- La protesta contro l'obbligo del possesso del “green pass” per svolgere attività lavorative, che entrerà in vigore venerdì, è arrivata anche sulle banchine, con il Coordinamento dei Lavoratori Portuali di Trieste che minaccia di bloccare le operazioni nei porti di Trieste e Monfalcone a partire da quella data e con la sezione Porto di Genova dell'Unione Sindacale di Base (USB) che ha chiamato i lavoratori ad un presidio che si terrà domani presso la sede dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale. Il CLPT chiede la rimozione dell'obbligo del green pass non solo per i lavoratori del porto ma per per tutte le categorie di lavoratori, mentre l'USB chiede tamponi salivari molecolari gratuiti per tutti i lavoratori e a spese delle aziende che - ha sottolineato il sindacato - «con il nostro lavoro fanno profitti».
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- Confetra Friuli Venezia Giulia ha manifestato la propria contrarietà ad un'astensione dal lavoro che secondo la confederazione delle imprese marittime, logistiche e portuali della Regione è stata proclamata per motivi ideologici. «Per quanto possa essere importante il rispetto dei diritti dei singoli - ha osservato la confederazione - la difesa degli stessi non può danneggiare l'intero sistema: nella situazione in cui nostro malgrado ci troviamo, il sistema portuale di Trieste verrebbe irreparabilmente devastato da uno sciopero ideologico contro una legge dello Stato, che gli imprenditori si trovano a subire tanto quanto i lavoratori, con in più gravi oneri posti a loro carico dalle istituzioni».
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- La Confederazione regionale ha ricordato che «su esplicita richiesta scritta del Ministero degli Interni, i terminalisti portuali rappresentati da Confetra FVG hanno deciso di rimborsare, ciascuna impresa per i soli propri dipendenti diretti, il costo dei tamponi, al fine di dare la possibilità al proprio personale non vaccinato di ottenere il green pass. Come esplicitato al prefetto di Trieste ed all'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, tale disponibilità, a valere fino al 31 dicembre 2021, è condizionata alla ripresa ed al mantenimento della regolare e piena operatività delle operazioni al porto di Trieste dal 16 ottobre. Questo è quanto, concretamente, le imprese possono fare, nonostante ciò non sarà comunque sufficiente a risolvere tutti i problemi applicativi delle disposizioni nazionali, adottate a nostro avviso sopra le nostre teste e senza un previo ed adeguato confronto, nel merito, da parte dei ministeri competenti».
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- Ricordando che dal sistema logistico del porto di Trieste dipende il sostentamento di oltre 10.000 famiglie, tra posti di lavoro diretti ed indiretti, e che le imprese del settore hanno investito per anni nelle attività e nella formazione dei collaboratori, acquisito traffici e dato lavoro a migliaia di persone, anche durante la fase più acuta della pandemia, Confetra FVG ha avvertito che «se non verrà disinnescato questo cortocircuito tra istituzioni e cittadini, rischiamo di bruciare in poche settimane 15 anni di lavoro e di sviluppo, con gravi conseguenze sui livelli occupazionali che dureranno per molti anni a venire. Di fronte all'instabilità dovuta ai disordini ed all'incertezza sulla piena operatività del porto - ha denunciato la Confederazione - la merce sta già prendendo altre strade, verso altri porti europei. Ogni giorno centinaia di camion arrivano e partono, e migliaia di container vengono imbarcati o sbarcati al porto di Trieste ed ora scelgono altri porti. Se le operazioni verranno fermate, le merci troveranno altre strade più sicure e non ritorneranno facilmente indietro».
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- Riferendosi invece all'esortazione del governo alle imprese portuali a farsi carico degli oneri per test molecolari o antigenici rapidi, il presidente di Federlogistica-Conftrasporto, Luigi Merlo, ha denunciato che così facendo «lo Stato ora si piega ad un ricatto inaccettabile. E ciò - ha aggiunto - è il frutto maturo di una distorsione di fondo: quando si tratta di occuparsi di temi che riguardano i porti, emergono solo insipienza e superficialità. Di volta in volta - ha spiegato Merlo - assistiamo al commissariamento del Ministero delle Infrastrutture: era accaduto con il Ministero dei Beni Culturali sul caso Venezia, esautorando totalmente le competenze del Ministero delle Infrastrutture; si ripete oggi con il Ministero degli Interni che su green pass interviene nei porti senza conoscerli e senza avere la minima idea di come funzionino, di quali equilibri li caratterizzino, persino di quali rapporti intercorrano fra concessionari e Stato. E ciò - ha concluso Merlo - significa minare un asse portante della nostra economia. Il Ministero delle Infrastrutture dovrebbe avere un sussulto di orgoglio e svolgere la funzione che dovrebbe essere sua».
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- Riferendosi invece non al settore portuale, ma a quello dell'autotrasporto la cui attività è tuttavia strettamente interconnessa con quella dei porti, Ruote Libere, la rappresentanza di imprese del settore del trasporto stradale delle merci, ha esortato a sospendere l'entrata in vigore del certificato verde per tutta la filiera del trasporto. Lanciando un allarme sui pericoli che potrebbero ricadere sul Sistema-Paese, la portavoce di Ruote Libere, Cinzia Franchini, ha affermato che è «difficile fare stime, ma se è vero che circa il 30% dei camionisti non è vaccinato, tra italiani e non italiani, il rischio di una paralisi di un settore vitale per l'economia italiana è concreto. Per evitare una deriva simile e le tensioni conseguente, sempre da censurare - ha rilevato Franchini - è inevitabile esonerare questa filiera, includendo anche gli operatori della logistica e i portuali che in queste ore hanno lanciato un appello simile, dall'obbligo del mostrare il green pass».
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- «Parliamo - ha proseguito Franchini - di una categoria che non si è mai fermata, nemmeno nei momenti più duri della pandemia. Con il Paese barricato in casa, nessuno ha ovviamente pensato di esentare gli autotrasportatori dal lavorare e dal viaggiare, mettendo a rischio la propria vita. Ora, nella consapevolezza che tutti gli autotrasportatori rispettano le norme del distanziamento e dell'uso della mascherina e che per loro nelle aziende sono previsti percorsi dedicati per ridurre al minimo i contatti ravvicinati, crediamo che il buonsenso imponga un ripensamento sul tema green pass. Ricordiamo inoltre che ancora non è stato chiarito che tipo di regole varranno per i vettori esteri. Se costoro sono esentati dal green pass, perché dovrebbero adottarlo i vettori italiani? L'impressione, ancora una volta - ha lamentato la portavoce di Ruote Libere - è che il governo nel legiferare non abbia minimamente presente cosa significhi fare l'autotrasportatore, basti pensare, ad esempio, come le norme sui tempi di guida e riposo rendano completamente inattuabile la strada alternativa del tampone».
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