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Federagenti, l'industria dello shipping è trainante per l'UE e deve essere sostenuta da adeguate politiche fiscali
Pappalardo: no ad un rigore indiscriminato, specie se posto a confronto con le conseguenze positive di una politica di crescita
23 aprile 2014
Lo shipping è un'industria trainante per l'Unione Europea. Lo sottolinea Federagenti, l'associazione che tutela gli interessi delle navi che approdano nei porti italiani, evidenziando che il comparto deve essere quindi sostenuto da adeguate politiche fiscali. La Federazione italiana ha ricordato i risultati di un recente studio condotto da Oxford Economics per conto dell'ECSA (European Community Shipowners' Association ( del 2 aprile 2014), che rileva come l'industria dei trasporti marittimi in Europa produca un fatturato di 145 miliardi di euro, con un'occupazione di 2,3 milioni di addetti e un gettito fiscale pari a 41 miliardi. L'indagine spiega che ogni milione di euro di contributo dell'industria marittima alla formazione del prodotto interno lordo ne produce 1,6 indotti in altre attività nell'Unione Europea.
Federagenti constata come lo studio individui tre elementi importantissimi di riflessione sull'importanza strategica delle attività marittime. Il primo - spiega la Federazione - è relativo a un trend in controtendenza: nell'Europa della crisi, la flotta mercantile cresce e crescono tutte le attività indotte con l'effetto di una sempre maggiore incidenza sul Pil continentale. Il secondo elemento è relativo alle cause di questo fenomeno tanto in controtendenza da vedere ancora la flotta della Grecia (Paese che maggiormente ha subito l'impatto della crisi e del rigore comunitario) in posizione di assoluta leadership: il trend positivo - osserva Michele Pappalardo, presidente di Federagenti - è sostanzialmente provocato da politiche fiscali mirate a favorirne la crescita e comunque applicate con il fine prioritario di garantire alla flotta e all'industria marittima una capacità concorrenziale sui mercati internazionali. Il terzo elemento è relativo all'effetto volano delle attività marittime, in grado di innescare un effetto moltiplicatore unico, e dar vita - sottolinea ancora Pappalardo - a una positiva reazione a catena sia per quanto attiene la ricchezza prodotta, sia per quanto concerne l'occupazione. Reazione che diventa ancora più consistente prendendo in considerazione l'intera catena logistica. Fra il 2005 e il 2014 le flotte europee sono cresciute di oltre il 70%, e i Paesi UE controllano oltre il 40% della flotta mondiale con un peso specifico rilevante nei trasporti petroliferi e nel trasporto container. All'inizio di quest'anno, il 2014, la flotta dei Paesi membri dell'Unione (comprendente sia le navi battenti bandiera europea sia quelle controllate da interessi europei, ma immatricolate sotto altri registri marittimi) contava su 23.000 unità per una portata complessiva di 430 milioni di tonnellate e una stazza di 660 milioni.
«Dati questi - conclude Pappalardo - che sarebbe suicida passare sotto silenzio. Dati che dovrebbero fare riflettere anche sulle conseguenze di un rigore indiscriminato, specie se posto a confronto con le conseguenze positive di una politica di crescita che può e dovrebbe produrre risultati ancora più rilevanti. Ecco dove la UE non ha fallito».
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