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Pressante invito a liberare la marineria italiana dai lacci burocratici
Terzo convegno nazionale del diporto organizzato dal Collegio Nazionale Capitani L.C. e M.
29 aprile 2010
«Se per qualche motivo abbiamo deciso che gli italiani non sono più titolati a navigare nel mondo, sarebbe ora che qualcuno si decidesse a comunicarlo formalmente». Non ha usato mezzi termini il portavoce del Collegio Nazionale Capitani Lungo Corso, Dario Savino, intervenendo ieri a Venezia al terzo convegno nazionale del diporto, per evidenziare il freno alla competitività della marineria italiana determinato dalla mancata soluzione a problemi burocratici. «Spero invece - ha proseguito Savino nel suo intervento, che pubblichiamo di seguito - che questi naviganti possano ancora dare lustro alla nostra marineria e quindi sarebbe ora di dare una luce a quel faro istituzionale oggi spento ed abbandonato alle incurie della burocrazia».

Il direttore generale del trasporto marittimo presso il ministero dei Trasporti, Enrico Maria Puja, ha rassicurato il folto uditorio dell'evento, che è stato organizzato dal Collegio. Puja ha ricordato che, grazie anche allo stimolo del Collegio, fin da gennaio di quest'anno ci si è rivolti al ministero degli Esteri per avviare le procedure per il riconoscimento bilaterale dei titoli del diporto con l'agenzia inglese MCA.

Al convegno, svoltosi presso la Stazione Marittima Tronchetto, sono intervenuti anche Stefano Vignani (direttore marittimo del Veneto), Eugenio Massolo (presidente IMSSEA e Accademia Italiana Marina Mercantile), Enrico Neri (Fit Cisl Marittimi), Palmira Petrocelli (direttore Ipsema) e Massimo Revello (presidente Isyba).



L'intervento del Comandante Dario Savino


Ascoltando un collega esasperato, che continua a chiedere il ritorno al vecchio codice della navigazione, cancellando tutto quanto è stato fin qui legiferato, mi sono detto che sembrava un disco rotto.

Con l'esperienza, ho imparato che con il confronto si ottiene molto di più che con le contrapposizioni.

Tuttavia non vi nascondo che riflettendo, mi sono sentito anch'io un disco rotto, visto che sono ormai quasi due anni che espongo e discuto degli stessi argomenti senza ottenere alcun risultato apprezzabile per quei marittimi del diporto giustamente amareggiati.

Se per qualche motivo abbiamo deciso che gli Italiani non sono più titolati a navigare nel mondo, sarebbe ora che qualcuno si decidesse a comunicarlo formalmente.

Spero che invece questi naviganti possano ancora dare lustro alla nostra storica marineria e quindi sarebbe ora di dare una luce a quel faro istituzionale oggi spento ed abbandonato alle incurie della burocrazia.

Sarei molto felice di essere smentito qui ed oggi dai fatti.


La Separazione dei marittimi:

Con un recente decreto, le attribuzioni delle competenze riguardanti la formazione ed i titoli della gente di mare sono state divise: per il Mercantile è responsabile il Comando Generale delle Capitanerie di Porto; per il Diporto il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Il reale motivo di tale separazione di competenze riguardante il personale marittimo, che comunque svolge la stessa professione ed allo stesso modo è munito di un identico libretto di navigazione, non è esplicitata nel decreto di attribuzione delle competenze, ma ravvisabile nei diversi canali di pressione che le lobbies imprenditoriali possono esercitare.

Ad oggi per il diporto nonostante i tavoli tenuti a Roma presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la bozza che ha trovato la convergenza di tutti i convenuti è in attesa di un parere da parte dell'IMO che potrebbe rimettere tutto in discussione.

Il quesito posto all'IMO, cerca di stabilire se come si legge nelle premesse del codice STCW (art.3 -c) la convenzione si applica a quei marittimi che prestano servizio su navi marittime autorizzate ad inalberare la bandiera di uno degli stati membri, ad eccezione di coloro che prestano servizio su :

c) yacht da diporto non impiegati in attività commerciali.

La domanda sorge spontanea, coloro che sono imbarcati su yacht da diporto, ma impiegati in attività commerciali vanno trattati seguendo il codice STCW?

Allora ritorniamo al nostro codice della navigazione?

Alla luce di tali quesiti e da quanto L'IMO risponderà, sarà utile rivedere quanto fin qui regolamentato, ripensando alla separazione delle carriere tra diporto e mercantile.

Soprattutto perché non abbiamo preso in considerazione prima una tale possibilità di interpretazione?

Nell'estenuante attesa di una risposta ufficiale da parte del Ministero, il 19 marzo ho inviato una semplice e-mail all'IMO ponendo il quesito al sig. Ashok Mahapatra, Head Maritime Training & Human Element Section

La mia domanda tradotta è la seguente:
premesso che in accordo con l'art.3 del codice STCW, il codice si applica a tutti i marittimi con esclusione di yacht da diporto non impegnati in traffico commerciale.
Il codice STCW si applica agli yacht da diporto impegnati in traffico commerciale?

Dopo appena due ore la risposta del sig. Mahapatra è stata breve e chiara:
Dear Sir,
thank you for your email. If a pleasure yacht is engaged in trade then the STCW convention is applicable.
Che tradotto significa:
Se uno yacht da diporto è impegnato in traffico commerciale allora il codice STCW è applicabile.

A questo punto è necessario tirare un profondo respiro, rimboccarsi le maniche ed accettare l'evidenza dei fatti.

A mio parere due sono le strade percorribili:

La prima: assodato che l'STCW si applica anche a quei marittimi che lavorano nel diporto in uso commerciale, essi vanno assimilati in tutto e per tutto ai marittimi mercantili nel processo formativo, di acquisizione dei titoli STCW e nella progressione in carriera, ovvero bisogna ritornare allo status quo-ante del DM 121.

Per quanto riguarda poi il diporto non in uso commerciale, uno Stato sovrano ha il potere di decidere quali titoli sono necessari e quali le modalità per ottenerli, aderendo o meno al codice STCW, possano essere patenti del diporto o titoli professionali.

La seconda possibilità: è che se si vuole mantenere l'idea della separazione delle carriere dei marittimi del diporto da quelle del settore mercantile, e quindi dare seguito a quella bozza su cui fino ad oggi ci si è confrontati al Ministero, per i titoli del diporto, anche se redatta secondo i dettami dell'STCW, dovrà essere ben chiaro a tutti che tali titoli dovranno poi essere oggetto di un riconoscimento bilaterale da parte degli altri paesi comunitari e non.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dovrà farsi garante di un' immediata azione di riconoscimento dei titoli del diporto all'estero, altrimenti il DM in oggetto sarà solo uno sterile esercizio formale senza nessuna applicazione pratica.

Un ulteriore periodo di attesa non è più accettabile: chi in questo momento sta perdendo il lavoro deve poter almeno preventivare una strategia, decidere se puntare su titoli alternativi che gli consentano di lavorare.

Tuttavia devo ribadire che qualsiasi sforzo per migliorare e correggere il D.M. 121 risulterà vano e privo di qualsivoglia contenuto fino a quando i titoli del diporto non verranno riconosciuti all'estero. E questo avverrà soltanto se l'Amministrazione Italiana provvederà a richiederne il riconoscimento con i necessari passi presso le amministrazioni degli altri Paesi.


Prima del D.M. 121.

In Italia i marittimi lavoravano nell'ambito del diporto in funzione delle seguenti abilitazioni e titoli:
A)i Marittimi (di coperta/macchina) che dopo aver frequentato un Istituto Tecnico Nautico ed aver svolto il periodo di imbarco propedeutico agli esami per i titoli in ambito mercantile, arrivavano ai titoli di primo ufficiale o di c.l.c. e ottenevano i corrispondenti certificati IMO STCW.
B) i Marittimi di formazione mercantile/diporto (coperta/macchina) che anche senza aver frequentato un Istituto Tecnico Nautico, partendo spesso da una qualifica di mozzo o marinaio, con anni di navigazione ed esami in Capitaneria, ottenevano titoli minori (marinaio aut. al traffico, Padrone marittimo, Motorista navale) che li abilitavano entro determinati limiti di tonnellaggio e geografici al comando ed ottenevano i corrispondenti certificati IMO STCW.
Spesso per questi marittimi il periodo di navigazione si alternava tra mercantile, pesca e diporto
C) c'erano poi i patentati nautici abilitati alla conduzione di imbarcazione in funzione di una patente entro o oltre le 12 mg e al comando di navi da diporto in funzione della patente Navi da diporto.

Il mercato del lavoro nell'ambito del diporto prima del D.M.121 veniva diviso tra marittimi di formazione e provenienza puramente mercantile muniti di libretto di navigazione e patentati soprattutto sulle imbarcazioni inferiori ai 25 mt., che costituisce la porzione più' grande delle immatricolazioni di unita' da diporto in Italia.

Tutti i marittimi muniti di certificato IMO STCW con le dovute conversioni potevano ottenere certificati e titoli equivalenti (CEC certificati di equivalente competenza) rilasciati dalle amministrazioni di altri paesi comunitari e non (UK, Lussemburgo, Panama etc.) che gli consentivano accesso al mercato del lavoro su imbarcazioni e navi da diporto di bandiera diversa da quella Italiana, così come é prassi consolidata per l'ambito mercantile.


L'esempio del Regno Unito

Intanto in Europa e soprattutto nel Regno Unito circa 15 anni fa, spronata da un gruppo di lavoro costituito da addetti al settore (comandanti di yacht, broker, manager e L'agenzia Inglese MSA oggi MCA), a cui le assicurazioni avevano esplicitato la contraddizione di noleggiare uno yacht avendo a bordo del personale non abilitato da titoli mercantili, l'agenzia Inglese MCA istituiva un registro, redigeva regole tecniche per la costruzione ed instaurava una serie di titoli che abilitassero alla condotta di Yachts in uso commerciale.

Negli anni il sistema ha continuato ad evolversi, migliorarsi e diffondersi nel mondo come lo standard mondiale per gli yacht che sono usati commercialmente.

Se all'inizio la qualifica Master 4 Y era solo per il comandante mano a mano si sono approntati syllabus, programmi d'esame, completati dai corsi STCW (BST, Radar, ARPA, BRIDGE TEAM, MEDICAL CARE) per ogni membro dell'equipaggio, assicurando cosi' professionalità' e sicurezza ed un florido sviluppo all'industria del charter sotto la Red Ensign.

Tale organizzazione precisa, agile e facilmente fruibile, aiutata anche dai benefici fiscali previsti dal registro sotto una Red Ensign (UK, Channel, Guernsey, Bermuda etc.) ha fatto sì che quasi il 90% delle unita' (yacht e mega yacht) che navigano a scopo commerciale e comunque anche privato, siano iscritte a tali registri.

Una buona parte dei marittimi italiani che era in possesso di un certificato IMO STCW aveva facile accesso al mercato del lavoro su Red Ensign, anche in considerazione del fatto che molti armatori sotto Red Ensign erano e sono di nazionalità' Italiana.


Il Registro Internazionale Italiano

In Italia spinti dalle lobbies di Confitarma e dell'UCINA in rappresentanza dell'armamento della cantieristica nautica Italiana, una delle più grandi al mondo per unità prodotte e vendute, veniva approvato il Registro Internazionale Italiano, molto simile a quello delle Red Ensign, probabilmente con qualche vantaggio fiscale in più, con lo scopo di attirare e far ritornare gli armatori alla bandiera italiana.

Si è cercato di mantenere un alto standard di formazione per il personale che doveva essere impiegato su tali unità e con il D.M. 121 si è attuata una vera e propria separazione delle carriere tra Diporto e Mercantile, creando dei titoli ad hoc per il diporto sulla falsariga di quanto predisposto dall'MCA ed usando i moduli dei titoli IMO STCW.

Di fatto al fine della progressione in carriera e dell'accesso agli esami per conseguire titoli superiori, si è esercitata una netta separazione tra navigazione effettuata nell'ambito puramente mercantile o in quello del diporto,limitando lo scambio tra le due esperienze lavorative.

Nonostante le buone intenzioni del legislatore, il Registro Internazionale Italiano, per il pesante e lento apparato burocratico connesso e per l'assimilazione di uno yacht in uso commerciale troppo stretta ad un mercantile, ha vanificato tutti i vantaggi, rendendo tale registro inservibile per il Diporto ad uso commerciale,solo 9 unità registrate, tanto più che questo Registro non prevede l'iscrizione di yacht superiori a 1000 GT, quando questo limite è superato da molte unità, che per coincidenza sono quelle che sarebbero più interessate a questo registro.


Conseguenze del DM 121

I lavoratori marittimi che prima avevano prospettive lavorative abbastanza ampie,si sono visti, con un solo decreto, restringere l'orizzonte ad uno spiraglio stretto e buio.

Non vi è la possibilità di transitare agevolmente dall'ambito del diporto a quello mercantile e soprattutto di accedere al mercato del lavoro sotto bandiera non italiana, visto che i nuovi titoli del diporto non sono riconosciuti all'estero.

Il popolo delle patenti nautiche, pur di conservare un lavoro, sacrificandosi, ha affrontato personalmente i costi dei corsi e della preparazione per accedere ad un titolo del diporto, per poi scoprire che i titoli del diporto attualmente sono perfettamente inutili al di fuori della bandiera italiana.

Un' ulteriore penalizzazione è stata introdotta considerando come valida, al fine di accedere ai titoli del diporto, solo la navigazione fatta su unità da diporto in uso commerciale svolta su unità superiori a 500 gt, escludendo il diporto in uso privato. Tanti ragazzi diplomati nautici che hanno fatto le prime esperienze su una nave da diporto, magari superiore a 50 mt e 500 tsl, non possono accedere ai titoli mercantili e nemmeno a quelli del diporto se lo yacht su cui hanno navigato era in uso privato.

È evidente a tutti che non vi è differenza alcuna nell'esercizio di gestione della navigazione: la stabilità, la navigazione astronomica, la sicurezza restano le stesse che la nave sia ad uso privato o commerciale.

Vorrei inoltre segnalare alla vostra attenzione che in seguito alla circolare del 17.12.2008 titolo XIII, chi oggi in funzione di un titolo mercantile, riesce ancora a navigare su uno yacht di bandiera estera, diporto o commerciale, non ha la possibilità di farsi riconoscere, autenticare e registrare a libretto i periodi di navigazione. Per tale motivo all'atto del rinnovo del titolo mercantile IMO, non sarà in grado di dimostrare i dodici mesi di navigazione necessari, ragion per cui gli verrà negato il rinnovo di tale titolo con le evidenti conseguenze professionali ed occupazionali.


Altro problema riguarda coloro che prima del 2008 hanno frequentato i corsi come Company Security Officer e Ship Security Officer presso Il RINA ed altri enti autorizzati dal Ministero secondo i dettami del codice ISPS.

In conseguenza dell'adesione alla normativa internazionale, l'Amministrazione Italiana ha previsto una finestra di soli sei mesi nel 2009, per la conversione dei certificati di Ship Security Officer conseguiti prima del 2008.

Non tutti i marittimi sono stai informati di tale strettissima finestra ed oggi non solo hanno perduto il certificato di Ship Security Officer, ma si vedono penalizzati da una interpretazione delle circolari IMO non corretta,in quanto si richiedono 12 mesi di servizio su una nave soggetta ad ISPS come requisito per accedere al corso, quando la circolare IMO prescrive solo 12 mesi di navigazione.

La situazione attuale è disastrosa: tanti marittimi che operano nel diporto stanno perdendo il lavoro; la nostra competitività sul mercato europeo e mondiale nello yachting risulta azzerata. Ci sono associazioni di marittimi del diporto che hanno proposto ricorso al Consiglio di Stato contro il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, altre pronte a scioperi e gesti eclatanti, chiedendo a gran voce l'abrogazione del D.M. 121 ed il ripristino dei vecchi titoli così come erano sanciti dal Codice della Navigazione. Sono loro che al momento stanno pagando il prezzo più caro, sprovvisti degli strumenti necessari per poter lavorare.

Mi rivolgo all'Ammiraglio qui presente per un'altra questione. Spesso mi sento dire che le interpretazioni delle norme e dei regolamenti differiscono da Capitaneria a Capitaneria in giro per la penisola. Sarebbe auspicabile uno sforzo di uniformazione dei criteri di interpretazione ed applicazione delle norme.

Mi auguro che quanto appena esposto possa trovare un ascolto attento in relazione ai fatti e solo a questi.

Il pragmatismo al quale dovremmo attenerci tutti rifugge da interpretazioni ideologiche e da personalismi.

Chi attende una risposta a sostegno del diritto fondamentale del lavoro si augura che il tempo speso per la questione possa portare i sui frutti.

Grazie per la vostra attenzione.
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