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CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XVI - Numero 1/98 - GENNAIO 1998 |
Porti
I porti containerizzati degli Emirati Arabi Uniti affrontano
la sfida dei vicini
Un giretto lungo l'insenatura che divide la città di Dubai
può fornire una vivida illustrazione dell'importanza dei
traffici diretti alla volta degli UAE (Emirati Arabi Uniti). Impilati
sulle banchine stazionano contenitori riempiti di merci disparate,
dai frigoriferi al riso.
Da Dubai, tali carichi vengono imbarcati alla volta di destinazioni
situate lungo la Penisola Araba, ovvero attraverso l'India ed
il Pakistan e persino giù sino all'Africa Orientale. Alcuni
di questi carichi senza dubbio non debbono espletare formalità
doganali presso le proprie destinazioni finali e pochi tra loro
sono assicurati.
Questa è la facciata vecchia di secoli del trasbordo in
Medio Oriente. La sua facciata moderna e containerizzata, con
tutte le formalità ed il rispetto per le normative che
connotano i commerci della fine del 20° secolo, può
invece riscontrarsi in diverse località lungo le coste
del Golfo Persico e di Oman.
Tra il 1986 ed il 1996, la produttività in termini di
containers negli Emirati Arabi Uniti è aumentata da 921.000
TEU a 3.740.100 TEU, con un incremento del 400 per cento. La quota
degli UAE rispetto al totale del Medio Oriente nello stesso periodo
è salita dal 40% al 62%. Sono stati effettuati nell'ultimo
decennio importanti investimenti in infrastrutture portuali containerizzate
tali che le poche centinaia di chilometri da Abu Dhabi a Fujairah
sono diventate la sede di tre tra i 60 maggiori porti containerizzati
del mondo, oltre che di una manciata di porti di media grandezza,
il che costituisce un fatto notevole dato che la popolazione complessiva
del Paese conta meno di 2,5 milioni di persone.
I porti del petro-dollaro
Sebbene l'economia locale del petro-dollaro abbia generato una
domanda propria di importazioni, il trasbordo costituisce il sostegno
principale dei porti degli UAE. Le merci destinate all'India e
- in misura minore - al Pakistan sono state raccordate via UAE
al fine di evitare che sopravvenisse l'esigenza di navi-madre
facenti scalo diretto presso i porti indiani, tradizionalmente
congestionati e destinatari di pochi investimenti. Al contrario,
gli Stati del Golfo ricchi di petrolio sono stati in grado di
investire in infrastrutture portuali ad alta qualità, che
hanno fornito loro tempi di movimentazione e di carico/scarico
delle navi capaci di competere con Singapore e Hong Kong.
Oggi, peraltro, questi tradizionali porti di scalo si trovano
a dover affrontare nuove sfide. Al capitale privato ed alla gestione
privata è stato da ultimo consentito di migliorare i port
in India, Pakistan e Sri Lanka, e ulteriori nuove infrastrutture
dislocate attorno alla Penisola Araba minacciano il dominio degli
UAE nel trasporto di contenitori, sia interregionale che come
punto intermedio dei traffici Europa-Estremo Oriente.
La sfida più immediata è quella apportata da due
nuove infrastrutture della Penisola Araba. Ad Aden, nella Repubblica
dello Yemen, la PSA Corporation di Singapore si accinge a gestire
il nuovo ACT (Aden Container Terminal) in fase di sviluppo ad
opera della PSA Corp e della Yemen Holdings Ltd, società
appartenente a capitale dell'Arabia Saudita. Sulla costa meridionale
dell'Oman, a Salalah, un altro nuovo terminal, il Mina Raysut,
è in costruzione avendo alle spalle i vettori Maersk e
Sea-Land, il Sultanato dell'Oman ed altri investitori dell'Oman.
Entrambi i porti non richiedono assolutamente alcuna deviazione
rispetto alla rotta ideale Suez-Singapore, laddove invece lo scalo
a Dubai comporta ulteriori 65 ore di navigazione.
Sin dal primo giorno di operatività, tutti e due i terminali
costituiranno soggetti significativi nella regione. La prima fase
dell'ACT prevede una capacità di movimentare 500.000 TEU
all'anno lungo i suoi 700 metri di ormeggio. Mina Raysut sarà
ancora più grande. Nella prima fase, la baia verrà
dragata fino a 15 metri e due dei suoi quattro ormeggi definitivi
secondo i piani dovrebbero essere inaugurati nel prossimo mese
di agosto. Questi due ormeggi avranno una capacità di 750.000
TEU/anno, mentre gli altri due ormeggi raddoppieranno tale capacità
prima della fine del secolo.
In relazione a Mina Raysut, tuttavia, si pone una diversa questione.
Gli ideatori del porto spesso si riferiscono alla sua posizione
come "strategica", normalmente in relazione alla sua
localizzazione di punto a metà strada dei traffici Europa-Estremo
Oriente. Peraltro, si ritiene che anche la Marina degli Stati
Uniti abbia svolto un ruolo influente nello sviluppo di Mina Raysut,
dal momento che essa desidera poter disporre di una base al di
fuori del Golfo Persico, ben distante dai potenziali punti di
scontro con l'Iraq e l'Iran.
Mina Raysut, inoltre, costituisce la minaccia più immediata
per la posizione di Dubai nel Golfo, dal momento che l'accoppiata
Maersk/Sea-Land rappresenta il 25% circa dei traffici di Dubai.
Entrambe le linee di navigazione hanno dichiarato alla DPA (Autorità
Portuale di Dubai) che, non essendo ancora stati formalizzati
i programmi per la fine del 1998 e l'inizio del 1999, esse contano
di assegnare ancora qualche scalo di linea principale a Dubai.
Svolta a sud
"Ci rendiamo conto che una parte dell'attività di
trasbordo è a rischio e che probabilmente passerà
a Salalah, ma in questa fase nessuno sembra essere sicuro riguardo
al reale numero di movimentazioni" ha dichiarato Jamal Majid
Bin Thaniah, assistente direttore esecutivo della DPA. "Quanto
ad Aden, riteniamo che possa avere interessanti possibilità
riguardo ai crescenti mercati dell'Africa Orientale e Meridionale.
Tuttavia, la nostra intenzione è quella di generare carichi
nostri e di mirare a nuovi mercati, quali Iran, Iraq e CSI (Confederazione
di Stati Indipendenti).
Il presidente e direttore esecutivo della DPA Sultan Bin Sulayem
è alquanto ottimista: "Dubai è il centro d'affari
del Medio Oriente ed abbiamo lavorato duro per guadagnarci la
fiducia delle compagnie di navigazione" ha dichiarato. "Al
tempo della sua inaugurazione, la gente diceva che Khorfakkan
avrebbe tolto lavoro a Dubai. Non è stato così:
loro hanno la propria attività e noi la nostra. Accadrà
lo stesso con Aden e Mina Raysut".
Bin Sulayem sottolinea poi anche il fatto che le compagnie di
navigazione non si preoccupano solo della distanza e dei tempi.
"Le navi non vogliono portarsi dietro i pezzi di ricambio,
di modo che vanno dove sanno di poterseli procurare. Esse, poi,
hanno bisogno di comunicazioni e di strutture bancarie. Noi, qui
a Dubai, disponiamo di spedizionieri e di agenti, nonché
di tutte le infrastrutture che caratterizzano un importante nodo".
Ciononostante, la DPA ammette di dover compensare gli ulteriori
tempi di navigazione che uno scalo presso le proprie infrastrutture
comporta, facendo lavorare intensamente le proprie attrezzature.
All'inizio di quest'anno, l'autorità portuale calcolava
165,5 movimentazioni containeristiche per nave all'ora. "In
ragione della nostra elevata produttività, ci si aspetta
da noi altresì che si recuperi il tempo perso negli altri
porti lungo la via" aggiunge Bin Thanniah.
La DPA confida, inoltre, che il suo mercato nazionale possa aiutarla
a sostenere la sfida proveniente dai nuovi porti. Sia lo ACT che
Mina Raysut saranno porti esclusivamente di trasbordo. Metà
della produzione di Dubai non riguarda il trasbordo e ha il vantaggio
di ricadere sul maggiore mercato di consumatori della regione,
nonché sul fiorente settore manifatturiero della Zona Franca
di Jebel Ali.
Il secondo porto containerizzato degli UAE, il KCT (Khorfakkan
Container Terminal), è situato sulla costa orientale degli
UAE in una enclave dell'Emirato di Sharjah. Ciò potrebbe
renderlo persino più vulnerabile di Dubai in termini di
perdita di attività di trasbordo, che rappresenta l'80%
circa del suo traffico.
Barry Coughlan, direttore generale della Gulftainer, che gestisce
il KCT per l'Autorità Portuale di Sharjah, ammette di dover
fronteggiare una sfida ma non sembra troppo preoccupato: "Entrambi
i nuovi porti potrebbero costituire una spina nel nostro fianco,
ma non rappresentano una preoccupazione immediata. Non stiamo
per assistere alla nascita qui di un'altra Gioia Tauro, in grado
di raggiungere un milione di TEU praticamente nel giro di una
notte. Questa è una zona dove la concorrenza è durissima
e quindi siamo abituati a competere".
Coughlan, poi, contesta l'attrattiva esercitata dalla posizione
di Aden quale punto di trasbordo alla volta dell'Africa Orientale.
"Va tutto bene quando si tratta di effettuare il raccordo
da Aden a, poniamo, Mombasa, ma - poi - cosa accadrebbe nel viaggio
di ritorno? I carichi provenienti da lì hanno bisogno di
arrivare negli Emirati Arabi Uniti, nella parte superiore del
Golfo od in India, e non di tornare ad Aden".
Spingendosi più a nord nel Golfo Persico, si scopre che
anche Mina Zayed, il porto di Abu Dhabi, sta spingendo per ottenere
lo status di scalo-nodo. La parte importante del suo messaggio
sembra essere il fatto che le tariffe di movimentazione sono più
basse di quelle di Dubai, nonché il fatto che esso è
più vicino alle destinazioni settentrionali del Golfo,
come Bahrain, Qatar, Damman e Kuwait.
Attualmente è in corso un piano di espansione quinquennale
da 650 milioni di dollari, comprendente l'acquisto di ulteriore
attrezzatura per la movimentazione di contenitori nonché
la costruzione di un secondo terminal contenitori portuale. "Qui
disponiamo di un centro di carico/scarico ideale, con tariffe
molto competitive" ha dichiarato un portavoce dell'Autorità
Portuale di Abu Dhabi.
I dirigenti delle compagnie di navigazione di linea che hanno
sede nella regione tendono a condividere l'opinione dei dirigenti
portuali circa il loro atteggiamento consistente "nell'osservare
con attenzione, ma senza panico". La P&O Nedlloyd si
serve del terminal di Jebel Ali della DPA come nodo regionale.
Alan Smart, direttore generale per l'area del Medio Oriente, commenta:
"I nuovi sviluppi non comporteranno effetti drammatici per
il Golfo. Questo è un mercato importante, con un'industria
autosufficiente. Guardando al medio ed al lungo termine, fare
scalo a Dubai avrà ancora più senso nel caso che
i mercati dell'Iran e della C.S.I. riescano effettivamente a decollare.
Noi probabilmente dovremo aprire un ufficio a Salalah, ma abbiamo
70-80 persone insediate a Dubai e potremmo essere restii a spostarle
tutte laggiù".
K. W. Han, rappresentante della linea di navigazione Cho Yang
Line nel Medio Oriente, aggiunge che ci vorrà molto tempo
prima che Mina Raysut riesca a raggiungere risultati soddisfacenti
e che i porti degli UAE continueranno a presentare un certo numero
di vantaggi, non ultimi quelli inerenti al trasbordo alla volta
dell'Iran e del vicino sub-continente (Port Qasim in Pakistan
e Mumbai in India) con alcuni membri delle alleanze quali DSR-Senator,
Hanjin e UASC (United Arab Shipping Co).
Alla UASC stessa, Waleed Al Dawood, vice presidente per l'area
del Medio Oriente, ritiene che sia l'ACT sia Mina Raysut possano
divenire notevoli centri di trasbordo per la regione, ma che "là
dovrebbero esserci sufficienti volumi di traffico per renderli
porti allettanti".
Tuttavia, Ole Moshoj, direttore esecutivo regionale (servizi
di linea e cargo) della Inchcape Shipping
Services, è più sicuro circa le potenziali capacità
di concorrenza dei porti vicini, in particolar modo Mina Raysut.
"Dubai è cresciuta sull'onda del trasbordo. Trent'anni
fa non era molto di più di un villaggio. Salalah potrebbe
fare lo stesso". Pur ammettendo che i traffici diretti nella
parte settentrionale del Golfo faranno ancora scalo a Dubai, Moshoj
ritiene che sia più probabile che i carichi diretti in
India vengano trasbordati da Salalah o Khorfakkan.
Persino lo stesso governo dell'Oman ha recentemente sdrammatizzato
l'argomento della minaccia ai porti degli UAE apportata da Salalah.
Hamed Al Dhahab, direttore generale dell'industria del Sultanato
dell'Oman, è stato citato dal quotidiano degli UAE Khaleej
Times ad ottobre, avendo dichiarato che Salalah "non
è in concorrenza con Dubai, dal momento che Salalah è
principalmente finalizzato al servizio di nuove rotte e di nuove
attività". Il probabile sviluppo di una zona franca
portuale - ha aggiunto il dott. Hamed - è destinato ad
incoraggiare le industrie orientate all'esportazione e stimolare
i traffici e le attività della zona meridionale dell'Oman.
(da: Container Management, dicembre 1997)
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