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Di Marco: per i porti italiani non servono chissà quali riforme, basta importare le best practices mondiali
Auspico - ha spiegato il presidente dell'ente portuale di Ravenna - un business model come quello di Rotterdam, che si potrebbe applicare subito dopo una radicale riduzione del numero delle Autorità Portuali. I finanziamenti attraverso l'IVA costituiscono aiuti di Stato
17 novembre 2014
In occasione della propria partecipazione all'evento fieristico “Transport & Logistics” dedicato a logistica, porti, trasporti, movimentazione, magazzinaggio e software al servizio della logistica, che si è tenuto a Rotterdam dall'11 al 13 di novembre scorsi, l'Autorità Portuale di Ravenna ha presentato alla comunità internazionale il Progetto Hub Portuale di Ravenna (il Progettone).
Nel corso della manifestazione il presidente dell'ente portuale italiano, Galliano Di Marco, ha incontrato anche i vertici dell'Autorità Portuale di Rotterdam con cui si è confrontato rispetto al business model italiano e quello olandese. «Mentre Ravenna conserva ed anzi aumenta la sua leadership nel settore delle merci non containerizzate - ha commentato Di Marco - per lo sviluppo del settore container si punta, insieme ad una grande compagnia di questo settore, Contship, che attualmente gestisce il Terminal Container Ravenna insieme a Sapir, ad una strategia basata sui collegamenti intermodali con l’hub di Melzo, a est di Milano, attraverso cui servire i principali mercati sud-europei. A Rotterdam, in questi giorni, abbiamo ricevuto il maggior numero di richieste sui servizi che il porto di Ravenna può offrire, da operatori di Cina, Egitto, Turchia, Nord Africa ed Albania, oltre che dell'area già di riferimento del nostro porto, il Mar Nero».
«Il porto di Rotterdam - ha rilevato Di Marco - ha un modello di business molto semplice, market-driven, basato su una forte Autorità Portuale, strutturata come una S.p.A. non quotata in Borsa, a totale partecipazione pubblica (70% Comune e 30% governo), dentro cui sono inclusi tutti i servizi e le attività di carattere pubblico, compresa la parte del Demanio Marittimo e la struttura preposta allo sdoganamento delle merci. La società ha un management board di tre persone, scelte dal mercato e nominate dagli azionisti pubblici attraverso un supervisory board, composto a sua volta da cinque persone, anche esse con un lungo curriculum ed esperienza di settore nel privato. Il management board ha tutti i poteri per gestire la società sulla base delle linee guida, il budget, il piano investimenti, il piano di sviluppo internazionale, approvati dal supervisory board e dagli azionisti Comune-governo. La Autorità Portuale di Rotterdam si finanzia a mercato ed ha attualmente una capacità di indebitamento pari a circa 1,5 miliardi. Paga annualmente un dividendo a Comune e governo: non prende soldi dallo Stato, ma ne dà ogni anno per circa 100-150 milioni. I ricavi arrivano da tasse portuali e canoni di concessione, ma adesso la società ha costituito società anche all'estero (Brasile e Oman) per sviluppare ed esportare il suo vincente modello di business».
«Da due anni - ha proseguito Di Marco - propugno in Italia un business model come quello di Rotterdam per i porti italiani. Un modello che si potrebbe applicare subito dopo una radicale riduzione del numero delle Autorità Portuali. Il modello italiano, basato sulla legge 84/94, che pure ha avuto tanti aspetti positivi e meriti storici, ormai infatti è vecchio e va superato. Non servono chissà quali riforme, basta importare le best practices mondiali, come quella che ho conosciuto all'Autorità Portuale di Rotterdam o quella che vidi a New York qualche mese fa. Devo dire che, avendo studiato entrambi i modelli, quello olandese è forse preferibile perché più semplice da adottare in Italia. I nostri porti sono indietro di circa 50 anni rispetto a quelli del Nord Europa ed è assolutamente inutile urlare al lupo al lupo quando questi ultimi fanno la voce grossa. Rotterdam è grande 10 volte Genova e 20 volte Venezia. Non ha bisogno di finanziamenti attraverso l'IVA (vero e proprio aiuto di Stato), come fanno i porti italiani, perché lì è l'esatto contrario: è l'Autorità Portuale che dà soldi allo Stato. Basta leggere il loro Financial Report, che ogni tre mesi viene messo sul sito, per averne evidenza».
«Nulla di complicato, nulla di stravolgente - ha sottolineato il presidente dell'ente portuale di Ravenna - solo gli strumenti per una gestione efficiente di un settore dal quale il nostro Paese potrebbe trarre molta ricchezza. Non serve nessuna rivoluzione, nella quale oramai non speriamo più viste le deludenti cose fatte nel settore della portualità da questo governo, come da tanti altri che lo hanno preceduto. Speravamo e speriamo ancora che questo governo apra gli occhi e veda la grande opportunità che la portualità rappresenta per la ripresa economica dell'Italia. È il momento di fare delle scelte, di cambiare rotta e il governo deve avere il coraggio di riprendere in mano il controllo di questo settore, definirne le strategie ed individuare i progetti di sviluppo sui quali puntare, a fronte di risorse pubbliche sempre più scarse, di una competizione internazionale sempre più agguerrita e di servizi in ambito portuale sempre più efficienti e di qualità. Per fare questo - ha concluso Di Marco - non servono Commissioni di presunti esperti, chiamati a “reinventare la ruota”, ma buon senso ed alleanze con grandi player internazionali di settore, come il porto di Rotterdam. Noi lavoriamo per questo».
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