ASSOCIAZIONE PORTI ITALIANI
(ASSOPORTI)
38ª
Assemblea Generale
Relazione del Presidente Sen. Francesco Nerli
Roma
4 maggio 1999
Onorevoli Parlamentari, Autorità, illustri Ospiti, cari
amici e colleghi, Vi ringrazio caldamente per essere intervenuti
alla nostra Assemblea e rivolgo un particolare saluto all'Onorevole
Ministro dei Trasporti e Navigazione, alle Autorità ed
ai graditi Ospiti.
Con questa relazione mi limiterò a ragionare solo su alcune
delle tante questioni che meriterebbero approfondimento, ove si
consideri che il comparto marittimo-portuale sta vivendo un ciclo
denso di avvenimenti ed innovazioni, per certi aspetti connotato
da turbolenze ed incertezze per altri da sfide ed opportunità
che vanno colte.
Uno sguardo alla portualità italiana
Negli ultimi anni, seppure in una congiuntura economica non particolarmente
favorevole, si sono - come noto - registrati buoni aumenti di
traffico confluenti nei porti nazionali, dovuti alla riacquistata
efficienza ed affidabilità nelle operazioni e nei servizi
portuali. Per la prima volta gli scali mediterranei, ma in particolare
quelli italiani, hanno sottratto quote di traffico ai grandi porti
del nord Europa, anche se non si può dire che sia consolidata
questa linea di tendenza.
Secondo dati provvisori recentemente divulgati dall'Istat, nel
1998 il movimento complessivo di merci trasportate per vie marittime
ha superato nel nostro Paese i 475 milioni di tonnellate (3,5%
in più rispetto all'anno 1997), ove i prodotti petroliferi
sono circa 238,5 milioni di tonnellate e le altre merci superano
236,5 milioni di tonnellate. In base a dati fornitici dai nostri
associati ed alcune Capitanerie sempre per il 1998 il movimento
dei contenitori nei principali porti nazionali ha superato nel
complesso i 5,9 milioni di TEU, contrassegnando un incremento
rispetto al 1997 di circa il 18%.
I risultati positivi raggiunti, che hanno naturalmente prodotto
un aumento delle occasioni di lavoro, sono da ascriversi in buona
parte, oltre all'affermarsi delle pratiche di transhipment, ai
nuovi assetti imposti dalla legge di riforma portuale, che hanno
consentito l'innervamento nei porti di nuova imprenditorialità
ed hanno attratto sulle banchine capitale straniero di rischio
impegnato nella gestione dei terminal.
Va detto però che in dipendenza di fatti nazionali ed internazionali
(ben noti agli addetti ai lavori) esterni alla nostra portualità,
si prevede per il 1999 un rallentamento dei traffici portuali,
che già desta preoccupazione (crisi del Far East, Brasile
- anche se pare che il Far East abbia superato la fase più
critica).
Così come per quanto concerne il completamento del
nuovo quadro della portualità nazionale, ci preoccupa
il fatto che sono ancora sul tappeto (ed andrebbero al più
presto risolte!), alcune questioni che non vanno sottovalutate.
Ci riferiamo sia ai decreti attuativi di norme previste della
legge n° 84/94, quali ad esempio la nuova classificazione
dei porti, il regolamento ex articolo 18 in tema di concessioni,
sia ai chiarimenti in ordine al riparto di talune competenze tra
Autorità Portuale ed Autorità Marittima, sia alla
revisione degli articoli 16 e 17 della stessa legge; revisione
indotta dalle determinazioni della Commissione Europea.
A proposito di quest'ultimo delicato argomento e cioè del
d.d.l. n° 3404 A.S., abbiamo apprezzato ed assecondato gli
sforzi fatti dall'On. Ministro dei Trasporti per pervenire alla
stipula tra le parti sociali ed il Governo di un protocollo di
intesa, che consentisse di dare un sostanziale contributo per
la risoluzione del problema, nel quadro di un mercato regolato,
salvaguardando nel contempo l'occupazione esistente. Non essendosi
al momento raggiunta una intesa tra le parti sociali su tutti
i punti in discussione, confidiamo nelle determinazioni che assumerà
il Parlamento in proposito.
Peraltro, nell'ambito della problematica riguardante il lavoro
portuale si è inserita la richiesta sindacale che tende
a pervenire, attraverso un negoziato con le associazioni datoriali
interessate, a comprendere tutti i lavoratori operanti nelle imprese
portuali di cui agli articoli 16, 17, 18 della legge n° 84/94
nonché presso le Autorità Portuali, in un contratto
collettivo nazionale di lavoro unico di riferimento, salvaguardando
le specifiche peculiarità. Il progetto del sindacato è
senz'altro ambizioso e si muove attraverso una "piattaforma"
presentata ad Assologistica, Fise, Assoporti.
Senza volere entrare nell'esame della piattaforma sindacale, ci
sia consentito di formulare al sindacato un invito alla moderazione
ed alla gradualità, da scandirsi su tempi e su istituti
contrattuali, non potendosi ipotizzare, come esso ben sa, aumenti
complessivi dei costi del lavoro che non siano in sintonia con
i recenti rinnovi dei contratti dei c.c.n.l. e non siano compatibili,
per quanto ci riguarda, con le possibilità delle Autorità
Portuali.
In continuità del clima collaborativo sinora instaurato,
riteniamo che il sindacato possa essere sensibile a questo nostro
appello.
Così come voglio appellarmi alle altre controparti del
sindacato perché si faccia il possibile per non interrompere
il circuito virtuoso instauratosi a partire dal 1994 che ha consentito
una sostanziale "pace sociale" nei porti.
****
Ritornando a temi più generali, se si può essere
soddisfatti dei risultati raggiunti, anche per effetto
dell'attivismo dimostrato da molte Autorità Portuali e
da molti operatori, tuttavia, la registrata evoluzione positiva
della nostra portualità non ci induce a facili ottimismi.
Si può fare ancora meglio, attraverso il
concorso di tutti i soggetti interessati e dei lavoratori, per
mantenere gli scali competitivi agli occhi degli operatori del
commercio nazionale ed internazionale, sia in termini di produttività,
contenimento dei costi, che di razionalizzazione e qualità
dei servizi, riaffermando la flessibilità nell'impiego
delle risorse umane in sintonia con le esigenze dei cicli operativi
e nel rispetto di condizioni di sicurezza delle operazioni. Si
sa infatti che, come in tutti i complessi processi di cambiamento
non ancora definitivamente completati, anche nel nostro settore,
più di altri esposto agli influssi di molte variabili esterne,
occorre procedere per step successivi, adeguandosi alle esigenze
del mercato, ma non dimenticando che siamo in presenza di variegate
situazioni locali sulle quali non è agevole calare un unico
modello di organizzazione del porto, delle imprese e del lavoro.
Per creare valore dai cicli operativi portuali occorre anche poter
contare su una efficiente catena intermodale e la catena
terrestre - strade e ferrovie - non è efficiente in modo
tale da competere ad armi pari con la portualità del nord-Europa.
Per altro verso non sfugge alla nostra attenzione che i concorrenti
principali scali stranieri del Mediterraneo hanno in corso investimenti
sostanziosi, pubblici e privati, per migliorare la propria capacità
e qualità di offerta, e che il mutato panorama degli scambi
marittimi fa ritenere che vi sia ancora spazio per un incremento
della quota di traffico dei porti mediterranei e che il processo
di "riequilibrio" tra northern e southern range europei
possa proseguire.
Valutati questi elementi e soprattutto considerato che, salvo
rare eccezioni, da tempo i principali porti nazionali
non fruivano dei necessari adeguamenti infrastrutturali, abbiamo
lo scorso anno reiterato la richiesta al Governo di un piano
pluriennale di interventi nell'ordine di almeno 3.500
miliardi circa, cifra di gran lunga inferiore ai fabbisogni quantificati
nel 1990, cioè lire 8.000 miliardi di allora, da uno studio
elaborato dal Ministero dei Lavori Pubblici sulle necessità
per il potenziamento dei porti marittimi.
Il Governo ed il Parlamento - compatibilmente con le esigenze
del bilancio statale - hanno corrisposto parzialmente alle nostre
istanze, varando la norma di cui all'articolo 9 della legge n°
413/98, un programma che riteniamo ed auspichiamo sia una prima
fase di un più vasto piano pluriennale di ampliamento/ammodernamento
e riqualificazione infrastrutturale portuale: provvedimento che
ha visto anche lo stanziamento di circa 400 miliardi per il sistema
idroviario padano-veneto che riteniamo fatto di grande novità
ed importanza.
Tenuto conto degli incrementi previsti nei traffici marittimi
per il prossimo medio-lungo periodo, superate le temporanee crisi
asiatica e sudamericana ed i riflessi generati dalla guerra in
Kosovo che segneranno come stanno già segnando indubitabilmente
gli andamenti delle movimentazioni portuali del corrente anno
(bisognerà comunque prevedere interventi a sostegno della
portualità in Adriatico, specie se la guerra dovesse perdurare),
riteniamo che non sia da temere particolarmente un eccesso
di sovracapacità di offerta infrastrutturale portuale.
Può essere a questo riguardo non superfluo accennare che
da una elaborazione condotta da Marconsult (in occasione di commenti
sul Libro Verde della Commissione Europea) è emerso come
la sovracapacità per terminal contenitori dei principali
porti mediterranei (compresi naturalmente i terminal italiani)
si è negli anni dal 92 al 97 non solo ridotta nei confronti
dei porto del nord-Europa, ma è diminuita in assoluto grazie
anche ai rilevanti incrementi di traffico realizzati e che detti
porti mediterranei non presentano uno squilibrio fra capacità
potenziale e capacità utilizzata rispetto ai porti del
nord-Europa. Si consideri poi che una quota di sovracapacità
non solo è ineliminabile, ma diventa causa prima della
possibilità di concorrenza tra i porti. La questione,
quindi, non dovrebbe essere quella di "ostacolare" per
principio la sovracapacità, bensì di valutare i
singoli progetti di espansione portuale con riferimento a molteplici
fattori, ivi compreso il ruolo che il porto può svolgere
per lo sviluppo del territorio, il retroterra servito, la tipologia
delle opere necessarie, l'entità degli investimenti, ecc..
Ovviamente gli investimenti pubblici vanno indirizzati agli scali
esistenti e non già nella creazione di nuovi e vanno selezionati
secondo obiettive priorità, sapendo che non è possibile
soddisfare esigenze ed attese di tutti ovvero di molti.
Infatti riguardo al numero ed all'ubicazione dei principali porti
nazionali, la dotazione italiana risulta adeguata alle esigenze
dei traffici; va tuttavia migliorato l'esistente; e ciò
comporta non solo interventi infrastrutturali come detto, ma anche
azioni costanti di manutenzione da parte delle Autorità
Portuali, investimenti in sovrastrutture ed in innovazioni tecnologiche
anche da parte dei privati imprenditori.
Un'opera che va intrapresa (ed in questo senso abbiamo cominciato
a lavorare in Assoporti) è quella di dialogare tra
Autorità Portuali viciniori non solo in termini
di scambi di informazioni sui programmi ed innovazioni, su possibili
azioni comuni di promozione e marketing, ma anche di cogliere
l'occasione della rivisitazione dei P.R.P. ovvero della redazione
di nuovi P.R.P. per cercare, ove possibile, di evitare duplicazioni
d'offerta e ricercare quindi elementi di complementarietà
(a tal fine può essere importante l'elaborazione di piani
regionali dei porti).
Non è mia intenzione, a questo punto, addentrarmi sul tema
dei sistemi portuali intesi come accorpamento entificato di più
porti. Pur essendo un tema mai sepolto, è da ritenersi
che, ragionando nella logica e con i principi della legge n°
84, sia preferibile al momento parlare di possibili collaborazioni
tra le Autorità Portuali, tra queste e gli Enti locali,
e/o di pensare semmai ai possibili allargamenti delle attuali
circoscrizioni territoriali delle A.P., ove esistano le condizioni
a livello regionale.
Ai terminalistiti ed alle imprese portuali e quindi al mercato
competono le scelte di ordine insediativo e/o di eventuale collaborazione,
nel rispetto della legislazione vigente e nell'ambito di una sana
competizione.
Mi sembra che, sempre nel rispetto dei principi comunitari sulla
concorrenza, le alleanze e le concentrazioni in corso tra vettori
e tra altri protagonisti dello shipping inducano innanzitutto
riflessioni riguardanti le strategie dei privati operanti nei
porti ed in primis dei terminalisti e le loro eventuali concentrazioni.
Processi questi che inducono a riflettere su di un tema che appare
di grande attualità, specie ove si consideri che la situazione
e l'esperienza dei grandi porti stranieri, che è quello
che ci porta a rivendicare un rafforzamento del ruolo delle
Autorità Portuali (che non viene preso in considerazione
nel documento sul P.G.T. di cui si farà cenno in seguito),
sia nella dimensione di struttura di "regia", sia quale
soggetto dotato di reale autonomia amministrativa e finanziaria,
cioè dotato di un'ampia o quantomeno adeguata capacità
di finanziare e realizzare investimenti. Oggi in Italia non è
così.
Ci riferiamo pertanto, in sintonia con quanto indicato nel D.P.E.F.
1999-2001, ad una autonomia finanziaria che riguarda la capacità
delle Autorità Portuali di investire direttamente, snellendo
anche le procedure, sia sulla manutenzione dell'esistente sia
sull'ammodernamento e potenziamento infrastrutturale dei porti
e sull'innovazione tecnologica, attraverso l'utilizzo di risorse
che con lo strumento della fiscalità sono generate dai
flussi commerciali e dai traffici confluenti nei rispettivi porti,
risorse in oggi introitate dall'erario.
Si tratta di una questione che, pur se affrontata con gradualità
e responsabilità, va a nostro avviso risolta, anche per
rispondere ad alcuni dei problemi aperti dall'impostazione del
"Libro Verde" sui porti e sulle infrastrutture marittime
della Commissione Europea, e ove si consideri tra l'altro che
l'Unione Europea in tema di politica comunitaria dei trasporti
nel settore marittimo riafferma i principi dell'autonomia e della
concorrenzialità dei porti dell'Unione medesima.
Ci auguriamo che il Governo ed il Parlamento forniscano, come
da noi indicato, gli strumenti normativi per dare risposta alle
suddette attese ed alle nostre proposte in merito.
A questo proposito voglio dire che quanto contenuto nel disegno
di legge sul federalismo fiscale, approvato dal Senato, ed oggi
in discussione alla Camera dei Deputati, sia pur limitativo nelle
previsioni quantitative, rappresenta un importante passo avanti
per il quale voglio esprimere soddisfazione sia nei confronti
del Governo che del Parlamento.
Rapporti tra porto-città-territorio
Nella nostra assemblea dello scorso anno facemmo anche un cenno
alla collaborazione tra A.P. ed Amministrazioni locali, sia nell'assunzione
di iniziative coordinate in modo da "vendere" porti,
città e territori circostanti, insieme agli operatori,
sui mercati dello shipping, della logistica, del terziario, specie
turistico, sia nell'ottica di una utilizzazione coordinata dei
waterfront portuali ed extraportuali.
Riprendiamo questo tema, con la consapevolezza, peraltro, che
la competizione tra porti si gioca sia
sul piano dell'efficienza/efficacia interna del porto
nel suo insieme, sia sul piano dei vantaggi competitivi
offerti dai collegamenti infrastrutturali, ma anche in
una certa misura dal carattere delle relazioni tra porto
e città e tra porto ed aree economico-territoriali,
costiere ed interne.
Si sa che determinate trasformazioni territoriali indotte dalle
delocalizzazioni industriali possono essere utilizzate a vantaggio
del complesso economico-territoriale della città o regione
portuale. Si pensi alle opportunità offerte dal riuso di
waterfront di città portuali e zone costiere limitrofe,
o alla riconversione di aree dismesse dalle industrie di base
in aree adibite o da adibire alle nuove tecniche di movimentazione
ed alle nuove concezioni della logistica, da porre in connessione
con le tipiche attività portuali.
Nella prospettiva di buone relazioni tra porto e città,
che vanno anche oltre gli aspetti di programmazione e pianificazione
di rispettiva competenza ed investono l'intero contesto ambientale,
lo scalo affianca alla indispensabile efficienza interna generalmente
l'offerta di servizi integrativi, di tipo sia produttivo hard
che terziario soft (ivi compresa la telematica), connessi alla
gestione del ciclo di movimentazione dei manufatti ma anche al
ciclo di commercializzazione delle merci.
In questa prospettiva, ove porto e città costituiscono
una entità economico-territoriale integrata, anche grazie
ad un sistema urbano efficiente, la città che diviene piazza
d'affari e di terziario marittimo, trae vantaggio (e ne è
ben consapevole) dalle attività dirette ed indotte generate
dal porto, lo scalo trae vantaggio dalla città; questa
sinergia rappresenta fattore di attrazione e stabilizzazione di
flussi di merci e di business.
A nostro avviso, quindi, circa l'utilizzo, il miglioramento anche
in termini ambientali e storico-culturali di waterfront,
sarebbe interessante condurre una ricerca a campioni, che consentisse
di verificare le possibili iniziative progettuali da intraprendere,
con l'utilizzo di fondi nazionali e comunitari, al fine
di una riqualificazione produttiva di porzioni di territorio.
L'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali,
se adeguata, potrebbe rappresentare l'elemento incentivante di
tale progetto.
Sulle linee guida del nuovo P.G.T.
In ordine ai numerosi spunti di riflessione che si traggono dalla
lettura del recente documento ministeriale concernente indirizzi
e linee guida per il nuovo Piano Generale dei Trasporti, ci sia
consentito di svolgere brevi considerazioni solo su alcuni punti,
riservandoci commenti su altri in una diversa sede.
Sul Piano generale, voglio dire con chiarezza che noi condividiamo
l'impostazione di fondo, cioè che il nuovo P.G.T. dovrà
essere un mix tra:
- Proposte di grandi opere infrastrutturali nuove (valichi,
trasversali) o di completamento di altre iniziate (alta capacità
ferroviaria), in poche parole dovrà disegnare ed integrare
in chiave europea le grandi reti nazionali;
- Proposte normative, procedurali in grado di sviluppare l'integrazione
con i piani territoriali (specie regionali), e per questa via
l'intermodalità e la logistica.
Così come sono per esempio da condividersi, altri aspetti
come per esempio:
- con riferimento alla avvenuta liberalizzazioen del cabotaggio
marittimo ed alla preoccupazione dell'armamento nazionale che
la flotta greca invada il mercato dei servizi marittimi tirrenici,
riteniamo opportuno il provvedimento di sgravio fiscale a favore
della flotta italiana di cabotaggio;
- la individuata necessità di realizzare un rinnovamento,
anche nel lay-out, di aree e spazi portuali attrezzati e strutture
relative atte a rispondere alle esigenze delle moderne navi ro-ro,
nonché la realizzazione di opere di rinforzo sulle banchine
e di riqualificazione delle apparecchiature di segnalazione, in
dipendenza dell'entrata in servizio di navi veloci e superveloci;
- la proposizione di promuovere la nautica da diporto e la portualità
turistica, anche al fine, noi suggeriamo, di convertire scali
minori, specie del mezzogiorno, a questa vocazione.
Ma ci sono anche parti deboli nel documento.
Mentre riteniamo importante l'intendimento di individuare infrastrutture
intermodali intermedie quali piattaforme logistiche, retroporti,
centri intermodali, con lo scopo di favorire l'integrazione tra
le diverse modalità, ridurre gli squilibri nella ripartizione
modale del trasporto merci, ecc., ci sembra che ciò sia
stato indicato senza prendere nella dovuta considerazione sia
la funzione che i porti già svolgono in chiave intermodale,
sia la possibilità di creare le condizioni affinché,
laddove possibile, si realizzino in zone portuali o immediatamente
adiacenti distripark e centri logistici collegati con gli scali
medesimi.
Ci pare, poi, che non siano sufficientemente esplicitate misure
che consentano sia lo sviluppo di tratte marittime a lunga percorrenza
sulle direttrici nord-sud del Tirreno e dell'Adriatico-Ionio,
in alternativa ad altre modalità di trasporto, sia lo sviluppo
possibile del cabotaggio inframediterraneo (Short Sea Shipping).
Il documento, esaminando le nuove tendenze del commercio mondiale,
sembra non mettere nel dovuto risalto né il necessario
potenziamento delle infrastrutture di collegamento tra porti o
meglio "range portuali" e retroterra, e più in
generale la piena integrazione dei principali porti nazionali
nel T.E.N.-T., fermo restando che essa debba essere rinegoziata
alla luce del Libro Verde sui porti e sulle infrastrutture marittime
che la integra inserendo al suo interno i principali scali europei,
né l'importanza ricoperta dai trasporti marittimi
internazionali. Così come pare non sufficientemente
evidenziata la valenza che riveste per l'economia e lo sviluppo
del Paese il comparto marittimo-portuale con le sue componenti
ed attività (armamento, servizi ausiliari ai trasporti
marittimi, porti, cantieri, pesca, ecc.), anche se alcuni di questi
settori possono giovarsi delle leggi emanate negli ultimi due/tre
anni.
Ci sorprendono, invece, le dichiarazioni contenute alle pagine
28 e 29 del documento in questione, laddove si accusano "numerose
A.P." di interpretare il "processo di privatizzazione
travisando lo spirito della legge di riforma", per quanto
si riferisce allo strumento dei canoni di concessioni richiesti
ai terminalisti, e si asserisce che le tasse portuali e diritti
marittimi siano un "semplice pedaggio" nei confronti
dell'utenza, che tale pedaggio configura il porto come "mera
agenzia fiscale dello Stato", mentre il porto, in quanto
impresa autosufficiente, e per esso l'Autorità Portuale,
dove trarre alimento sostanzialmente dall'efficienza delle imprese
terminalistiche in esso localizzate e perciò dai canoni
concessori.
Per quanto concerne lo strumento dei canoni di concessione, a
parte la delicatezza e complessità della materia che richiederebbe
ben più ampia trattazione, sarebbe da domandarsi quale
politica abbia sinora adottato lo Stato, le sue Amministrazioni
centrali e periferiche in tema di valorizzazione del demanio,
di determinazione ed applicazione delle varie tipologie di canoni
per concessioni marittime, considerato che (pare) in porti non
sedi di Autorità Portuale (ove non esistono bilanci) si
continuano ad applicare canoni minimi discendenti dalla legge
n° 494/93, con forse possibili effetti distorsivi sul mercato
di riferimento. Non sono state poi tanto alcune A.P., le quali
hanno per legge autonomia relativa alla determinazione dei canoni
ai terminalisti, quanto il Ministero dei Trasporti a sollecitare
la presa in considerazione di talune situazioni ben particolari,
a fronte delle quali si consentisse temporaneamente, anche attraverso
lo strumento del canone, di agevolare l'insediamento ed il radicamento
di nuova imprenditorialità terminalistica portatrice di
nuovi traffici e di investimenti.
Peraltro, la legge n° 84/94 affida alle operazioni portuali
non solo ai terminalisti (imprese concessionarie di porzioni di
porto), ma anche alle imprese per operazioni portuali che, in
quanto non concessionarie di banchine, pagano soltanto un contenuto
canone di autorizzazione, il cui minimo fissato dal decreto ministeriale
n° 585/95 dovrebbe, a nostro avviso, comunque essere incrementato.
Perciò, allo stato, è impensabile (anche avuto riguardo
alle caratteristiche dell'imprenditorialità portuale) che
in tutti o nella stragrande maggioranza degli scali sedi di Autorità
Portuale si possano avere le quasi totalità delle banchine
ed aree demaniali adiacenti date in concessione ai terminalisti.
Se, invece, si vuole sul punto cambiare la legge, cancellare l'articolo
16 (ovvero radicalmente trasformarlo) e con esso la figura dell'impresa
per operazioni portuali, prima di realizzare ciò sarebbe
quantomeno opportuno sentire l'utenza, le parti sociali e naturalmente
la volontà politica del Parlamento.
Diverso è il discorso di creare condizioni che stimolino
il consolidamento dell'imprenditoria portuale, su
basi più strutturate; ed è in questo senso che occorre
operare.
Quanto al tema delle tasse portuali e diritti marittimi; esse
costituiscono, a nostro avviso, una componente generata dal flusso
dei traffici di navi e merci confluenti negli scali marittimi
e come tali, in una logica di autonomia e responsabilizzazione
nonché di decentramento fiscale, dovrebbero spettare ai
singoli porti che producono dette attività, così
come avviene nella portualità nord europea, nonché
in concorrenti scali dell'Europa mediterranea. Infatti, da un'indagine
di European Sea Ports Organization (E.S.P.O.) risulta che in Francia
ed in Spagna in porti retti da Enti autonomi o da Autorità
Portuali le tasse portuali a carico delle navi e delle merci vengono
introitate o devolute alle stesse.
D'altronde nel passato in Italia agli enti portuali venivano devoluti
rispettivamente l'intero gettito della tassa portuale, l'80% della
tassa d'ancoraggio, un terzo della tassa erariale. Ora, se è
vero che si va verso il decentramento ed il federalismo fiscale,
che si sostiene da parte governativa e del Parlamento la dimensione
locale dello sviluppo, attraverso la valorizzazione e responsabilizzazione
dei soggetti pubblici deputati a programmare ed intervenire sugli
ambiti territoriali di competenza, allora riteniamo (lo
ribadiamo) sia arrivato il momento di mettere in condizioni le
Autorità Portuali non solo di programmare interventi (come
già fanno attraverso gli strumenti dei P.O.T. e dei P.R.P.),
ma anche di investire direttamente in sostituzione dello Stato
attraverso appunto l'autonomia finanziaria di cui si è
detto, da realizzare se si vuole gradualmente anche per misurarne
gli effetti e le ricadute positive.
Si sa, infatti, e soprattutto ne è consapevole il Ministero
vigilante, che le attuali entrate delle Autorità Portuali
non consentono alle stesse (come già cennato) di realizzare
autonomamente piani di sviluppo infrastrutturale.
Infine, occorre, a nostro avviso, che nella stesura del nuovo
P.G.T. si dia impulso per il potenziamento delle reti infrastrutturali
e dei relativi nodi strategici, rafforzando conseguentemente
i porti, l'economia marittima e quella delle regioni marittime,
consapevoli che la politica comune dei trasporti intrapresa dall'Unione
Europea riconosce la centralità del settore portuale e
ritiene strategico il sostegno alla modalità marittima,
anche nel quadro del programma di riequilibrio modale coerente
con gli obiettivi della politica ambientale: per noi devono valere
gli impegni di Kyoto.
****
Noi crediamo che tutto ciò sia negli obiettivi dell'attuale
Governo e del Ministro Treu, e che incontri in Parlamento una
sensibilità diffusa, tant'è che il Ministro si è
adoperato in tal senso sia nella definizione del programma di
ripartizione dei 1.000 miliardi previsti dalla legge 413/98, sia
per il testo riguardante l'autonomia finanziaria delle Autorità
Portuali, per il quale Lo ringrazio nuovamente a nome dell'Associazione
che rappresento.
Credo anche che il proficuo confronto avviato sul P.G.T. possa
completarsi positivamente.
Permettetemi di concludere questa relazione con una dichiarazione
che è anche un invito ed un impegno: la portualità
Italiana è stata rilanciata; facciamo in modo tutti, e
ciascuno per le proprie competenze, che questo rilancio si consolidi
e si sviluppi nell'interesse del Paese. Per parte nostra continueremo
ad operare in tal senso, portando il nostro contributo di idee
ed azioni.
Buon lavoro, un ringraziamento affettuoso ai colleghi e collaboratori
e grazie ancora a coloro che oggi ci hanno onorato della loro
presenza.
TABELLE
Tabella 1 | Containers movimentati in principali porti mediterranei, anni 1995 - 1996 - 1997 - 1998 |
Tabella 2 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide escluse - anno 1996 |
Tabella 3 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide escluse - anno 1997 |
Tabella 4 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide escluse - anno 1998 |
Tabella 5 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide incluse - anno 1996 |
Tabella 6 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide incluse - anno 1997 |
Tabella 7 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide incluse - anno 1998 |
Tabella 8 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide escluse - confronto anni 1997-1998 |
Tabella 9 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide incluse - confronto anni 1997-1998 |
Tabella 10 | Traffici in principali porti italiani - Rinfuse liquide incluse - confronto anni 1994-1998 |