Dopo il Tar per la Calabria, anche il Consiglio di Stato ha
accolto le ragioni dell'Autorità di Sistema Portuale dei Mari
Tirreno meridionale e Ionio respingendo in appello il ricorso
proposto dalla Società Petrolifera Gioia Tauro (SPGT) nei
confronti dell'ente portuale che aveva rigettato le istanze di
concessione presentate dalla società nel 1995 per
realizzazione di un deposito costiero per lo stoccaggio di olii
minerali (benzina e gasolio) della capienza di 40mila metri cubi
organizzato in 14 serbatoi. Il Consiglio di Stato - ha evidenziato
l'AdSP commentando il pronunciamento di Palazzo Spada - ha giudicato
«pienamente legittimo il diniego ad una istanza privata che,
attraverso il finanziamento pubblico ex legge n° 488,
tristemente nota nel territorio calabrese, avrebbe voluto realizzare
un insediamento privo di interesse pubblico in un'area ad evidente
rischio sismico, tanto che il complesso iter istruttorio non si era
mai perfezionato nel corso dei decenni».
La vicenda nasce nel 1995 quando la SPGT presentò istanza
di concessione alla Capitaneria di Porto di Reggio Calabria. Dopo
aver avviato un'ampia attività istruttoria, nel 1997
l'Autorità Marittima si espresse con un parziale accoglimento
e giunse alla stipula di un atto di sottomissione che prevedeva la
concessione, da parte dell'amministrazione pubblica, della
possibilità di iniziare i lavori, con la riserva di bloccarli
di fronte all'esito negativo dell'istruttoria, definendone altresì
la conseguente e totale assunzione di responsabilità da parte
del privato. Firmato l'atto interinale, nel 1998, la Società
Petrolifera Gioia Tauro iniziò i lavori mentre l'iter
amministrativo, per competenza, passò alla istituenda
Capitaneria di Porto di Gioia Tauro. Essendo in una fase di
sottomissione, il percorso istruttorio procedette con il
coinvolgimento del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che, a
prova della complessità della materia, tra il 1998 e il 2001,
si espresse con diversi pronunciamenti, richiedendo integrazioni
progettuali in merito a strutturali carenze dei serbatoi (per i
quali non era stata prevista la realizzazione di un bacino di
contenimento posto alla base dei serbatoi per la protezione del
sedime e alla mancata progettazione di un accosto per le bettoline.
Si giunse, così, al 2000 con il primo fermo dei lavori
imposto dalla Capitaneria di Porto di Gioia Tauro che,
nell'acquisire le deliberazioni del Consiglio dei Lavori Pubblici,
evidenziò la mancanza di corrispondenza tra quanto realizzato
e quanto progettato. Ma nell'anno successivo, il Consiglio Superiore
dei Lavori Pubblici autorizzò il proseguimento dei soli
lavori a terra e non di quelli relativi all'accosto costiero, per i
quali richiese alla ditta la presentazione di tre studi tecnici: uno
relativo all'estremo rischio sismico che potrebbe essere generato
dalla realizzazione dell'opera, considerata anche la fascia sismica
1 su cui ricade il porto di Gioia Tauro; veniva inoltre richiesta
l'analisi della conseguente modifica della morfologia del litorale,
a seguito di una eventuale costruzione di un accosto costiero, e
infine, con il terzo studio, si invitò la ditta ad analizzare
l'eventuale modifica che potrebbe subire la natura morfologica delle
sabbie mono-granurali, a causa della loro stessa liquefazione.
L'AdSP ha specificato che la SPGT non ha mai risposto a tali
analitiche richieste formulate dal Consiglio dei Lavori Pubblici.
Nel 2004 l'Autorità Portuale, nel frattempo istituita,
prese in carico per competenza la richiesta concessoria e richiese
alla SPGT la ripresa dei lavori, fermi dal 2003. Dopo un'accurata
disamina della vicenda, nel 2006, l'ente portuale emanò un
proprio decreto di decadenza per mancata realizzazione dell'opera e
per mancato uso della concessione. Decisione, quest'ultima, che
venne confermata anche dal Tar di Reggio Calabria che, interpellato
dalla ditta SPGT, ne respinse il relativo ricorso. Ma nel 2008, il
Consiglio di Stato ribaltò la sentenza del tribunale
amministrativo reggino e annullò gli effetti del decreto
dell'Autorità Portuale. Da quel momento, e sino al 2017,
nessun lavoro venne posto in atto per il completamento dell'opera.
Tuttavia, dopo 14 anni di fermo, la SPGT formulò la richiesta
di completamento dell'iter concessorio adducendone motivi d'urgenza.
Nei fatti, considerata la mancata realizzazione dell'opera, il MISE,
titolare del finanziamento pubblico derivante dalla nota e
improduttiva legge 488, richiese la restituzione dei soldi pubblici
con revoca del finanziamento. Ripresa l'istruttoria, l'Autorità
di Sistema Portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio aggiornò
la pratica amministrativa e chiese nuovamente la produzione
documentale già ripetutamente chiesta alla ditta e mai
prodotta. In vista di una eventuale e imminente perdita del
finanziamento, SPGT modificò il progetto riducendo a dieci i
serbatoi, cambiando la destinazione dell'attività, che da
stoccaggio passerebbe al solo trading, e ipotizzando un punto di
accosto lungo la banchina nord, destinata ad un uso pubblico
polifunzionale. A quel punto, l'ente portuale istituì un
tavolo tecnico che, nel valutare la nuova proposta, espresse il
proprio parere negativo e lo sottopose al Comitato portuale che, a
sua volta, avallò la decisione dell'ente.
Gli ultimi passi della vicenda, nel 2021, vedono l'Autorità
di Sistema Portuale assumere il provvedimento di rigetto
dell'istanza originaria, sia per mancanza della progettualità
dell'opera che, entrando nella valutazione di merito, per assenza di
interesse pubblico dell'intrapresa rispetto all'attuale assetto
operativo dello scalo portuale di Gioia Tauro. Chiamato in causa,
nel maggio del 2023, il Tar di Reggio Calabria ha dato pienamente
ragione all'ente portuale. Una decisione che è stata
ribadita, nella giornata di ieri, nell'atto finale del Consiglio di
Stato.
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