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ANITA, i livelli insostenibili di tassazione e costi accentuano il rischio di destrutturazione e delocalizzazione delle imprese
Arcese: ogni cento veicoli immatricolati all'estero l'erario italiano perde quasi otto milioni di euro l'anno
11 giugno 2012
La tassazione e i costi hanno raggiunto livelli insostenibili in Italia e per le imprese nazionali è difficile competere ed è elevato il rischio di destrutturazione e delocalizzazione. Lo ha evidenziato ANITA, l'associazione di Confindustria che rappresenta le imprese più grandi di autotrasporto in Italia, in occasione dell'assemblea generale tenutasi sabato scorso a Taormina.
Nel 2011 - ha denunciato l'associazione - la pressione fiscale sulle imprese è arrivata al 68,5% e l'Italia ha il primato della pressione fiscale sul costo del lavoro con il 42,3% a fronte di una media europea del 33,4%. Sono le imprese con dipendenti ad essere maggiormente penalizzate dall'elevato costo del lavoro e molte di queste sono spinte a spostare la propria attività all'estero dove i costi sono molto più bassi.
«Non possiamo accettare che ciò avvenga», ha sottolineato il presidente di ANITA, Eleuterio Arcese. «Dobbiamo creare le condizioni - ha aggiunto - affinché le imprese forti restino in Italia. Per il nostro Paese oltretutto sarebbe una grave perdita in termini di entrate tributarie, fiscali e di posti di lavoro. Ne risentirebbe l'intero sistema economico già fortemente debole».
«Aprire un'impresa all'estero - ha rilevato Arcese - significa generare vantaggi in un altro Paese. Immatricolare i veicoli, assumere i lavoratori, fare acquisti (compreso il gasolio), pagare tasse, oneri sociali e assicurazioni. Quanto perde il nostro Stato in termini di gettito? Facciamo due conti. Prendiamo un complesso veicolare del valore di 150mila euro, il nostro erario non incassa IVA per 31.500 euro. Di oneri fiscali e previdenziali lo Stato perde mediamente 20.000 euro per ogni autista all'anno; per quanto riguarda il gasolio, al netto del recupero delle accise, per ogni litro di gasolio fatto all'estero, lo Stato italiano perde circa 70 centesimi di fiscalità legata al prodotto, che rapportati ad un consumo annuo di 36.000 litri danno un complessivo di circa 25.000 euro. Passiamo ora ad un altro punto dolente che è quello delle assicurazioni RCA. Su un premio annuo a veicolo di 3.000 euro, al netto del rimborso del servizio sanitario nazionale, la fiscalità si attesta mediamente intorno ai 350 euro a veicolo all'anno. Il totale è presto fatto e ammonta a 76.850 euro l'anno per ogni veicolo, senza considerare le imposte sul reddito dell'impresa e i costi dell'apparato amministrativo. Rapportando il calcolo a 100 veicoli, l'impatto è più evidente: quasi otto milioni di euro!»
Sono numeri - ha evidenziato il presidente di ANITA - «che fanno riflettere e devono spingerci ad accelerare i processi di riforma del settore e di riduzione dei costi e livelli di tassazione». «Bisogna - ha proseguito - rendere strutturali le misure sulla riduzione del costo del lavoro e prevedere sgravi contributivi alle imprese che assumono padroncini che vogliono lasciare l'attività e a coloro che si impegnano a rendere stabile l'occupazione o ad incrementare livelli occupazionali».
Arcese ha precisato che il problema, però, non è solo quello dei costi: «sarebbe troppo riduttivo affermare che un'impresa apre un'attività all'estero solo per ridurre i costi per aggredire il mercato, abbattendo i prezzi. Dipende anche - ha osservato - dal sistema delle regole e dal ruolo centrale che viene dato all'impresa in quei Paesi. Gli imprenditori si muovono secondo logiche di convenienza e di mercato. All'estero rimborsano l'IVA a 30 giorni. I clienti ti pagano nei tempi concordati. La competizione si gioca sul mercato e non nelle aule dei tribunali o, peggio, attraverso denunce il più delle volte anonime. La civiltà del Paese si misura anche in base all'efficienza della pubblica amministrazione, che riduce i tempi e la mole della burocrazia. C'è snellezza, chiarezza, rispetto e rigore nell'applicazione delle regole, anche quelle in materia di occupazione e gestione del lavoro. Il sistema bancario è a sostegno delle imprese. Non accade che un Paese è “ostaggio” di coloro che fanno della protesta la propria bandiera. C'è una maggiore efficienza infrastrutturale tanto da attrarre merci da tutto il mondo. Se è all'estero che i tuoi principali clienti hanno spostato la produzione, magari per gli stessi motivi - ha concluso - che altro possiamo fare se non andarci anche noi?»
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