- Associazione Spedizionieri
Corrieri e Trasportatori di
Genova-
- Relazione morale del Consiglio Direttivo
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- ASSEMBLEA GENERALE
31 marzo 2008 - Palazzo San Giorgio-
- Signore e Signori, Autorità
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- L'economia italiana è a crescita zero e si appresta ad
affrontare un periodo particolarmente difficile. Per noi la
situazione è aggravata dal fatto che il prodotto interno
lordo di Genova e Provincia ha fatto registrare, già nel
2007, una crescita molto più bassa rispetto al resto del Nord
Italia, tra lo 0,7% e l'l%. L'ipotesi più accreditata, tra
gli analisti, è che la nostra Provincia avrà una
crescita praticamente a zero (tra lo 0,1 e lo 0,3% rispetto allo
0,7% previsto dalla media nazionale). La Camera del Lavoro ha
individuato le cause del declino: in una base industriale molto
ridotta, in un rallentamento della crescita del porto ed anche una
forte terziarizzazione, che tocca ormai punte dell'80%. Una brusca
frenata, considerato che nel 2006 la produzione era salita ai
livelli più alti degli ultimi quattro anni. In tutti gli
altri Paesi europei le cose vanno decisamente meglio. Ma le
prospettive sono incerte a causa dell'insostenibile aumento del
petrolio, della continua svalutazione del dollaro rispetto all'euro
e da preoccupanti segnali di recessione dell'economia americana.
Questo dato è evidenziato dalla drastica diminuzione del
trade transpacifico, che ha costretto molte compagnie a ridurre
tonnellaggio e servizi mentre le prime tre compagnie di linea del
mondo, Maersk, MSC e CMA-CGM, hanno affrontato l'emergenza dando
vita ad un'inedita alleanza, che potrebbe determinare nuovi scenari
anche su altri mercati. Proprio in questi giorni infatti Maersk e
CMA-CGM iniziano a collaborare anche nel trade transatlantico, fra
il Nord Europa e la costa est degli Stati Uniti. E' un fatto certo
che, sulla spinta del deprezzamento del dollaro rispetto all'euro,
le esportazioni dagli Stati Uniti all'Europa ed al Mediterraneo
stanno crescendo ad un ritmo molto sostenuto. Il cuore del commercio
internazionale è comunque sempre più spostato sul
continente asiatico, che anche nel prossimo decennio sarà
protagonista di un ulteriore fortissimo sviluppo. Nel settore del
commercio internazionale, ed in quello marittimo in particolare,
queste previsioni si sono tradotte in un elevato ordine di navi full
container ad altissima capacità di trasporto, in grado di
poter anticipare le esigenze di un incremento sensibile delle
importazioni dal Far East. Tutto il sistema logistico legato alle
importazioni nel continente europeo di merci provenienti in
particolare dalla Cina si è adeguato a questa logica di
sviluppo. Il risultato è che Amburgo continua ad essere il
primo porto europeo per le importazioni dalla Cina, seguito da
Rotterdam ed Anversa. Da anni sosteniamo con forza che anche Genova,
come principale scalo internazionale del Sud Europa, deve
attrezzarsi con urgenza per poter accogliere quella che potremo
definire una naturale ed inevitabile “onda lunga dei
traffici”, profittando anche del congestionamento dei porti
del Nord che non riescono più a far fronte a volumi così
imponenti. Il tema è come prepararsi ad accogliere quello che
comunque sarà un incremento, forse anche rilevante di
traffico. Secondo noi, puntando prima di tutto sui servizi alla
merce, più che sulle infrastrutture. Dopo anni di
dilettantismo e di tante parole inutili, dobbiamo tornare a lavorare
nel ‘concreto; o meglio, “vogliamo continuare a
sporcarci le mani di porto” partendo da ciò che si ha
già, iniziando dalla nostra cultura e dalla nostra
professionalità, per cercare di realizzare progetti reali,
iniziative fattibili qui ed ora. In particolare, in un momento così
delicato per la nostra economia, ogni punto di competitività
recuperato dal porto diventa un punto di competitività per le
imprese, che mai, come in questo periodo, hanno avuto bisogno di
ottimizzare le proprie performance al livello della migliore
competizione internazionale. Negli anni ‘90 il porto, al suo
interno, si è adeguato agli standard europei, con rese
soddisfacenti. Una premessa necessaria per le grandi multinazionali
del mare, che si orientano su porti che offrono “efficacia”
ed “efficienza” in termini di servizi, di resa ed aree
di interscambio. E' un fatto che la portualità italiana nel
suo complesso non ha capito per tempo che la rivoluzione dei
container ha fatto passi da gigante, passando con decisione alle
navi da 10.000 teus ed oltre. In Italia un solo porto, l'hub di
transhipment di Gioia Tauro, è in grado di scaricare le navi
da 12 mila teus, con pescaggi idonei e gru capaci dì coprire
ponti con 22 file di container. Un punto critico per il nostro
scalo, sul quale bisogna certamente innovare sul presente con i
dragaggi nel bacino del porto storico e con grandi progetti rivolti
al futuro. Ma già oggi si può e si deve fare di più
e di meglio. Con questo approccio propositivo, riteniamo che il
nostro porto, le sue categorie, dovranno impegnarsi a riconoscere
regole e tempistiche certe per la merce. In questi ultimi anni
abbiamo tutti vissuto alla giornata, con il risultato che oggi il
più importante porto italiano vive in una situazione di
totale destrutturazione normativa e regolamentare, senza un piano
organico di regole in grado di definire i rapporti, le relazioni che
legano i soggetti che ogni giorno lavorano al suo interno. Ed è
impensabile che, in questo stato di confusione, si possa realmente
migliorare qualche cosa. Dobbiamo dunque creare un sistema organico
per lo sviluppo. Si tratta di ridefinire non solo l'Autorità
Portuale, ma il porto nel suo complesso, la sua organizzazione. Ogni
soggetto che interviene in una fase del lavoro deve partire dalla
consapevolezza che il proprio agire può incidere sia in senso
positivo che in negativo sul lavoro e sulla capacità
dell'intero ciclo produttivo. Ciascuno dovrà quindi farsi
carico, oltre agli obblighi di cui già è portatore,
anche di un ulteriore onere dettato dal partecipare alla migliore
resa produttiva dello scalo. In altre parole, intendiamo dire che è
necessario introdurre un concetto nuovo: quello di “resa alla
merce o di resa commerciale”. Un porto di eccellenza deve
essere in grado di garantire servizi alla merce a 360 gradi. Ecco
allora che oltre ai tradizionali concetti di resa nave e di resa
camion, si dovrà introdurre un nuovo e terzo parametro di
valutazione della performance, quello appunto di resa alla merce.
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- I servizi alla merce - le regole - i poteri sanzionatori
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- Il futuro del porto non può più essere affidato
alla politica degli slogan o delle opportunità del momento.
Il nuovo modo di lavorare del nostro porto deve partire
dall'Autorità Portuale e da un suo ritrovato ruolo di reale
coordinamento e di reale potere di controllo, che non può
escludere un reale potere sanzionatorio. L'Autorità Portuale
deve riscrivere le regole. Agli operatori tocca l'onere di
rispettarle. Ma l'Autorità Portuale ha il dovere di
intervenire con forza e determinazione quando le regole non sono
rispettate. Su un rinato o rigenerato potere di Palazzo San Giorgio
si deve costruire una struttura normativa garante dei servizi e
delle rese' alla merce. All'interno del porto deve esservi un solo
padrone - LA MERCE - nessun'altro. Ecco allora che deve essere
chiaro ad ogni categoria che sarà indispensabile costruire
insieme un apparato normativo di garanzia dove declinare diritti ed
obblighi, tempi e modalità di lavoro, disciplinando ogni
aspetto in grado di incidere per esperienza e per logica all'interno
delle tempistiche di resa.
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- La “Carta dei servizi portuali”
-
- Per realizzare questo sistema di garanzie, abbiamo proposto a
tutta la comunità portuale l'adozione di una “Carta dei
Servizi”, un documento nel quale vengano fissati paletti
precisi, diritti e obblighi per ognuno: mansioni, tempistiche,
garanzie di rendimento. Non abbiamo copiato il compito da nessuno:
saremo il primo porto in Europa ad essere dotato di uno strumento di
questo genere, peraltro già ampiamente diffuso in molti altri
settori, sia pubblici che privati. L'utilità è presto
detta: basti pensare a quante situazioni di crisi dobbiamo
affrontare ogni anno. Cattivo tempo, scioperi, il vento, che pare a
Genova soffi più che a Trieste, considerato che nessun altro
porto italiano ed europeo chiude per tanti giorni l'anno come il
nostro a causa del vento. Ad ogni crisi, la catena logistica e
spesso anche la città si inceppano. Nascono dubbi,
incomprensioni, scarichi di responsabilità. Si allestiscono
tavoli tecnici per superare l'impasse, ma ad un nuovo problema o
allo stesso che si ripropone ci si ritrova punto e capo. La Carta
dei servizi servirà principalmente proprio per questo: non
tanto per affrontare emergenze e situazioni contingenti, ma per
eliminare i problemi alla radice. Proprio perché risponde
alla fatidica domanda “chi fa cosa”. La regia
complessiva del progetto non potrà dunque che essere
dell'Autorità Portuale, che nella sua applicazione dovrà
poi monitorare in maniera chiara tutta la catena decisionale con
trasparenza e decisione. Quello di cui c'è bisogno è
solo lavoro concreto. Tanto e subito, perché per ogni giorno
che un contenitore resta in porto, oltre già ai cinque giorni
di normale giacenza, si accumulano su quel contenitore e sulla
merce, costi e svalutazioni commerciali tali per cui ogni giorno in
più costa all'importatore e poi consumatore, una media di 250
euro.
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- Obiettivi concreti per il piano triennale del porto
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- Se è certamente utile e necessario porsi obbiettivi
ambiziosi e grandi, come quello della movimentazione di 10 milioni
di contenitori nel 2015, è però altrettanto necessaria
l'assunzione di un metodo di lavoro che assuma intanto la
realizzazione in tempi certi di obiettivi concreti. Allo slogan dei
10 milioni di contenitori nel 2015 preferiamo replicare con un altro
slogan: “fuori i contenitori dal porto in 48 ore”.
Questo è un obbiettivo concreto, che già nel 2008
aumenterebbe la capacità produttiva del nostro porto di
almeno tre volte. Bisogna partire da una realtà che da anni
monitoriamo e che abbiamo documentato con studi affidati
all'Università: e cioè dal fatto che la media di
giacenza nei terminal di un contenitore varia dai 5 ai 12 giorni. Se
riuscissimo a ridurre questo tempo si potrebbe raggiungere subito
l'obiettivo di rendere super produttivo il nostro porto garantendo
la migliore ottimizzazione degli spazi esistenti. In questo modo si
potrebbe concretamente pensare di arrivare a 5 milioni di
contenitori sulla base degli spazi esistenti, compreso il
completamento di Calata Bettolo. L'analisi deve dunque spostarsi,
per capire cosa si debba fare per raggiungere questo obiettivo. Ma,
considerati i troppi momenti drammatici vissuti dal nostro porto,
prima di dare alcune risposte è doverosa una premessa:
accelerare i tempi di resa della merce, aumentare la capacità
produttiva dello scalo non vuoi dire minore sicurezza. La sicurezza
deve essere il postulato su cui costruire ogni procedura. Si
tratterà quindi di investire di più in risorse umane
ed in sicurezza strutturale oltre che procedurale, eliminare alcuni
monopoli, sviluppare i servizi telematici, normare i rapporti e le
responsabilità senza lasciare spazi di arbitrio a nessuno.
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- “Fuori i contenitori in 48 ore”: come realizzare
l'obiettivo
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- In questi anni la nostra collaborazione con l'Agenzia delle
Dogane ha già consentito di ottenere risultati apprezzabili.
Ma oggi ci vuole di più, è necessario un “Patto
di funzionamento della Dogana”. Uno dei primi passi che
riteniamo siano necessari è quello di ottenere uno statuto
speciale per l'Agenzia delle Dogane di Genova. Va infatti ancora una
volta sottolineato con forza che la Dogana di Genova non è
come le altre dogane italiane. Qui, a fronte di un numero esiguo di
personale, viene gestita la stragrande maggioranza delle pratiche
doganali di importazione ed esportazione italiane. Nei giorni scorsi
le Dogane hanno comunicato che saranno attivate 1500 assunzioni in
tutta Italia in tre anni, a partire dalle graduatorie già
esistenti. Quindi, già dal 2008, anche l'organico di Genova
dovrebbe essere implementato. La sigla del contratto integrativo
consentirà poi di riprendere il lavoro straordinario. Ma
tutto ciò, lo sappiamo, non sarà sufficiente per
raggiungere l'obiettivo che ci siamo posto. Se la Dogana, ovvero il
Ministero delle Finanze, non fosse in grado di stanziare fondi
sufficienti per garantire un adeguato apporto di risorse umane e di
strutture, allora è forse il caso che siano la merce o gli
operatori a chiedere di potersi servire anche di soggetti terzi per
l'espletamento di queste funzioni.
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- Sveltire le verifiche
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- E' poi necessario un maggiore coordinamento di tutte le attività
di verifica da quella Sanitaria a quella Doganale passando per
Veterinario di Porto, Fitopatologo, Agecontrol e così via. E'
il noto sportello unico, o forse qualcosa di più, perché
il servizio di verifica dei contenitori ha tempistiche lunghe, che
spesso e volentieri incidono in maniera assolutamente negativa sulla
capacità di resa del porto e delle merci. Bisogna essere
messi nella condizione di indirizzare i contenitori per la verifica
prima ancora che questi sbarchino. Qui l'obiettivo è quello
della dichiarazione anticipata e dell'esito anticipato (rispetto
all'arrivo fisico della merce in porto). In questo modo sarebbe
possibile non solo trasferire i contenitori in apposite aree
destinate ad operare ogni forma di verifica, ma si sarebbe anche in
grado di coordinare e programmare il lavoro. Conoscendo i problemi
ed i volumi attesi sarebbe possibile orientare le risorse nel modo
migliore ed ottimale. Questa procedura è già in atto
in diversi Paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti, che fanno della
procedura del cosiddetto ‘pre-clearing' il loro punto di forza
per poter gestire, gli enormi volumi delle merci in entrata nel loro
Paese.
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- L'informatica al servizio delle procedure - Riduzione di
tempi - Certezza dei dati
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- In questo settore si tratta del coordinamento e della governance
del sistema. Le opere e le iniziative di infrastrutturazione
informatica e telematica costituiscono un obiettivo non solo
concreto ma il solo, allo stato attuale dei fatti, in grado di
migliorare, ed anche di molto, le performance di questo porto. La
velocità con cui i dati e gli elementi conoscitivi legati al
carico possono essere messi insieme, confrontati, raffrontati,
verificati ed esitati è determinante. Il Progetto E-Port è
un dato concreto, che ha inciso molto positivamente su alcuni
importanti aspetti operativi come nel caso delle importazioni di
Voltri, come nel caso delle procedure di ricarico al Sech di
Sampierdarena, come nelle ormai prossime procedure di Export sia a
Voltri che a Sampierdarena. E' però necessario accelerare il
quadro realizzativo legato ai singoli segmenti operativi ed
individuare una Governance di sistema che coordini e dia impulso
agli attori dei singoli segmenti produttivi. Il soggetto governante,
in linea di principio, potrebbe o dovrebbe essere, in linea teorica,
il sistema in sé. O forse, più facilmente, potrebbero
essere i singoli attori attraverso strutture consortili/societarie
appositamente concepite.
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- Il traffico fuori dal porto storico - Lungomare Canepa
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- Oggi l'unica soluzione praticabile per lo sviluppo è
l'ammodernamento del bacino di Sampierdarena, dove si possono
costruire nuove banchine e realizzare nuovi riempimenti. Anche in
previsione della, speriamo prossima, entrata in funzione di Calata
Bettolo, sarebbe quindi necessario provvedere già a demolire
la struttura del vecchio varco doganale di San Benigno, ormai
incoerente con l'assetto operativo della zona, di procedere ad un
riassetto dell'area di verifica doganale del piazzale interno al
varco e, in prospettiva, la rapida conclusione dei lavori di
ristrutturazione della Palazzina di San Benigno dove allocare il
controllo informatizzato dei contenitori in uscita, come già
attuato a Voltri. Il collo di bottiglia principale è infatti
costituito dalla limitatezza dei varchi doganali a San Benigno, e
della mancanza di aree idonee all'incanalamento e al deflusso dei
TIR nei momenti di congestione o per la sosta temporanea dei mezzi
in entrata nel porto in caso di emergenza traffico. A prescindere
dalla futura sistemazione definitiva della strada a mare (per la
quale comunque le sei corsie sono assolutamente necessarie, se si
vuole separare il traffico commerciale in entrata ed in uscita dal
porto dal traffico automobilistico), si può immediatamente
destinare il lato abbandonato di Lungomare Canepa ad area di
deflusso dei TIR per tutti i momenti di congestione ai varchi.
L'incanalamento dei camion su una corsia appositamente dedicata
consentirebbe di decongestionare il casello di Genova ovest, con
grandi benefici per il traffico in entrata. Per questo intervento,
liberati gli spazi del lungomare ora abbandonati e fatiscenti,
sarebbe sufficiente una pattuglia di vigili urbani per la deviazione
del traffico verso l'area di deflusso. Con questi interventi
verrebbero definite delle aree di sosta, fruibili a rotazione ed
eventualmente a pagamento, riservate esclusivamente ai mezzi
operativi destinati ai terminal, stante la ristrettezza di aree da
destinare a parcheggio pubblico per gli altri tipi di veicoli
autorizzati a circolare nel bacino commerciale. Molto utile sarebbe
anche la creazione di un'area custodita adibita alla sosta
temporanea di contenitori sdoganati fuori dell'area doganale di
Voltri e di Sampierdarena.
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- I camion di notte. Un esperimento pilota a Rotterdam
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- La società terminalistica ECT di Rotterdam, controllata
da Hutchison Ports, inizierà la prossima settimana un periodo
di sperimentazione su un progetto teso ad incoraggiare i camionisti
ad utilizzare i terminal nelle ore notturne, evitando così le
ore di maggiore congestionamento del traffico. La sperimentazione
iniziale coinvolgerà 20 società di autotrasporto. La
società terminalistica garantirà l'handling dei camion
in una fascia oraria pre-determinata. Se ciò non avverrà,
ECT rimborserà alla società di autotrasporto 40 euro
per ogni operazione ritardata. Secondo questo schema, ECT garantirà
una sosta massima dei camion al terminal fra le ore 22.00 e le
04.00. Il tempo massimo garantito varierà dai 45 ai 75
minuti, misurati sulle ispezioni in entrata o in uscita, e dipenderà
dal numero dei container e dal numero di file da percorrere. Il
terminal ECT lavora già 24 ore al giorno 7 giorni la
settimana, ma vuole comunque evitare i momenti di congestione che si
verificano tutti i giorni dopo le 06 e dopo le 17. Essenzialmente,
oggi il 90% dei camion opera di giorno, e solo il 10% nelle ore
notturne. L'iniziativa di ECT è la prima a essere assunta, ma
presto partirà a Rotterdam un progetto complessivo denominato
“Nachtrijden” (Guida notturna) coordinato da Deltalinqs,
un'associazione che rappresenta tutti i protagonisti della ‘supply
chain': agenti marittimi, spedizionieri, autotrasportatori, Autorità
Portuale e Ministero dei Trasporti. Questa non è
fantascienza, ma una realtà concreta che si inizia a
sperimentare oggi, in una città dove non esistono strozzature
come le nostre. Con lo stesso spirito che ha animato i nostri
colleghi olandesi, proponiamo di studiare anche noi tutti questa
opzione, con i necessari aggiustamenti ad una realtà come la
nostra, dove le grandi imprese di autotrasporto si contano sulle
dita di una mano, ma dove la flessibilità e la presenza di
associazioni bene organizzate possono colmare il deficit
dimensionale.
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- Il Retroporto
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- Il Porto di Genova deve guardare ad un suo retroporto da almeno
500 mila teus l'anno per avere quegli spazi necessari a ricoverare i
contenitori che in 48 ore usciranno dai suoi spazi portuali.
Specifichiamo subito qui non si sta dicendo che il retroporto di
Genova debba diventare l'area di stoccaggio del Porto. Tutt'altro,
sia chiaro. Qui potranno accedere quei contenitori destinati ad
essere anche operati fisicamente, consolidati o deconsolidati, qui
potrebbero immaginarsi operazioni di assemblaggio, etichettatura,
preparazione alla distribuzione. Ecco perché diventare il
retroporto di Genova dovrebbe essere per qualunque area
retroportuale un obiettivo ambito e conveniente, piuttosto che uno
spauracchio. Se oggi, il porto di La Spezia riesce a movimentare un
milione di containers in un'area portuale di 300 mila metri
quadrati, è solo perché, a pochi chilometri, l'area di
Santo Stefano assolve al compito di retroporto, in maniera attiva e
funzionale, mentre la percentuale di spedizioni per ferrovia è
di gran lunga superiore a quella genovese. Il tema è ormai da
troppo tempo in fase di stallo, è necessario che le
Istituzioni chiudano questa partita in tempi brevi. D'altra parte,
per memoria di tutti, ricordiamo che il programma del sindaco
Vincenzi, che abbiamo condiviso, prevedeva espressamente che le
azioni prioritarie risiedono nel: a) realizzare le essenziali
infrastrutture ferroviarie ed il nodo autostradale di Genova; b)
integrare il porto con gli spazi retroportuali del basso Piemonte;
c) perfezionare i servizi di connessione intraportuale (servizi
navetta) per servire il traffico di manovra interno tra le aree
retroportuali e i terminal portuali e dare vivibilità alle
aree del ponente genovese; d) proseguire la riqualificazione del
Waterfront sapendo che ogni volta che si liberano aree per la
fruibilità collettiva e urbana, contestualmente va risolto il
problema della funzionalità del porto.
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- Il nodo delle ferrovie
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- Un sistema ferroviario che faccia il suo dovere. Basta alle
monarchie assolute di pochi eletti lavoratori, basta anche qui alle
politiche dei grandi obbiettivi e dei fiumi di parole. Per
cominciare bastano poche cose. Carri ferroviari, motrici e
manodopera performante. Gli operatori intermodali o ferroviari
devono essere in grado di offrire questo insieme ad un servizio
merci via ferro che sappia combinarsi e sposarsi con quanto si sta
costruendo a Genova a livello di regole, servizi telematici e rese.
Le ferrovie, si sa, sono un disastro. Il punto drammatico è
che forse trent'anni fa non andavano peggio di adesso, benché
su di esse gravassero tariffe risibili, il triplo del personale
rispetto a oggi e tutta una selva di privilegi che dagli stessi
ferrovieri e dai loro parenti si allargavano a gran parte dei
dipendenti dello Stato. Non bastasse tutto ciò, Trenitalia ha
deciso di escludersi dal mercato alzando ulteriormente le tariffe,
diventando ulteriormente anti competitiva con l'autotrasporto sulla
quasi totalità delle tratte in partenza da Genova, Il rischio
concreto è che la merce scelga di scalare i porti della
Spezia o di Savona, considerato il cronico congestionamento dei
nostri accessi autostradali. Il comportamento di Trenitalia è
scoraggiante, come è scoraggiante ricordare che nel 2005 le
Ferrovie sottoscrissero un accordo con l'Autorità Portuale
per lo spostamento su ferrovia del 30% del traffico. Quell'accordo è
rimasto lettera morta. Anzi, mentre a parole tutti vorrebbero una
crescita del porto sostenibile e compatibile, e quindi con più
treni, viene persino ridotto il numero di binari in porto. Oggi solo
il 25% del traffico del porto viene avviato su ferrovia, con circa
200 treni la settimana di cui più del 90% è destinato
alle regioni italiane del Nord (Lombardia 35%, Emilia Romagna 32%,
Veneto 21%, Piemonte 12%). Ed il 90% dei traffici è da e per
imprese localizzate al di sotto dei 350 km di distanza. Se è
quindi logico che prevalgano i trasferimenti via gomma, per la
flessibilità gestionale e la certezza dei tempi di consegna,
ci si sarebbe aspettato di tutto tranne che questa politica
tariffaria delle ferrovie, che arriveranno ad autoescludersi
definitivamente dal mercato. E' comunque necessaria una forte azione
politica ed amministrativa perché sia finalmente dato
immediato avvio ai lavori per la elettrificazione ferroviaria in
porto, che consentirebbe di superare il nodo delle manovre
ferroviarie e, in parte, del monopolio. Si tratta di intervenire in
modo da poter poi ridurre in maniera sostanziale le manovre
ferroviarie, con possibilità di accesso diretto ai terminal
anche da parte dei treni di operatori privati. Abbiamo sempre
pensato che se i volumi del traffico container raddoppiassero in
tempi brevi, da 1 .7 milioni di teus a 3.5 milioni di teus, tutto il
traffico addizionale dovrebbe essere smistato via ferrovia, con
circa 600 treni la settimana, mantenendo come vincolo il non
aggravio dei costo del trasporto e la rapidità e
l'affidabilità dell'inoltro delle merci. E' una questione
cruciale, se non vogliamo che la crescita dei traffici porti al
collasso il sistema viario, in attesa della costruzione delle tanto
attese alternative autostradali.
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- Dove il sistema fallisce il sistema deve pagare.
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- Sull'ultimo paradosso del nostro scalo, il blocco delle
operazioni VTE, diciamo con franchezza che si è trattato di
una vicenda che, al là delle ragioni dei disservizi, è
stata caratterizzata da un'intollerabile mancanza di trasparenza. Il
terminal più importante del si ferma per tre settimane ed in
tutto quel tempo i suoi vertici si sono degnati di spiegare né
agli operatori né all'opinione pubblica le ragioni di quanto
stava accadendo. Un comportamento inammissibile, aggravato dal fatto
che la concessione del terminal è affidata ad una delle
principali società terminalistiche del mondo, che lo scorso
anno ha superato per la prima volta il muro del milione di teus e
che punta al raggiungimento dei due milioni di teus nell'arco di
pochi anni. La nostra Class Action contro il principale terminal
container del Mediterraneo, il Voltri Terminal Europa (VTE) ha
questo significato, oltre a quello di tutelare e garantire i nostri
associati rispetto all'abnormità di costi e danni che hanno
subito e continuano in buona parte a sopportare a causa della
sospensione delle attività del più importante terminal
portuale italiano di destinazione finale. Le regole che il porto si
dovrà dare dovranno prevedere anche questo, ossia, la
possibilità che chi sbaglia paghi soprattutto quando l'errore
non nasce dal caso fortuito o da eventi a carattere eccezionale, ma
dalla seria e ponderata carenza di programmazione della propria
attività o nel non rispetto o mancanza di tenuta in
considerazione degli altri. Con questa trasparenza il porto potrà
trovare il suo benessere offrendo un valore aggiunto reale,
verificato e validato dal confronto con la migliore concorrenza
internazionale, della quale ha già parte a pieno titolo e a
buon diritto. Si tratta dunque di eliminare punti di inefficienza
costosa e zone di economia portuale di fatto o di diritto protette,
riportando creazione del reddito e responsabilità individuale
al centro del lavoro. Ma per ottenere questi risultati la
produttività deve tornare ai livelli di eccellenza che si è
già dimostrato di poter raggiungere. Invece, abbiamo
registrato che nel corso del 2007 il VTE ha avuto 23 giornate di
rallentamenti o stop operativi. Le cause? Nel 30 - 40% dei casi la
ragione è stata il mal tempo, nel 26% assemblee sindacali,
nel 26% scioperi interni, nel 9% azioni di agitazione e fermo
dell'autotrasporto. Nel bacino di Sampierdarena le giornate che
hanno subito rallentamenti operativi sono state addirittura 30. Nel
47% dei casi la colpa è stata del maltempo, nel 30% delle
assemblee sindacali, nel 23% gli scioperi ivi compresi i fermi
dell'autotrasporto.
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- Conclusioni
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- In queste poche pagine abbiamo cercato, come categoria, di
descrivere quello che è oggi il porto e quello che oggi
significa lavorare in assenza di certezza sul futuro, in assenza di
regole che garantiscano la buona funzionalità, in assenza di
segni tangibili - da parte di chi ci amministra - di una reale
volontà di cambiare marcia, di una concreta determinazione ad
abbandonare gli slogan e le facili demagogie per lavorare
concretamente e con responsabilità a costruire il futuro del
nostro Porto. Vogliamo impegno e serietà, lavoro e
responsabilità da parte delle Istituzioni, delle
Amministrazioni, della classe politica, degli operatori, delle
imprese, dei lavoratori per arrivare ad affrontare insieme le
difficoltà, e a determinare, sempre unitariamente, le fortune
di quello che noi tutti dobbiamo auspicare sarà un lungo
futuro ‘di crescita e sviluppo.
-
- Grazie a Voi tutti per l'attenzione.
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