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Uiltrasporti chiede l'apertura immediata di un tavolo che affronti la situazione di crisi del Porto Canale di Cagliari
Dossier-denuncia del sindacato in cui si evidenzia che il costo della rinuncia rischia di essere enormemente superiore al costo degli investimenti necessari per continuare a competere
20 settembre 2018
Uiltrasporti, denunciando che con una perdita netta di traffico del -72% in soli tre anni il Porto Canale di Cagliari sta colando letteralmente a picco, ha chiesto l'apertura immediata di un tavolo di crisi costituito dalle istituzioni politiche, datoriali e sindacali che possa affrontare radicalmente le problematiche del container terminal di Cagliari e ha auspicato che nelle prossime settimane il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, possa affrontare la drammatica situazione del porto sardo. Se nel 2015 il traffico dei container movimentato dal porto canale del capoluogo sardo - ha evidenziato l'organizzazione sindacale - è stato pari a 686.000 teu, nel 2017 si è registrata una flessione a 420.000 e le previsioni per l'anno in corso si attestano a soli 190.000 teu, con un -55% in un anno.

Definendo «incomprensibile» l'atteggiamento di Contship Italia, la società che attraverso la filiale Cagliari International Container Terminal (CICT) gestisce il container terminal del porto, che - ha affermato «sembra voler affossare intenzionalmente lo scalo cagliaritano», il segretario generale della Uiltrasporti Sardegna, William Zonca, ha sottolineato come «lo scenario del terminal di Cagliari non possa avere una vita lunga. Sicuramente - ha precisato - paghiamo tre anni e mezzo di commissariamento del porto dovuto all'immobilismo della Regione Sardegna che non riusciva a designare il possibile presidente dell'Autorità Portuale. Oggi, a distanza di oltre un anno dalla nomina del presidente dell'AdSP del Mare di Sardegna - ha aggiunto Zonca - non riscontriamo però iniziative che riescano a mutare l'attuale situazione, che è sempre più preoccupante. Pertanto auspichiamo che vengano intraprese il prima possibile delle iniziative che facciano cambiare rotta al terminal di Cagliari in modo da tutelare i lavoratori oggi operano in questa realtà: 220 dipendenti di CICT ed un indotto di circa 300 addetti. Non vorremmo ritrovarci a dover continuare a gestire richieste di nuovi ammortizzatori sociali o, peggio ancora, licenziamenti da tutte le imprese che operano all'interno del terminal, per colpa di un immobilismo da parte di chi ha l'obbligo di prendere decisioni in merito e gestire il future e lo sviluppo della portualità».

In un dossier-denuncia Uiltrasporti smentisce che «la crisi del terminal cagliaritano possa essere dovuta all'insularità e all'impossibilità di gestire importante traffico di import/export per l'assenza di ferrovie e la scarsa economia locale. «È sufficiente andare a guardare i dati pubblicati dall'Autorità Portuale di Gioia Tauro (il cui container terminal fa parte anch'esso del network di Contship Italia, ndr) - ha rilevato Zonca - per evincere facilmente che Cagliari è superiore sia in termini percentuali che in termini di quantità assoluta. Gioia Tauro ha una percentuale di import/export inferiore al 2% sul totale di container movimentati in un anno, con un volume di circa 35.000 teu movimentati in un anno. Cagliari, invece, negli ultimi cinque anni ha evidenziato un volume di import/export mai inferiore al 14%, in crescita negli ultimi due anni fino a circa il 17%, con un volume di 80.000 teu (fonte raccolta dal sito AdSP Cagliari). È palese quindi che i quantitativi di import/export non possono essere veicolo di attrazione di traffici per Gioia e non per Cagliari. Ne consegue che i volumi di traffico import/export non possano essere citati dal terminalista quale veicolo di attrazione di traffici per Gioia Tauro e non per Cagliari».

Nel dossier il sindacato prende in esame anche i costi di pilotaggio e dei servizi di rimorchio osservando come i costi per entrambe le tipologie di servizi, a parità di tariffe (stabilite a livello nazionale), siano superiori a Gioia Tauro rispetto a Cagliari. Il documento evidenzia inoltre che se a Cagliari viene impiegato e richiesto un pilota in ingresso e uno in uscita, e i rimorchiatori sono addirittura facoltativi, a Gioia Tauro almeno un rimorchiatore è sempre obbligatorio, e i piloti in ingresso e in uscita dal canale devono essere due, con il primo pagato al 100% della tariffa e il secondo al 50%. Inoltre, fatto non trascurabile - precisa ancora il documento - le navi che transitano nello stretto di Messina, sono obbligate a prendere il pilota a bordo, con conseguente aggravio dei costi.

«È evidente - ha rimarcato Zonca - che i costi di pilotaggio e rimorchiatori sono sempre superiori a Gioia Tauro, ma nonostante questo il problema dei costi di ormeggio è da sempre uno degli elementi che vengono citati dal terminalista per giustificare la presunta poca concorrenzialità di Cagliari sugli altri scali e anche su Gioia Tauro».

Uiltrasporti ha preso in esame anche la posizione dei due scali portuali rilevando come, quanto alla distanza dalle grandi rotte di navigazione, la posizione di Cagliari sia molto più centrale rispetto a Gioia Tauro: il porto cagliaritano è situato infatti a circa 45 miglia dalla linea immaginaria della principale rotta Suez-Gibilterra, mentre Gioia Tauro dista circa 160 miglia da questa linea ed ha di mezzo lo stretto di Messina con il relativo traffico e costi di pilotaggio.

Secondo Uiltrasporti, anche il rapporto dipendenti/teu movimentati era molto più favorevole per Cagliari e «tale da rendere quindi più snella la voce di costo del personale, grazie anche al migliore uso degli strumenti di flessibilità frutto degli accordi sindacali e il parallelo appalto di alcune operazioni portuali». «Questo fatto - osserva Uiltrasporti - avrebbe potuto garantire al gruppo Contship una maggiore serenità nell'ipotesi di investimenti, anche grazie ai migliori profitti dei vari esercizi annuali. Infatti, è noto che Cagliari sia da sempre virtuoso in termini di costi e utili, a differenza di altri terminal del gruppo. Eppure a un migliore quadro di riferimento non è corrisposto un piano di investimento che poteva essere pianificato con migliori ipotesi di rientro e con meno rischi di esposizione».

Il documento si sofferma quindi sugli investimenti di Contship Italia rilevando che «ad oggi, nonostante una delibera del CIPE del 2002 e la sottoscrizione di un contratto di locazione del 2006 per 60,6 milioni di euro (finalizzati all'acquisto delle nuove gru), il terminalista non ha ancora concluso alcun investimento strutturale di prim'ordine», mentre «parallelamente ha chiesto e ottenuto due proroghe sul contratto di locazione: la prima ha spostato la data di chiusura del contratto dal 31 dicembre 2010 al 31 dicembre 2013, e la seconda dal 31dicembre 2013 al 31 dicembre2018. Fonti attendibili - sostiene ancora Uiltrasporti - parlano di un'ulteriore richiesta di proroga fino al 31 dicembre 2019, la cui accettazione da parte del Ministero non è nota».

«I motivi di queste richieste di proroghe risiedono nella presunta e perdurante crisi mondiale dei traffici che evidentemente - accusa la Uiltrasporti - ha avuto effetti così lunghi solo a Cagliari. Si fa presente - rileva il sindacato - che nel periodo 2010-2017 tutti i principali terminal del Mediterraneo hanno pesantemente investito sul rinnovamento dei mezzi di sollevamento in banchina, a esclusione di CICT. Questi investimenti sono avvenuti anche negli altri terminal del gruppo Contship. Nonostante questa presunta crisi, CICT ha chiuso gli ultimi dieci bilanci con forti attivi, quantificabili tra i 4 e i 6 milioni annui (a esclusione del 2008, anno della cassa integrazione), quadro che avrebbe potuto agevolare l'idea di investire sulle infrastrutture. Parallelamente, mentre Contship rimandava gli investimenti a Cagliari, a Gioia Tauro sono state acquistate quattro super gru nel 2007 e cinque gru ancora più grandi nel 2009. Nove gru che da ormai otto anni accolgono le grandi navi che non possono essere accolte a Cagliari. Acquisti simili, ma di entità inferiore, sono avvenuti a La Spezia (porto in cui Contship Italia opera attraverso la La Spezia Container Terminal, ndr), e parallelamente Contship ha avviato il terminal di Tangeri in Marocco, con investimenti a lungo termine anche in termini di risorse umane dall'Italia. Ultimamente le attenzioni di Contship e della collegata “madre” Eurogate, si sono concentrati in Iran e a Cipro, dove sono in arrivo le prime mega gru con i classici colori rossoblu del gruppo. Ci si chiede quindi come sia possibile che, mentre a Cagliari si facevano grossi guadagni, si giustificassero i mancati investimenti in nome della “presunta” crisi del transhipment, invece negli altri terminal del gruppo si investiva pesantemente nonostante rendessero meno dal punto di vista dei profitti».

«Oggi - prosegue Uiltrasporti - la Contship Italia continua a dichiarare che le gru non sono il problema della crisi del terminal. Questo in aperta contraddizione con quanto espresso dalla stessa società nei passaggi che portarono al contratto di locazione del 2006, ove si dichiarò che il più urgente investimento era l'acquisto delle nuove gru: già 12 anni fa erano insufficienti! A differenza di quanto dichiarato, molteplici fonti dirette e attendibili hanno dichiarato a più riprese che da almeno due anni era nota la mancanza di volontà di investire a Cagliari da parte di Contship. Investimenti che - rileva ancora Uiltrasporti - sono stati sempre dichiarati necessari e non evitabili per garantire futuro al terminal. Inoltre, il terminalista oggi sostiene che l'80% delle navi container del mondo ha una capacità inferiore agli 8.000 teu (limite di lavoro delle gru di banchina). È un dato falso - denuncia il sindacato - e se anche fosse vero, sarebbe falso nel contesto del transhipment in cui Cagliari opera. Nel transhipment, la grandezza media delle navi è cresciuta enormemente negli ultimi anni, con una capacità media di stivaggio che ormai ci vede ai limiti della lavorabilità. Attenzione però: il problema sono solo le gru, mentre fondali, bacino di evoluzione, banchine, spazi di stoccaggio a piazzale sono in grado di accogliere le mega navi che in questi ultimi anni solcano i mari. Ancora una volta, quindi, si evidenzia che il problema della uscita di scena di Cagliari è da imputare principalmente all'impossibilità di operare sulle grandi navi».

Secondo Uiltrasporti, «attualmente Cagliari non è in grado di lavorare nemmeno un servizio delle grandi compagnie di navigazione (Maersk, MSC, COSCO, CMA, Hapag Lloyd e UASC) nella rotta Estremo Oriente-Mediterraneo/Europa. In tutti i servizi tra l'Europa e l'Oriente (Indie, Cina, Malesia, Giappone e Thailandia) - spiega il sindacato - operano navi con capacità da 10-12.000 teu a salire. Siamo ancora in grado di lavorare (seppure con dei limiti) - precisa Uiltrasporti - i servizi per il Nord America e il Sud America, ma è evidente che un terminal di transhipment che può accogliere solo le rotte verso le Americhe e non verso l'Oriente, non ha lunga vita e si priva a priori della possibilità di gestire le tratte di traffico contenitori numericamente ed economicamente più redditizie, in quanto è noto a tutti che la gran parte delle produzioni mondiali arriva dall'Asia».

Quanto alla crisi dei porti di transhipment, dove - come a Gioia Tauro e al porto canale di Cagliari - i container sono trasbordati da una nave ad un'altra per essere trasportati verso destinazioni non toccate direttamente dalle portacontainer “madre” di maggiore capacità, per Uiltrasporti Sardegna è «da respingere l'idea secondo cui il transhipment sarebbe morto. Si tratta - per il sindacato - di un'affermazione faziosa, espressa probabilmente da chi non ha più volontà di investire nel settore. Pensare che le mega-navi recentemente varate o quelle ancora più grandi che verranno possano scalare tutti i porti - sottolinea il sindacato - è pura fantasia. Molto più realistico pensare che facciano “flussare” grandi quantità di contenitori in sbarco e imbarco in pochi terminal, meglio se ben organizzati con infrastrutture adeguate e grandi spazi, e Cagliari ha enormi potenzialità in questo senso».

Il dossier-denuncia si sofferma anche sull'insularità della Sardegna e sul suo limitato mercato interno che - conferma il sindacato - «sono sicuramente un limite». «Ma che dire allora - rileva Uiltrasporti - di Malta, membro come noi della Comunità europea, che dista meno di 150 miglia e che lavora a pieno ritmo con 3,1 milioni di teu all'anno, 2,5 chilometri di banchina, 21 enormi gru che possono servire navi da 18.000 teu e oltre, collegata a 130 porti worldwide e 62 nel Mediterraneo? La grande differenza - osserva Uiltrasporti - non è tanto il posizionamento geografico quanto una strategia e una governance coese fra porto e Stato con una focalizzazione assoluta sulla crescita ed una forte partnership con CMA CGM (il gruppo armatoriale francese che è azionista della società che gestisce il porto container di Malta, ndr), una delle top five nello shipping che garantisce un battente di volumi diventato volano per ulteriore crescita».

Uiltrasporti conclude sottolineando la necessità, «prima di dare per persa la possibilità di dare al Porto Canale di Cagliari un futuro come porto di transhipment», di «fare ulteriori riflessioni» ed evidenzia come «soprattutto non valga la pena di gettare la spugna perché il costo della rinuncia rischia di essere enormemente superiore al costo degli investimenti necessari per continuare a competere, senza dimenticare che le opportunità per eventuali merci da lavorare in una ipotetica zona franca non possono prescindere dai collegamenti con il Far East e dal transhipment del Porto Canale».
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È deceduta Maria Teresa Di Matteo, capo del Dipartimento per i Trasporti e la Navigazione
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Il 21 gennaio a Roma si terrà l'assemblea annuale di Federlogistica
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FORUM dello Shipping
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