Il Comitato Nazionale di Coordinamento degli Utenti e degli Operatori Portuali è intervenuto oggi in risposta ad una lettera aperta del segretario nazionale della Filt-Cgil, Mario Sommariva, sul contratto unico dei porti. Sommariva aveva sostenuto che il contratto regola le attività di tutti i soggetti che esercitano le operazioni portuali, ai sensi degli artt.16, 17 e 18 della legge di riforma portuale84/94 e che «ritenere che lo stesso si applichi al solo art. 17 è un non senso poiché tale soggetto, opera nel campo della terziarizzazione».
«L'affermazione di Sommariva che qualifica come un "non senso" la richiesta dell'utenza di vedere applicato il contratto unico dei lavoratori portuali ai soli dipendenti dell'impresa autorizzata ai sensi dell'art. 17, in quanto il vero soggetto contrattuale è l'impresa che richiede il lavoro portuale temporaneo e non l'impresa che lo fornisce - ha replicato il Comitato degli Utenti - ci sembra palesemente illogica oltre che priva di fondamento giuridico. L'art. 4, comma 2 della legge n. 196 del 18/6/1997, disciplinante il lavoro interinale (temporaneo), stabilisce infatti che "al prestatore di lavoro temporaneo è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice". Lo stesso trattamento dovrebbe, quindi, essere applicato anche al lavoratore portuale temporaneo che, di fatto, rappresenta la tipica figura di lavoratore interinale dei porti». «Se per impresa fornitrice si deve intendere, nel settore del lavoro portuale, quella autorizzata ai sensi dell'art. 17 e per imprese utilizzatrici tutte le imprese autorizzate ai sensi degli artt. 16 e 18 - ha proseguito il Comitato - appare evidente come una pedissequa applicazione dell'art. 4 della legge n. 196/97 comporterebbe per i lavoratori portuali temporanei il diritto di vedersi riconosciuto un trattamento retributivo variabile. Ad analoghe conclusioni si perviene leggendo l'art. 3, comma 1, della legge 23/10/1960 n. 1369 che stabilisce l'obbligo solidale tra appaltante ed appaltatore di corrispondere ai lavoratori dipendenti dell'appaltatore un trattamento minimo inderogabile retributivo e normativo non inferiore a quello spettante ai lavoratori dipendenti dell'appaltante».
«Alla luce delle citate disposizioni legislative - ha precisato il Comitato - si delinea quindi meglio il quadro normativo al quale ha fatto riferimento il legislatore con L. 186/2001. L'art. 17, comma 13 della legge n. 84/94 ha avuto di mira essenzialmente la garanzia per i lavoratori portuali temporanei di un trattamento economico e normativo minimo inderogabile non soggetto a continue variazioni e che prescindesse dal trattamento retributivo applicato dalle imprese utilizzatrici ai propri dipendenti.
Per rendere concretamente applicabile tale garanzia è stato necessario quindi imporre per legge alle imprese utilizzatrici l'obbligo di corrispondere tale trattamento anche nel caso in cui detto trattamento risultasse superiore a quello corrisposto ai propri dipendenti. Nel comma 13 del citato art. 17 si legge infatti "Le Autorità portuali .
le Autorità marittime inseriscono negli atti di autorizzazione .
disposizioni volte a garantire ai lavoratori ed ai soci lavoratori di cooperative un trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile", in tal modo viene assicurata ai lavoratori temporanei la garanzia di ricevere il trattamento retributivo minimo inderogabile a prescindere dall'impresa presso la quale il lavoratore è chiamato a svolgere le proprie prestazioni».
«Solo e soltanto questo - hanno concluso gli utenti portuali - può essere il contenuto della disposizione del citato art. 17, comma 13 della legge n. 84/94. Infatti se il legislatore avesse voluto imporre a tutte le imprese portuali autorizzate un contratto unico nazionale avrebbe trasformato un contratto di lavoro di "diritto comune" in un contratto "erga omnes" violando in tal modo palesemente il dettato costituzionale dell'art. 39 che, come è noto, sancisce il principio dell'autonomia sindacale. Principio che si concretizza nel diritto di ciascuna impresa ad applicare ai suoi lavoratori dipendenti il CCNL stipulato dalla propria associazione di categoria».
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