- Federagenti, la federazione degli agenti marittimi italiani, difende a spada tratta il recente operato delle compagnie di navigazione containerizzate globali che, in questi ultimi mesi caratterizzati dal devastante impatto sulle economie mondiali degli effetti della pandemia di Covid-19, sono state tra le poche aziende, forse le uniche escludendo quelle farmaceutiche, a segnare una crescita dei propri risultati finanziari, e non una crescita ordinaria dato che la totalità delle prime imprese marittime del settore ha registrato risultati economici record con straordinari rialzi dei ricavi e dei profitti.
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- Riferendosi al disappunto manifestato da diverse categorie economiche per il rilevante aumento dei noli marittimi per il trasporto dei container, il presidente di Federagenti, Alessandro Santi, ha replicato che si tratta di ripetute polemiche per altro innescate anche da soggetti che avrebbero istituzionalmente l'interesse di coltivare un rapporto positivo con i grandi gruppi armatoriali e che sono tanto sterili quanto frutto di una lettura assolutamente parziale.
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- È vero - è questa la lettura del presidente di Federagenti - i noli sono aumentati e di molto, ma è sufficiente scorrere l'andamento del mercato dei noli dal 2010 a oggi, per trovare risposte sorprendenti. Per oltre un decennio - ha rilevato - le grandi compagnie di trasporto container hanno navigato in rosso senza alcuna possibilità di coprire i “running cost”, per non parlare degli oneri finanziari che questi gruppi hanno affrontato per rinnovare le flotte o le incertezze che oggi si trovano a fronteggiare anche nella chiave della transizione energetica. Tanti gruppi - ha ricordato Santi - sono spariti, falcidiati dalla crisi e dai noli bassi; altri hanno continuato a investire con noli che di certo facevano arricchire altri anelli della catena logistica.
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- Secondo Santi, «oggi appare opportuno abbassare i toni e porsi alcuni interrogativi. Cosa sarebbe successo - si è chiesto il presidente di Federagenti - se gli armatori all'inizio della pandemia avessero deciso di fermare le navi in attesa di tempi migliori invece di organizzare sistemi di sicurezza sanitaria e di gestione del personale imbarcato e a terra (penso anche alla rete degli agenti marittimi)? Sistemi che hanno garantito a tutti i paesi del mondo di continuare a vivere e produrre; equipaggi che sono rimasti a bordo delle navi ininterrottamente anche per nove mesi senza poter ritornare a casa e attività svolte a bordo nei vari porti all'inizio della pandemia dalla filiera marittima quando lo status di grande parte dei colletti bianchi mondiali era quello dello “smart working”».
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- «Cosa sarebbe successo e cosa potrebbe succedere in un prossimo futuro - prosegue l'analisi del presidente di Federagenti - se gli armatori non stessero investendo cifre enormi per integrare flotta ed “equipment”, ricordando che la vita di una nave è minimo di trent'anni e che la transizione ecologica impone stringenti limiti emissivi laddove non è certamente chiaro quali saranno le più efficienti tecnologie applicabili nel medio termine? Cosa potrebbe succedere ai consumatori e alle imprese - è la minacciosa osservazione di Santi - se gli armatori decidessero delle politiche di servizio selettive?».
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- «Crediamo - ha concluso il presidente di Federagenti - che se a queste domande diamo delle risposte di buon senso e non di preconcetto, pensando al mercato e non pensando magari a ritorni a economie di Stato, l'effetto dovrebbe essere quello di ricercare il dialogo e l'efficienza atta a traghettare il sistema complessivo (servizio e costi) verso una nuova normalità diversa dal passato e sostenibile per l'intera filiera».
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- Sintetizzando in modo provocatorio, dalla lettura dell'attuale stato del mercato dello shipping containerizzato proposta da Santi si potrebbe arguire che negli ultimi mesi lo stato d'animo delle compagnie di navigazione del settore sia stato questo: “prima altri anelli della catena logistica si arricchivano mentre noi navigavamo in rosso. Ora è il nostro turno”. Debole - si potrebbe rilevare altrettanto provocatoriamente - la difesa della categoria se basata sul sacrificio dei marittimi costretti a rimanere a bordo delle navi durante questi lunghi mesi di crisi sanitaria mondiale. Sacrificio - bisogna dire - riconosciuto tangibilmente da alcuni (pochi?) armatori.
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- Se poi, come acidamente osserva Santi, in questi mesi «lo status di grande parte dei colletti bianchi mondiali era quello dello “smart working”», bisogna pur far presente che tra quei colletti c'erano e ci sono ancora impiegati e dirigenti atterriti per l'esito che la crisi sta avendo e avrà sulle loro aziende non marittime, ma magari clienti di quelle marittime. Uno sgomento che non passa sia che si lavori in ufficio che da casa.
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- È difficile invece credere che, passata l'iniziale paura per le conseguenze che la pandemia avrebbe potuto avere sul loro business, i manager delle compagnie di navigazione containerizzate non abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando questo timore è svanito e non abbiano festeggiato quando le loro aziende hanno ottenuto performance finanziarie mai raggiunte nella loro storia. Solo dei matti non si sarebbero compiaciuti per questo positivo esito, e quelli in questione matti non lo sono davvero. In sintesi: se non bisogna certo processarli, non bisogna neppure elogiarli per non aver fermato le loro navi. Qual è l'imprenditore che non avrebbe preferito che la sua attività non dovesse essere sospesa, apparentemente e talvolta effettivamente sine die? Senza andare molto distante, basta chiederlo a quegli armatori impegnati nel settore delle crociere.
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- Bruno Bellio
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