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A Genova c'è sempre meno lavoro e, a quanto pare, molti neppure lo vogliono
Appello del Coordinamento RSU Riparazioni Navali per la salvaguardia del comparto e per la realizzazione del sesto bacino di carenaggio
6 aprile 2011
Quando sono i rappresentanti dei lavoratori ad invocare la realizzazione di opere necessarie per acquisire nuovi business o per non perdere quelli già in portafoglio c'è da preoccuparsi.
Non che tradizionalmente i sindacati non abbiano a cuore lo sviluppo delle attività economiche e produttive, anzi. Tuttavia di norma sono le categorie imprenditoriali a sollecitare le istituzioni ad adottare quelle misure strutturali, infrastrutturali e normative necessarie per preservare e accrescere il lavoro.
Quando i sindacalisti smettono per un momento di occuparsi prevalentemente delle condizioni alle quali il lavoro viene conservato o incrementato e, invece, implorano le istituzioni di assumere decisioni che consentano alle imprese di fare impresa, beh allora c'è qualcosa che non quadra.
Ci sembra anomalo che il Coordinamento della Rappresentanza Sindacale Unitaria del comparto delle riparazioni navali del porto di Genova si appelli alle istituzioni, tramite la stampa, per far sì che il porto venga dotato di un sesto bacino di carenaggio in grado di ospitare le navi di oltre 300 metri di lunghezza che - essendo in atto una nuova corsa al gigantismo navale - già in gran numero solcano i mari di tutto il mondo. Quest'opera - ne sono convinti i sindacati - è necessaria per scongiurare un'emorragia di posti di lavoro in un settore che già soffre di un calo delle attività di manutenzione e riparazione navale determinato dall'impatto della crisi economica globale sull'industria marittima.
Lo hanno ribadito, evidenziato, sussurrato e gridato oggi nel corso di una conferenza stampa Alessandro Vella, segretario di Fim-Cisl Genova, Giuseppe Durante, responsabile Fiom-Cgil Riparazione Navali, ed altri rappresentanti del coordinamento sindacale. Tutte le intonazioni sono valide per cercare di far capire qualcosa a qualcuno che evidentemente non vuole prestare orecchio o che fa finta di non aver inteso.
«Noi - ha confermato Vella - diciamo che il sesto bacino si ha da fare». «Anche le imprese - ha aggiunto Durante - hanno bisogno della sesta vasca. Oggi Genova non ha un bacino per le navi che si costruiscono a Genova».
Le navi di cui parlano i sindacalisti sono quelle da crociera costruite nello stabilimento genovese della Fincantieri a Sestri Ponente, oltre ovviamente alle molte altre che il porto di Genova perde annualmente per l'assenza di un capiente bacino di carenaggio. Il Coordinamento RSU delle riparazioni navali è contrario all'ipotizzato spostamento delle riparazioni navali nell'area di Sestri Ponente oggi occupata da Fincantieri, ipotesi che è stata saggiata - almeno a parole - anche da Confindustria Genova. O meglio: sono contrari alla perdita delle attività di costruzione navale che si svolgono nello stabilimento Fincantieri. Inoltre il timore è che, con un eventuale accorpamento delle attività di costruzione e riparazione navale, «si perdano posti di lavoro».
Quello che è sicuro - hanno sostenuto (e non riusciamo a dar loro torto) - è che «Genova continua a perdere posti di lavoro e non può più permettersi di perderli». Oggi - ha ricordato Vella - nel distretto genovese delle riparazioni navali ci sono 3.000 lavoratori che stanno risentendo della crisi. Nel settore lavorano oltre 90 aziende dirette, di cui quattro hanno già chiuso i battenti e un'altra decina ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.
«Gli imprenditori - ha proseguito Vella - non stanno ad aspettare le decisioni delle istituzioni». Il riferimento è al recente sbarco nel porto di Marsiglia della genovese San Giorgio del Porto, partner della holding Genova Industrie Navali (inforMARE del 21 aprile 2008), che in terra francese ha trovato quei bacini di carenaggio necessari per sviluppare la propria attività. Ricordiamo che l'altro partner della holding, la Cantieri Navali T.Mariotti, ha da tempo scelto il Friuli Venezia Giulia (San Giorgio di Nogaro) per realizzare gli scafi delle navi attraverso la joint venture CI.MAR. Costruzioni Navali con il gruppo Cimolai Spa.
La necessità di spazi e di strutture è tale - hanno spiegato i rappresentanti dei lavoratori - che le imprese genovesi del ramo delle riparazioni navali si stavano organizzando per trovare spazi anche in Nord Africa prima che la regione diventasse teatro di rivolte antigovernative. La possibilità di mantenere queste attività a Genova ci sarebbe: «quello che ci dicono le aziende - hanno confermato - è che hanno rifiutato lavoro per mancanza di strutture».
I lavoratori chiedono alle istituzioni di decidere in fretta dove collocare il sesto bacino e sollecitano una «soluzione compatibile». «L'intenzione - ha chiarito Vella - non è di fare un comitato contro un comitato». Nei giorni scorsi, infatti, è stato presentato il Comitato Porto Aperto che è nato a difesa dell'area portuale a ridosso del centro città e specificamente contro la collocazione del sesto bacino di carenaggio nell'area delle riparazioni navali. «Riteniamo - aveva spiegato il presidente del comitato cittadino, Fulvio Silingardi - che l'area del porto a ridosso del centro città sia una delle più importanti risorse economiche e turistiche di Genova e pertanto va tutelata e salvata da ogni possibile scempio, in primis l'ipotesi di realizzazione del sesto bacino di carenaggio all'interno del porticciolo storico Duca degli Abruzzi». Tuttavia Silingardi aveva precisato che il Comitato Porto Aperto ritiene la realizzazione della sesta vasca indispensabile per l'economia portuale genovese e che il nuovo movimento d'opinione era stato costituito per «far sì che la struttura trovi una collocazione alternativa a quella proposta, per una evidente serie di motivazioni urbanistiche e ambientali che non vogliamo vengano sottovalutate».
Giuseppe Durante ha ricordato che i sindacati stanno lavorando con l'Autorità Portuale per eliminare o attenuare i fattori di disturbo che il sesto bacino e più in generale l'attività di riparazione navale possono arrecare alla cittadinanza. Manifestando disponibilità a discutere tali problemi a tutto campo, ha però sottolineato come il benessere della comunità sia indissolubilmente legato al sostentamento economico della città: «i consumi ci sono se c'è il lavoro».
Se per il lavoro - ieri come oggi - due più due fa quattro, a Genova sembra che ci sia chi è in attesa di un risultato matematicamente impossibile.
L'appello dei lavoratori ad assumere una decisione a chi è rivolto in definitiva? All'Autorità Portuale, hanno confermato i sindacalisti. Alla fine dello scorso anno il presidente dell'ente, Luigi Merlo, aveva presentato una proposta per collocare il sesto bacino al Molo Giano, ubicazione contro cui si è schierato il Comitato Porto Aperto (inforMARE del 21 dicembre 2010). Ciononostante ad oggi l'authority di Palazzo San Giorgio non ha ancora deciso alcunché limitandosi a presentare uno studio che suffraga la necessità di realizzare la sesta vasca (inforMARE del 15 marzo 2011).
Se le istituzioni sembrano tentennare, i lavoratori hanno le idee chiare: «in questi anni - ha accusato Durante - Genova ha perso posti di lavoro per scelte della politica». «Ci sono scelte strategiche da compiere - ha aggiunto - bisogna rimettere l'industria al centro dell'attenzione politica».
Un richiamo, quello di Durante e degli altri sindacalisti, condivisibile, ragionevole e sensato, specie in un periodo di grave crisi economica come quello in corso. Se non realizzate a Genova, le attività di riparazione navale «saranno comunque svolte da altre parti in Italia o all'estero - ha prospettato Vella - e questo a noi non va bene». «Questo - ha detto Durante materializzando un timore già reale - diventa un problema sociale».
«È difficile spiegare ad un lavoratore perché non si decide», ha concluso Durante. Le istituzioni - Autorità Portuale in testa - sono consapevoli di dover preservare il polo d'eccellenza delle riparazioni navali di Genova e sono d'accordo nel volerlo tutelare e potenziare. Però nessuno decide. Perché? Pure noi non sappiamo farcene una ragione.
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