- Federazione Nazionale Agenti Raccomandatari Marittimi e
Mediatori Marittimi
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- Trieste, 20 giugno 2014
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- Relazione all'assemblea del presidente
Michele Pappalardo-
- Signore e Signori, Autorità,
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- siamo a Trieste, siamo in una delle capitali dello shipping
europeo, storico affaccio al mare di un impero. Qui si sono
sviluppate grandi compagnie come il Lloyd triestino che hanno fatto
la storia della marineria italiana; qui è cresciuto il più
importante gruppo cantieristico europeo, quella Fincantieri che si
appresta con l'ingresso in Borsa e con la riprova della leadership
mondiale nella costruzione di navi passeggeri, a confermarsi come
l'unica grande diga contro lo strapotere dei cantieri del Far East.
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- E proprio dal cantiere, come una nave , vorrei partire con
questa mia sintetica relazione: Fincantieri è per molti
aspetti il paradigma di come l'italianità sia in grado di
uscire dalle crisi economiche e sociali anche più dure, più
disperate. Quanti ricordano gli anni della cassa integrazione?
Quanti il rischio di chiusura di unità produttive con
conseguenze devastanti sui territori? Quanti la ricerca di nuove
vocazioni produttive dopo che Giappone, Corea e quindi Cina avevano
fatto piazza pulita del mercato tradizionale delle costruzioni
navali.? Eppure Fincantieri ha saputo trovare una sua rotta unica
lungo la quale ha costruito, migliorando giorno dopo giorno la sua
specializzazione, una leadership mondiale.
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- E oggi i vertici del gruppo cantieristico che fu croce e delizia
dell'Iri, annunciano come imminente la piena occupazione degli
stabilimenti collocati strategicamente lungo le coste dell'intero
paese.
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- Mi piace citare questo caso, in un momento come quello attuale
in cui la crisi, al di là degli incitamenti del giovane
Presidente del Consiglio, non sembra alimentare speranze di ripresa,
di una inversione di marcia che deve essere rapida perché il
paese non si può permettere di arretrare ancora sui mercati
internazionali e perché, ed è questo il rischio che
tutti temiamo, il suo tessuto sociale che ha retto mirabilmente sino
ad oggi, non può iniziare o, peggio, continuare a
sfilacciarsi.
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- Siamo uomini di mare e siamo abituati ad adattarci a un mercato
che comunque cambia rapidamente, è ondivago, e ormai da anni
è influenzato da pressioni speculative che replicano, in un
deja vu perverso nelle modalità come nei risultati finali,
fenomeni quali la corsa al gigantismo navale portatori in teoria di
economie di scala, in pratica a detta di molti analisti di possibili
danni all'intera filiera dei trasporti marittimi. Abbiamo assistito
al gigantismo delle navi cisterna, con le conseguenze a voi tutti
note, poi a quello delle bulkers, quindi a quello in atto delle navi
portacontainer e delle unità passeggeri.
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- L'attenzione negli ultimi anni si è concentrata in modo
quasi mo-maniacale sulle portacontainers, che, vorrei ricordarlo,
rappresentano la chiave di lettura di una percentuale non
maggioritaria dell'interscambio mondiale via mare ma che hanno
assunto indubbiamente il valore simbolico di metro di valutazione
sullo stato di salute dello shipping e dei porti.
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- Questo settore è indicativo delle tre grandi scelte
compiute in questi anni. La corsa alle nuove costruzioni, che ha
generato uno squilibrio non assorbibile fra domanda e offerta di
trasporto container; la corsa al gigantismo navale, con compagnie
che stanno ordinando colossi di portata superiore ai 18.000 teu; e,
infine, il tentativo di trovare in grandi alleanze, come la P3
(Maersk, Msc e Cma-Cgm), bloccata in queste ore dalle autorità
cinesi, che farebbero impallidire i cartelli o gli accordi di
traffico contro i quali l'antitrust americano e la direzione
concorrenza avevano adottato, al contrario di quanto accaduto oggi,
atteggiamenti censori degni del Savonarola.
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- Il 2014 ha già registrato l'entrata in servizio sulle
rotte da e per il Far East di 14 nuove navi da oltre 10.000 teu di
portata e altre 47 scenderanno in campo entro fine anno. Nel 2013
complessivamente erano state consegnate 34 Ultra Large
Containerships e 51 nel 2012. Quest'anno è già stata
schierata, considerando anche le navi di 8000 teu, una potenza di
fuoco di 339.329 teu, confermando – come sottolineato dai
rapporti di Bimco e Alphaliner – un andamento ciclico nei
ritmi di consegna anno dopo anno di nuove navi portacontainer. 2015
e 2016 non vedranno flessioni nella corsa al rinnovo della flotta,
confermando anche un secondo fenomeno: un bassissimo tasso di
demolizione e quindi la permanenza sul mercato anche di navi di
dimensioni e portata minore che teoricamente avrebbero dovuto uscire
di scena anche sotto la pressione di costi del carburante che
continuano a salire.
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- Consentitemi, sempre a titolo di esempio (chi mi conosce bene sa
che non sono mai stato sedotto dal fascino segreto dei container) di
rimanere su questo settore per evidenziare altri due fenomeni venuti
alla luce in modo sempre più convinto e pressante in questi
anni.
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- Il primo fenomeno è relativo alla geografia dei traffici.
I tempi delle compagnie delle Indie, capaci di influenzare
preventivamente le scelte relative ai porti, alle navi, alle
direttrici di traffico, sono spariti nelle nebbie della storia. Oggi
gli equilibri della globalizzazione sono fragilissimi. Paesi che
solo sei mesi fa venivano additati come astri nascenti dell'economia
mondiale e in grado quindi di concentrare importanti flussi di
interscambio, segnano il passo, si dimostrano più fragili del
previsto. Anche la nuova colonizzazione, in primis quella cinese che
ha caratterizzato negli ultimi anni, la conquista del continente
Africa sta cambiando pelle. In un'Africa sempre più scossa da
conflitti regionali, sempre più instabile socialmente e
politicamente i poli di interesse economico si spostano rapidamente
determinando anche per l'interscambio via mare equilibri ad
altissimo tasso variabile. Termini come globalizzazione di ritorno
rappresentano la prova tangibile di cambiamenti che non possono
essere considerati come pure scosse di assestamento, ma come una
sorta di terremoto continuo in un mondo in cui paesi come gli Stati
Uniti conquistano l'autonomia energetica, altri come l'Europa
soffrono sempre di più i condizionamenti (tangibili) del
grande vicino dell'est, la Russia e dove le tigri della Cina,
dell'India o dei paesi dell'ASEAN ruggiscono ogni giorno con toni
(e minacce più o meno segrete) differenti.
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- Il secondo grande fenomeno è determinato dall'impatto
dell'interscambio via mare sui territori. In positivo come elemento
di fertilizzazione di grandi aree produttive e distributive (ed è
per questo che la battaglia sino ad oggi troppo spesso combattuta a
colpi di slogan per il lancio dell'Italia come piattaforma logistica
del sud Europa, è più che legittima); in negativo come
potere incontrollabile e incontrollato (in quanto in mano a una
sempre più ristretta cerchia di player) in grado di
determinare non solo il successo o l'insuccesso di importanti aree
geografiche, ma anche di condizionarne, con un impatto operativo e
ambientale tutt'altro che marginale, la qualità della vita.
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- Esiste poi un terzo elemento, figlio della corsa al
potenziamento indiscriminato delle flotte e agli investimenti
tutt'ora giustificati – si fa per dire – dal basso
prezzo delle nuove costruzioni. E' la fragilità finanziaria,
quella che il professor Bologna, ospite in questa nostra assemblea,
definisce la grande bolla finanziaria determinata anche dalla
progressiva perdita di ruolo delle grandi banche nord europee che
hanno finanziato l'investimento in nuove navi e nello sviluppo
rapidissimo delle flotte e dall'affermarsi di nuovi investitori
speculativi, come i fondi di private equity, di fatto oggi (in virtù
di un processo di riacquisto dei debiti e di conversione degli
stessi in azioni) proprietari di una larga fetta dello shipping
mondiale.
- Secondo l'AlixPartners' 2014 Container Shipping Outlook, 26
miliardi di investimento in nuove navi nel 2012 e altri 20 nel 2013,
con una prospettiva di sfiorare i 30 nell'anno in corso, non
rappresentano certo, con un livello di noli che cresce solo se
pompato artificialmente, per ripianare le perdite miliardarie di
tutti i grandi carriers negli anni a partire dal 2009.
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- Per una Maersk che ha rinunciato (o ha spostato nel tempo la
scelta) a costruire 10 nuove navi da 18.000 teu c'è sempre
pronto un nuovo gruppo a mantenere alto lo squilibrio fra domanda di
trasporto e offerta di stiva.
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- I mali e le incertezze del settore container, sono – come
sapete molto bene voi che ogni giorno in banchina vi confrontate con
questi problemi – sono analoghi negli altri settori dello
shipping, in quello petrolifero che vede aumentare il coefficiente
di inutilizzo delle Vlcc; in quello delle rinfusiere, in quello dei
ro-ro.
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- In Italia le conseguenze della crisi si sono sentite, eccome.
Provengo da una città che è stata duramente colpita
nel suo polo armatoriale e dal crollo dei noli e dalle difficoltà
di finanza. Eppure il cluster marittimo tiene duro. Continua a
generare occupazione e a svolgere una funzione eccezionalmente
importante anche per l'economia nazionale.
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- Vorrei ricordare – come da copione - i numeri. Le attività
marittime annualmente producono beni e servizi per un valore di
quasi 40 miliardi di Euro, pari a circa il 2,6% del PIL nazionale,
di cui 9,7 miliardi esportati (3,3% dell'export nazionale) e
dedicano a costi intermedi e investimenti fissi 13,9 miliardi di
Euro (4,9% degli investimenti italiani), fornendo occupazione a
circa 215.000 addetti direttamente e ad altri 265.000 nelle attività
manifatturiere e terziarie indotte.
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- Vorrei anche ricordare la difficoltà cronica che questo
settore incontra quotidianamente per affermare l'importanza che i
numeri testimoniano solo in parte e il ruolo e le funzioni
strategiche che svolge per il sistema paese. La torre d'avorio che
in anni di grandi guadagni era un comodo riparo per tutte le
categorie che formavano il circolo esclusivo dello shipping, è
ormai da anni un muro di emarginazione in un paese come l'Italia che
continua ostinatamente a non comprendere che navi, porti e logistica
rappresentano gli anelli della catena che può determinare la
ripresa. Che determina già oggi una larga fetta della
competitività del sistema paese.
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- Il disinteresse e l'ignoranza allo sviluppo del settore,
disinteresse e ignoranza che tutt'oggi rappresentano l'approccio al
cluster marittimo non solo della politica e quindi del Palazzo, ma
anche di gran parte del tessuto imprenditoriale e finanziario del
paese, sono un rischio grande.
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- Nei porti si continua, purtroppo in modo sino ad oggi sterile, a
parlare di riformare una riforma vecchia di vent'anni. Tanti sono
trascorsi dal 1994 anno in cui fu varata la famosa legge 84. Ma in
questi vent'anni è cambiato il mondo e invece di tentare di
capire cosa il mercato esige veramente, si continua a dibattere
dentro una clessidra che ha ormai esaurito la sua sabbia del tempo.
Si parla di articolo 16 o articolo 17, di autonomie finanziarie
marginali, di governance. Non si parla di cosa fare se per puro caso
arrivassero navi da 18.000 teu e riversassero in 48 ore 5 o 6000 teu
su autostrade già congestionate o su linee ferroviarie non
adeguate. Non so se i porti hanno bisogno di processi di fusione
come ipotizzato dal ministro Lupi; non so se sono i registi naturali
della intera catena logistica che dalle banchine raggiunge gli
interporti e quindi la grande distribuzione o i poli di produzione.
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- So per certo che abbiamo bisogno di fare qualcosa e farlo in
fretta. Il che significa scegliere. Scegliere quali infrastrutture
sono prioritarie. Scegliere dove serve costruire un terminal e dove
no. Scegliere come organizzarsi per impattare il meno possibile sul
territorio, sulle città, sulla qualità della vita,
sull'ambiente.
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- Mi chiedo se effettivamente il dibattito sulla riforma portuale
vada in questa direzione. Se le due priorità siano la ricerca
di risposte rapide al mercato per aumentare la capacità di
attrazione dell'Italia sull'interscambio mondiale via mare; e in
parallelo, la capacità altrettanto importante, di non subire
scelte imposte, di gestire il proprio territorio con razionalità
e non con casualità, o peggio, sulla base di campanilismi o
di convenienze pubbliche e private.
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- I porti cresciuti si a macchia di leopardo, talora su iniziativa
e lungimiranza di gruppi privati, in altri casi per pura
combinazione di elementi positivi coincidenti, hanno prodotto,
nonostante tutto eccellenze. La Spezia con il record della
produttività container in Europa, Gioia Tauro primo fra i
terminal di transhipment, Civitavecchia leader nelle crociere…
. Ognuno con una piccola perla positiva da giocare sul mercato.
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- Ma oggi non basta più. Lo provano i mutamenti che ha
subito la nostra professione di agenti marittimi. Ormai da decenni
non si corre più in porto con le polizze di carico sotto
braccio. Il rapporto con la filiera logistica e con flussi di
traffico che devono essere coordinati, sono il nostro pane
quotidiano. Ciò richiede un'integrazione fra le professioni
del mare, ma richiede e urgentemente anche un abbattimento delle
barriere burocratiche, di quella selva di autorizzazioni e consensi
scoordinati che continuano a dettare legge sulle banchine e nei
terminal.
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- A ciglio banchina nessuno può più permettersi il
lusso di ignorare che il sistema italiano di ferrovie cargo è
stato di fatto quasi azzerato negli ultimi dieci anni e che solo da
pochi mesi si torna a ragionarne dell'importanza.
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- A ciglio banchina nessuno può permettersi il lusso di
ignorare che l'autotrasporto italiano sta morendo, soffocato da una
crisi operativa e finanziaria, ma anche da una invasione quotidiana
di mezzi e autisti low cost provenienti dall'est europeo.
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- Quando si parla di infrastrutture di collegamento fra porti e
mercato di questo si deve anche ragionare. Altrimenti rischieremmo
di pianificare e costruire opere di adduzione del traffico a porti
già morti per asfissia.
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- Ho detto delle eccellenze, ma non ho parlato a fondo delle nuove
opportunità che, grazie anche alla eccezionale capacità
della nostra categoria di adattarsi al mercato e ai cambiamenti , si
sono sviluppate.
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- Basti pensare alle crociere, che nel Mediterraneo, sono state
trainate al successo proprio dalla portualità italiana e sul
cui futuro bisogna interrogarsi con coraggio: ponendosi
interrogativi sul caso delle grandi navi nella laguna di Venezia, ma
interrogativi ancora più pressanti sulla riduzione
progressiva degli itinerari e del numero di porti di scalo possibili
in un bacino Mediterraneo, reso inquieto dalle tensioni sociali,
politiche e religiose.
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- E ancora una volta ci troviamo sulla linea del fronte che
prevede anche una maggiore nuova sensibilità rispetto alla
difesa dell'ambiente, rispetto a tutto quanto comporti un utilizzo
eco-friendly delle navi da crociera.
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- Lo stesso valga per il settore dei maxi yacht. In questo campo
gli agenti marittimi hanno raggiunto livelli di specializzazione e
standard qualitativi senza timore di confronto in altri paese. Ma la
battaglia contro la burocrazia, contro norme (basti pensare alla
cassa nave) assurde, ci vede impegnati in un confronto serrato per
eliminare o smussare quelle normative (come la tassa di
stazionamento) che producono solo due risultati: allontanare gli
yacht dai porti italiani e ridurre, paradossalmente, il gettito
fiscale.
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- Da parte nostra continueremo nel nostro impegno di attiva
collaborazione sul fronte normativo con gli organi decisionali
preposti e nella valorizzazione della nostra professione quale
presenza indispensabile nella filiera marittima nazionale.
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