- inforMARE - Sembra ormai essere diventata una vera e propria virulenta malattia di stagione. Il morbo è talmente aggressivo che colpisce anche chi dovrebbe esserne immune. L'epidemia è divampata solo domenica scorsa, ma in pochi giorni si è tramutata in pandemia.
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- Sale in questi giorni, infatti, la febbre delle polemiche innescate dalla dichiarazione dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, convinto che i risultati della casa automobilistica di Torino sarebbero migliori senza l'apporto economico degli stabilimenti italiani del gruppo. Uno sfogo che ha lacerato l'Italia, una nazione indubbiamente facile a dividersi. Da una parte coloro che hanno interpretato le parole del manager Fiat come uno sprone ad incrementare la produttività di fabbriche dove si lavora poco. Gli altri hanno ricordato anzitutto il sostegno finanziario che lo Stato italiano ha assicurato per un lungo periodo all'azienda torinese, salvandola da un possibile naufragio. Lapidaria la dichiarazione del presidente della Camera dei deputati: «Marchionne - ha detto Gianfranco Fini - mi sembra che domenica abbia dimostrato, pur essendo italo-canadese, di essere più canadese che italiano».
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- Ospite della trasmissione televisiva “Che tempo che fa”, domenica Marchionne ha spiegato che «la Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre». La conclusione è una sola: se gli stabilimenti italiani non daranno risultati dovranno essere chiusi.
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- L'affermazione dell'amministratore delegato della Fiat non solo è diventata il leit-motiv di un dibattito politico che sembra cronicamente impossibilitato ad approfondire i problemi, ma anche lo slogan di molti colleghi imprenditori (o, per meglio dire, manager).
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- E il virus, alla fine, è giunto a colpire anche un immunizzato. La sindrome di Marchionne ha infettato Giuseppe Bono, l'amministratore delegato del gruppo navalmeccanico italiano Fincantieri. Rilasciando un'intervista a Francesco Ferrari de “Il Secolo XIX”, Bono ha detto che Marchionne «ha posto problemi reali, rispetto ai quali il Paese ancora una volta sta sfuggendo». «Marchionne - ha spiegato - è nella mia stessa situazione: se in Italia non esistono le condizioni per essere competitivi, la colpa non sarà mica nostra! Cosa dovrei fare, chiedere aiuto al governo?».
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- Forse Bono dimentica, ma sarà bene ricordarglielo, che il governo è il suo azionista: Fincantieri è di proprietà dello Stato attraverso Fintecna, società controllata dal ministero dell'Economia e delle Finanze.
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- L'amministratore delegato di Fincantieri ha precisato: «a parte il fatto che il governo i soldi non li ha, ma vi pare morale che io chieda quattrini ai contribuenti per fare navi da crociera, per portare a spasso i turisti per il mondo? I soldi devo chiederli al mercato, non allo Stato».
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- Marchionne si è attirato feroci e autorevoli critiche per l'ingratitudine verso la nazione in cui Fiat è nata, sopravvissuta e prosperata e verso lo Stato e il sistema finanziario italiano che l'hanno talvolta foraggiata e sovente coccolata. Il manager italo-canadese può permettersi di sfoggiare poca gratitudine nei confronti del Paese natìo, ma Bono? Marchionne cura gli interessi di un'azienda privata e il suo primo obiettivo è di remunerare gli azionisti. Bono, invece, guida un'azienda pubblica e dovrebbe salvaguardare l'interesse dello Stato non solo dal punto di vista patrimoniale, ma anche preservando lavoro e know-how, a meno che questi ultimi non costituiscano più un valore nazionale.
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- Fincantieri, attraverso le parole di Bono, ricambia d'un abisso d'ingratitudine una madre che l'ha concepita, svezzata, cresciuta e protetta anche in età adulta. Bono non deve chiedere allo Stato i soldi per costruire navi da crociera, ma non può far finta che l'azienda non li abbia ricevuti da quella mano per le sue costruzioni di navi militari, ma anche commerciali. Piuttosto Fincantieri deve chiedere al governo che adotti misure politiche per aiutare l'azienda e il sistema industriale nazionale a recuperare competitività.
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- Se è bene che lo sfogo di Marchionne non diventi un ritornello per manager incapaci di affrontare una crisi, è addirittura inconcepibile che diventi lo slogan di un dirigente di una storica azienda pubblica. Quindi auspichiamo che il malessere temporaneo dell'amministratore delegato di Fincantieri non si cronicizzi inducendolo a dismettere giacca e cravatta per indossare uno sciupato golfino blu. Confidiamo, anzi, in una sua pronta guarigione. (iM)
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Bruno Bellio
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