Da oltre cinquanta giorni 15 marittimi greci, pakistani e siriani della
Flash, di bandiera cambogiana, vivono a bordo della nave ancorata nei pressi del porto di Augusta e posta sotto sequestro su istanza degli stessi membri dell'equipaggio che non ricevono lo stipendio.
I marittimi - ha sottolineato don Giacomo Martino, direttore nazionale della Stella Maris - «vivono della carità del Centro Stella Maris e di qualche persona di buona volontà. ma tutto questo deve finire, devono tornare a casa e pagati per i loro quasi cinque mesi di lavoro». «Essendo la maggior parte extracomunitari, e di paesi considerati brutti e cattivi come il Pakistan e la Siria - ha aggiunto - sbarcare di nascosto per tentare di salvarsi la vita significa prendersi una denuncia per "abbandono della nave", diventare veri clandestini in Italia e perdere il diritto inalienabile, e non solo per noi italiani, al salario di mesi di lavoro massacrante senza interruzioni di sorta». «La sola cosa di valore (3.200 tonnellate di grano) che si potrebbe vendere per pagarli, rimpatriarli e chiudere semplicemente la faccenda - ha spiegato il sacerdote - è vincolata allo shipper turco. Questa mattina i suoi legali chiedevano alle istituzioni, con atto giudiziario, di scaricare la nave del solo valore economico di bordo. Normalmente le cause per risolvere gli abbandoni degli equipaggi (si tratta di persone e delle loro famiglie) durano oltre due anni. In tre giorni il giudice competente ha dato il permesso di scaricare la nave abbandonando definitivamente questa gente al proprio destino».
Il direttore nazionale della Stella Maris ha lanciato un appello affinché «qualsiasi soluzione anche legittima non avvenga a prescindere da una soluzione della tragica sorte di questi uomini e delle loro famiglie».