- Federmar-Cisal accusa la Confederazione Italiana Armatori (Confitarma) e gli armatori privati di aver poso in atto il tentativo «di fare fallire la gara per la vendita della Tirrenia e della Siremar», vale a dire - ricorda il sindacato - le due aziende rimaste all'interno del gruppo Tirrenia dopo il trasferimento delle società minori (Caremar, Saremar e Toremar) alle rispettive Regioni. In una nota a firma dal segretario generale, Alessandro Pico, Federmar-Cisal accusa la confederazione armatoriale e gli armatori privati di essere «letteralmente svaniti nel nulla dopo avere presentato le manifestazioni d'interesse».
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- Secondo il sindacato, l'obiettivo di tale azione, «nella circostanza - precisa Federmar-Cisal - architettato anche su una discutibile posizione della Unione Europea attorno a questa privatizzazione, sarebbe quello di costringere il governo ad indire una nuova gara, questa volta non comprensiva della cessione delle due aziende ma delle singole rotte della Tirrenia, magari ciascuna coperta da un apposito contratto di servizio pubblico, cioè sovvenzionata. È in sostanza - spiega l'organizzazione sindacale - il fine a cui gli armatori hanno sempre mirato nella diatriba e nelle polemiche che, artatamente sollevate contro la Tirrenia, hanno preceduto la decisione governativa di privatizzare quanto rimaneva della flotta pubblica: prendersi le attività migliori e remunerative lasciando sulle spalle della collettività i servizi in perdita, in pratica il medesimo meccanismo attuato con la vendita dell'Alitalia».
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- Secondo Federmar-Cisal, «nell'ambito di questa prospettiva, tuttavia, esiste un rischio ancora peggiore perché, sempre secondo gli orientamenti della Unione Europea, l'armatore aggiudicatario del contratto di servizio pubblico per ogni singola linea non avrebbe alcun obbligo di rilevare né le navi né tantomeno gli equipaggi dell'operatore cedente, ossia della Tirrenia, impiegati su quella rotta: pertanto, in aggiunta al danno patrimoniale che inevitabilmente ne deriverebbe dalla svalutazione della flotta, sarebbero in pericolo pure i posti di lavoro di oltre 2.200 dipendenti tra naviganti ed amministrativi, in gran parte residenti nel Meridione, senza però dimenticare le sedi di Genova e di Venezia».
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- «Qualora ciò si verificasse, ed è facile che accada - sottolinea il sindacato - sarebbe una vera e propria tragedia per questi lavoratori e per le loro famiglie, in particolare per due motivi: risultano del tutto inaffidabili e false le promesse degli armatori di volere salvaguardare i livelli occupazionali, quale che sia la privatizzazione, perché in tutti questi anni hanno dato ampia dimostrazione di non tenere in alcun conto gli interessi dei marittimi, mettendoli a terra e sostituendoli con il personale extracomunitario; in secondo luogo, perché la categoria è sprovvista di qualsiasi ammortizzatore sociale che non sia l'indennità di disoccupazione, a dire il vero abbastanza poco per sostenere una famiglia in una situazione di cronica precarietà e costante carenza dei posti di lavoro».
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- Federmar-Cisal conclude osservando che, «nel caso in cui la privatizzazione della Tirrenia, com'è stata impostata, dovesse andare a vuoto e considerato inoltre lo stato di crisi che continua a gravare sull'economia nazionale con la conseguenza di provocare un allarmante aumento della disoccupazione, prima di intraprendere soluzioni alternative per la sistemazione dei collegamenti con le isole oggi effettuati dalla stessa Tirrenia, il governo dovrebbe sospendere e rinviare di qualche anno la cessione di questa azienda. Anche l'Unione Europea deve rendersi conto che esistono tempi e tempi per effettuare determinate operazioni».
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