imprese molto simili a quelle costituite dalle
organizzazioni industriali negli anni '30.
Inoltre, adesso esse hanno impegnato enormi quantitativi di
capitali e costi fissi che le hanno rese vulnerabili rispetto alle
azioni sindacali.
A questo si è aggiunta quella che talvolta viene definita
la rivoluzione logistica.
Quest'ultima si riferisce alla notevole riorganizzazione della
movimentazione delle merci che è divenuta necessaria dal
momento che il modello del just-intime si è diffuso in tutte
le filiere distributive e che la velocità di consegna è
diventata assai competitiva nell'era online.
Sono nati enormi poli logistici di trasporto, magazzini, reti
informatiche e strutture intermodali.
Essi sono situati per lo più all'interno o nelle
adiacenze di grandi aree urbane, fra le maggiori delle quali vi sono
New York, Chicago, Rotterdam, Amburgo e Londra.
Il numero dei magazzini negli Stati Uniti è cresciuto di
una volta e mezzo dal 1998 sino ad oltre 17.000 nel 2017, ad
esempio.
Anche se l'automazione è una caratteristica ricorrente,
la forza lavoro costituisce ancora il 65% dei costi operativi medi,
mentre il numero dei magazzinieri è cresciuto da 356.800 a
giugno 1990 a 830.700 a giugno 2017.
I dipendenti complessivi della logistica in America sono attorno
ai 4 milioni circa.
Si tratta di gente dalla quale oggi le aziende attive nel
settore dipendono completamente.
Gli hub davvero grandi hanno bisogno di 100.000 lavoratori per
funzionare.
Prendiamo Chicago, con oltre 150.000 lavoratori nei trasporti e
nei magazzini all'interno dell'area metropolitana.
Oppure il più recente polo di Memphis della FedEx, che
impiega 15.000 lavoratori direttamente e 220.000 dipendenti nelle
attività dell'indotto dei trasporti e dei magazzini.
Nel Regno Unito esistono poli attorno a Liverpool-Manchester,
nelle Midland, a Glasgow ed a Londra.
Il porto di London Gateway ed il suo parco logistico da 836.000
m2 è stato inaugurato nel 2013 ed impiegherà 27.000
lavoratori quando sarà del tutto operativo, ampliando un polo
della Londra orientale che comprende anche Dagenham Dock, Tilbury
Docks ed il London Thamesport.
Inoltre, importanti ferrovie di trasporto merci del Regno Unito
si stanno ristrutturando al fine di realizzare una Rete Strategica
di Trasporto Merci simile a quella degli enormi corridoi ferroviari
statunitensi.
Complessivamente, il settore logistico del Regno Unito impiega
1,7 milioni di lavoratori.
Secondo una stima, nel suo insieme in tutta Europa gli
investimenti logistici sono cresciuti di due volte e mezzo il PIL.
Le occasioni bussano alla porta
Questi poli sembrano assai vulnerabili rispetto ai disservizi
indotti dai lavoratori.
Uno sciopero in un magazzino o presso un fornitore di
fondamentale importanza potrebbe interrompere la produzione lungo
una filiera distributiva, infliggendo potenzialmente enormi danni
alla reputazione di un'azienda per quanto riguarda l'affidabilità
fra i suoi partner.
Ciò potrebbe mettere un'enorme pressione sui datori di
lavoro affinché diano concessioni o riconoscano un nuovo
sindacato senza che ci sia bisogno di uno sciopero per obiettivi
secondari o per solidarietà che è illegale in molti
paesi.
È una delle grandi cose ironiche del moderno capitalismo
quella per cui si sta assistendo alla massiccia concentrazione di
lavoratori manuali che i responsabili aziendali un tempo cercavano
di evitare.
Non si sono ancora visti sindacati che abbiano cercato di trarre
vantaggio da questa situazione, in parte forse dopo decenni sulla
difensiva ed in parte perché le preferenze dei magazzinieri
tendono ad non essere sindacalizzate.
Peraltro, dalla ricerca risulta che sia i sindacati sia i
responsabili aziendali sono ben consapevoli dei rischi inerenti i
nuovi sistemi aziendali che danno loro molto da pensare.
In un mondo sempre più nervoso, questi hub potrebbero
diventare un importante punto di infiammabilità: sarà
interessante vedere se i sindacati inizieranno a cercare di
sfruttare la situazione.
(da: theloadstar.co.uk/theconversation.com, 5 gennaio 2018)
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