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ICS, lo shipping non è una vacca da mungere
Secondo l'associazione armatoriale, il contributo del settore al Green Climate Fund deve riflettere il modesto contributo del trasporto marittimo al totale delle emissioni globali di CO2
1 dicembre 2014
L'International Chamber of Shipping (ICS) non usa mezzi termini esemplificando quale dovrebbe essere il contributo economico versato dalle aziende del settore che rappresenta nelle casse del Green Climate Fund (GCF), il fondo multilaterale creato nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) con l'obiettivo di consentire alle nazioni in via di sviluppo di mitigare l'impatto dei cambiamenti climatici. L'industria dello shipping - chiarisce l'associazione armatoriale internazionale - «non è una vacca da mungere».
L'ICS evidenzia che il settore dei trasporti marittimi trasporta circa il 90% del commercio mondiale e produce solo il 2,2% circa del totale delle emissioni totali di gas serra (dato del 2012), percentuale che è tra l'altro diminuita sensibilmente negli ultimi anni essendo stata pari al 2,8% nel 2007.
In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che si apre oggi a Lima, l'associazione sottolinea come lo shipping sia quindi sulla buona strada per ridurre le emissioni di oltre il 20% entro il 2020 (rispetto al 2005) e per conseguire successivamente ulteriori riduzioni. Il comparto dei trasporti marittimi - rileva l'ICS - è l'unico segmento industriale che è già oggetto di un accordo globale vincolante per ridurre le proprie emissioni di CO2 attraverso misure tecniche e operative concordate con il pieno supporto del settore dal suo regolatore globale, cioè l'International Maritime Organization (IMO). Inoltre - ricorda l'ICS - l'IMO sta sviluppando ulteriori misure per ridurre le emissioni di CO2 prodotte dallo shipping e - sottolinea l'associazione - «la Conferenza delle Nazioni Unite deve mantenere il suo sostegno all'IMO quale principale forum per affrontare il tema delle emissioni dei trasporti marittimi, che non può essere attribuito a singole economie nazionali».
Pertanto, secondo l'ICS, qualsiasi decisione, come ad esempio se individuare per lo shipping misure basate sul mercato che potrebbero essere collegate al Green Climate Fund (GCF), dovrebbe essere di competenza degli Stati membri dell'IMO. «L'IMO - spiega l'associazione - sarà nella posizione migliore per sviluppare un approccio che possa conciliare il principio di “Responsabilità comune ma differenziata (CBDR)”dell'UNFCCC, in base al quale i Paesi in via di sviluppo vengono trattati in modo diverso, con la necessità per tutte le navi, a prescindere dalla bandiera, di essere trattate in maniera uniforme».
Ribadendo che «lo shipping è un'industria globale che richiede norme in materia di emissioni di CO2 da applicare su base globale a tutte le navi», l'associazione rileva che, «oltre a prevenire la distorsione del mercato in questo settore totalmente globalizzato, ciò è necessario per evitare il rischio di delocalizzazione delle attività (carbon leakage) dal momento che solo circa il 35% della flotta mondiale è registrato presso le nazioni sviluppate che sono coperte da impegni di riduzione delle emissioni nell'ambito del protocollo di Kyoto sulla prevenzione dei cambiamenti climatici. La posizione del settore dei trasporti marittimi - specifica l'ICS - resta che qualsiasi contributo dello shipping al Green Climate Fund deve riflettere il modesto contributo del settore al totale delle emissioni globali di CO2. L'ICS - conclude l'associazione - si oppone fermamente a qualsiasi ipotesi che il settore dei trasporti marittimi debba collettivamente pagare decine di miliardi di dollari ogni anno». Per l'ICS, appunto, lo shipping non è una vacca da mungere.
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