Rendendo noti gli esiti di un proprio studio sul cambiamento dei
flussi di approvvigionamento del combustibile fossile in Europa
determinato dalle sanzioni imposte dall'UE alla Russia per la guerra
contro l'Ucraina, l'organizzazione ambientalista Transport &
Environment ha lamentato che il cambiamento è avvenuto senza
ridurre la domanda europea di petrolio, che è stata
semplicemente soddisfatta sostituendo le importazioni dalla Russia
con quelle provenienti da altri Paesi produttori, perdendo così
ancora una volta - ha denunciato T&E - un'opportunità
storica per diminuire il consumo di combustibili fossili e ridurre
la dipendenza dalle importazioni. «In poco più di un
anno - ha spiegato Carlo Tritto, policy officer per T&E Italia -
l'UE ha ridotto sensibilmente la sua dipendenza dal petrolio russo.
Purtroppo questo non è dovuto ad un abbattimento nei consumi
di combustibile fossile, ma a una strategia di sostituzione “barile
per barile” del greggio russo con quello di nuovi fornitori.
Se tutti gli sforzi profusi nel ridisegnare la mappa delle
importazioni fossero stati indirizzati verso politiche di
superamento della dipendenza dagli idrocarburi, oggi avremmo un
sistema energetico migliore e più pulito».
Lo studio specifica che se nel gennaio 2022, il mese precedente
all'avvio del conflitto scatenato il 24 febbraio da Mosca contro
l'Ucraina, la Russia rappresentava il 31% delle importazioni europee
di petrolio, nel marzo 2023, a seguito delle varie sanzioni, la
quota è scesa ad appena il 3%. Ciò è avvenuto
con l'aumento delle importazioni da altre nazioni produttrici. In
particolare, alla fine del 2022 gli Stati Uniti hanno sostituito la
Russia come primo esportatore verso l'Europa, con l'11% delle
importazioni dell'UE; seguono a ruota la Norvegia e l'Arabia
Saudita. Oltre a quelle dai fornitori tradizionali, sono cresciute
anche le importazioni mensili dall'Angola verso l'UE, aumentate di
sei volte sino a raggiungere quasi sei milioni di barili. Anche la
quota delle esportazioni brasiliane e irachene è aumentata.
Lo studio evidenzia anche come l'Italia sia stato l'ultimo Paese
dell'UE a diversificare i propri approvvigionamenti ed anzi, al
contrario di altri Paesi che con l'avvio del conflitto in Ucraina
hanno rapidamente cercato di diversificare le fonti di import di
greggio, nel 2022 l'Italia ha visto crescere il consumo di petrolio
russo (+65% rispetto all'anno precedente) che è arrivato a
rappresentare il 19% delle importazioni italiane (il 13% nel 2021).
Il documento precisa che questo dato si spiega in larga parte con la
presenza di una raffineria di proprietà russa, la ISAB, nel
porto siciliano di Augusta, raffineria - si specifica - che, come
già documentato dal “Financial Times” e dalla
“Reuters”, prima della guerra sembrava operasse con
greggio di diverse provenienze, mentre con l'inizio delle sanzioni
sul petrolio russo il greggio di Mosca è passato dal 30% al
100% del raffinato, potendo l'impianto contare solo sulle forniture
provenienti dalla sua società madre, la russa Lukoil. Lo
scorso anno la ISAB ha processato un quinto del greggio arrivato in
Italia, determinando appunto l'impennata delle importazioni
complessive di greggio russo. Tale crescita si è esaurita con
l'inizio del 2023, per via dell'embargo (-90% tra novembre e
dicembre 2022). Nel mentre è stato annunciato l'accordo per
la vendita della raffineria Lukoil ad una società cipriota.
Lo studio ricorda inoltre che prima del conflitto, oltre alle
importazioni russe, l'Italia comprava petrolio principalmente da
Azerbaijan e Libia, mentre nel 2022 le importazioni da questi Paesi
sono diminuite rispettivamente del -28% e del -9% rispetto all'anno
precedente. Una maggiore diversificazione nel portfolio di Paesi da
cui l'Italia importa petrolio si è manifestata alla fine del
2022 e soprattutto all'inizio del 2023: i dati dei primi mesi di
quest'anno - rende noto lo studio - mostrano quali Paesi hanno
compensato il calo dei primi tre esportatori, con l'Iraq che è
diventato il maggior esportatore verso l'Italia, con un'impennata
del +15% tra il 2021 e l'inizio del 2023; anche le importazioni
dagli Stati Uniti sono aumentate (del +140%), tanto che gli USA
figurano ora tra i primi cinque esportatori di petrolio verso
l'Italia; la crescita percentuale maggiore è tuttavia quella
del greggio dal Kazakistan (+460% rispetto al 2021), che ora è
il sesto esportatore in Italia; ugualmente sono cresciuti i flussi
dall'Arabia Saudita, quinto Paese esportatore con il 17%.