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Il porto di Genova chiude il 1998 con una crescita complessiva del traffico merci del 5,7%
Contrazione del 9,1% del settore passeggeri. Non sono ancora stati resi noti i risultati ottenuti a novembre e a dicembre
15 gennaio 1999
"Genova è uno dei porti che tengono meglio: siamo ben oltre gli incrementi di altri porti, come l'1,5 per cento di Rotterdam, e nel 1999 ci sarà un ulteriore aumento dei traffici, probabilmente del 10-11 per cento". Così Giuliano Gallanti, presidente dell'Autorità Portuale di Genova, ha commentato oggi i risultati ottenuti nel 1998 in occasione della conferenza stampa in cui tradizionalmente viene presentato il bilancio di un anno di attività del porto. Un'analisi supportata da poche cifre: quelle essenziali per dire che i traffici nel porto genovese non hanno subito un tracollo, ma piuttosto che "Genova rimane il primo porto nel Mediterraneo nel settore contenitori". Complessivamente l'incremento del traffico merci sul 1997 è stato del 5,7 per cento. I migliori risultati sono stati registrati nel settore delle merci containerizzate cresciute del 14,7%, con un movimento totale di 1.265.593 teu (+7,3%), e delle merci varie, salite dell'11,9 per cento. Negativo - si legge nell'analisi compilata dall'authority - il risultato del settore passeggeri: -9,1 per cento. Nulla di più. Nessuna indicazione sui risultati ottenuti a novembre e dicembre: il presidente dell'ente portuale ha solo ricordato che dallo scorso agosto si è registrata una flessione e che i traffici sono andati "maluccio": "effetto della crisi asiatica".
Gallanti ha invece incentrato l'attenzione sul ruolo che l'ente portuale, e per esteso il porto di Genova, deve svolgere nell'ambito dell'economia dei trasporti nazionale. "Il punto - ha spiegato - è quale deve essere il referente dell'Autorità Portuale: se lo Stato, come avviene in Italia o in Spagna, oppure un altro soggetto". Genova, come gli altri porti italiani, risente di una limitata autonomia finanziaria e guarda con invidia agli scali del northern range, appoggiati direttamente dalla municipalità o integrati in vere e proprie città-stato. I punti di riferimento sono realtà come il porto di Rotterdam, dove sono in gioco investimenti per 4.000 miliardi di lire, o come quello di Barcellona: anche in terra spagnola è infatti in atto un processo di riforma e il porto catalano ha programmi che comportano investimenti per 1.650 miliardi di lire. Genova è invece di fronte ad un'alternativa: "a questo punto - ha affermato Gallanti - non è possibile ridurre: o seguiamo il trend di sviluppo come stanno facendo gli altri porti o i traffici vanno da altre parti; non esiste una terza via".
Il presidente dell'ente portuale ha ricordato che nel 1998 il porto di Genova ha assunto un significativo peso sul piano internazionale, un fatto che è "l'elemento di grande novità degli ultimi anni. Sono arrivate sulle banchine genovesi importanti società terminalistiche estere e il processo di internazionalizzazione è coinciso con una serie di ingenti investimenti privati". Il consuntivo dell'ente portuale indica infatti in 159 i miliardi di lire spesi nel periodo 1995-1997 e in quasi 228 quelli impegnati per il triennio 1998-2000. In particolare gran parte di queste risorse riguardano il Voltri Terminal Europa (VTE), per la realizzazione del sesto modulo del terminal e del distripark, il Southern European Container Hub (SECH) e il terminal Messina. Ultimo in ordine di tempo è il programma di investimenti comunicato all'Autorità Portuale dalla società olandese Steinweg, recentemente impegnata nella gestione del Genoa Terminal: nella prima fase di riorganizzazione dell'attività saranno spesi 10 miliardi, a cui si aggiungeranno altri 30 miliardi dopo il 2000.
Ma proprio riguardo agli investimenti l'ente portuale sa di avere pochi margini d'azione. Reduce dall'ultima riunione di Assoporti, Gallanti ha spiegato che a Genova potrebbero arrivare 160 miliardi di lire: questa sarebbe la quota che spetterebbe al porto ligure nella ripartizione dei 1.000 miliardi che lo Stato elargirà a breve agli scali nazionali. In realtà questa cifra sarà inferiore, visto che nel corso dell'incontro tra i membri dell'associazione dei porti italiani si è fatto riferimento alla prima ipotesi di finanziamento, pari a 1.500 miliardi. Ma in ogni caso sono cifre distanti anni luce sia da quelle a disposizione dei porti del Nord Europa che da quelle che lo stesso porto di Genova versa nelle casse dello Stato: nel 1998 sono stati infatti 2.000 i miliardi di lire che attraverso lo scalo sono passati all'erario pubblico. In cambio otteniamo - ha detto il segretario generale dell'ente portuale, Fabio Capocaccia - circa 17-18 miliardi.
Una contropartita molto modesta, solo se comparata al pesante impatto ambientale che il porto procura alla città e alle conseguenti tensioni sociali che provoca: ne sono una testimonianza le accese polemiche innescate nel corso dell'iter di approvazione del nuovo piano regolatore portuale.
Il porto di Genova chiede più autonomia finanziaria e Gallanti giunge ad ipotizzare "una sorta di federalismo portuale". Più concretamente si è fatto cenno, come prima ipotesi, all'eventualità di poter incassare direttamente le tasse portuali: 40 miliardi che - ha detto Capocaccia - consentirebbero di fare investimenti per 600-700 miliardi di lire.
In attesa di risposte positive da Roma, l'ente portuale persegue comunque la propria politica di alleanze nel Mediterraneo. In primo luogo Gallanti ha confermato l'intenzione di cercare un coordinamento delle attività con i vicini porti di Savona e La Spezia, ma ha anche riproposto la validità degli accordi stretti con Barcellona e Marsiglia. Con il porto catalano e quello francese - ha annunciato - è tra l'altro in corso uno studio su una vera ipotesi di cabotaggio, con il trasferimento di traffico su strada a quello in mare: il progetto, finanziato dall'Unione Europea, riguarderà i prodotti chimici.
Gallanti è però consapevole che il raggio d'azione dei porti nordeuropei è ancora troppo ampio e che sono soprattutto quelle le fette di mercato da conquistare. Ipotesi di sviluppo in questo senso devono tenere necessariamente conto delle infrastrutture di collegamento con il retroterra e in questo ambito c'è ancora molto da fare. Il presidente ha parlato ancora degli ostacoli da superare per la realizzazione del terzo valico ferroviario di attraversamento dell'Appennino, "senza il quale è ovvio che il porto di Genova non avrà un grande futuro".
Grande spazio anche al tema della sicurezza - "che riguarda tutti" - e alle possibilità di crescita dell'occupazione garantite dal porto.
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