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È morto Roberto D'Alessandro, presidente del porto di Genova nei critici anni Ottanta
Lasciata dopo cinque anni la guida del CAP, ottenne incarichi dirigenziali in Agusta, Zanussi, Pirelli e Fiat
2 gennaio 2020
Martedì è morto Roberto D'Alessandro, manager che tra i numerosi incarichi dirigenziali e istituzionali ricoperti è stato presidente del Consorzio Autonomo del Porto di Genova (CAP) assumendo la carica il 14 febbraio del 1984, momento in cui lo scalo portuale del capoluogo ligure attraversava una gravissima crisi con una forte contrazione dei traffici. Un incarico assunto appena quattro giorni prima dell'elezione di Paride Batini a console della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie (CULMV). Due figure, quelle di D'Alessandro e Batini nati nel 1935 e nel 1934, che in quel burrascoso tempo divennero gli emblemi di due visioni contrapposte del possibile sviluppo del porto genovese: il primo, allora uno sconosciuto per l'intera comunità portuale locale e imposto alla presidenza dell'ente portuale dall'allora presidente del Consiglio dei ministri Bettino Craxi, era convinto che la diminuzione delle tariffe di movimentazione delle merci in porto e, in particolare, la riassunzione da parte del CAP della regia delle operazioni portuali avrebbe consentito allo scalo di riottenere la fiducia dei mercati e degli operatori internazionali necessaria per il suo rilancio; il secondo riteneva che ai lavoratori portuali dovesse essere assicurata l'autonomia necessaria per organizzare le attività di carico e scarico delle merci in modo efficiente.
Posizioni contrapposte che entrarono subito in conflitto alla prima decisione di D'Alessandro: quella di congelare le tariffe e di ridurre la consistenza delle squadre di portuali. Due visioni antitetiche che vennero illustrate in due documenti programmatici. A poco più di tre mesi dal suo insediamento alla presidenza del CAP D'Alessandro presentò le “Linee programmatiche per lo sviluppo del porto di Genova”, un volume subito ribattezzato “Libro Blu” in cui, con logica imprenditoriale, si proponeva una riorganizzazione dei diversi settori d'attività del porto che successivamente verranno assegnati in gestione a società controllate al 51% dal CAP e partecipate dalla CULMV e dalle imprese portuali private e poste sotto la supervisione, il coordinamento e l'autorità del Consorzio Autonomo del Porto. Un documento a cui i portuali - dopo qualche mese - risposero con il loro “Libro Rosso”.
Una contrapposizione, tra cui si inserirono alcuni imprenditori con un loro “Libro Verde” incentrato sulla proposta di gestire in proprio un'area del porto, che si acuì negli anni successivi con una ripetuta serie di prolungati scioperi e sfociò il 7 febbraio 1987 nel commissariamento della CULMV deciso da D'Alessandro, provvedimento poi annullato poco più di un mese dopo dal Tribunale Amministrativo Regionale che deliberò il reintegro di Batini e dell'intero vertice della Compagnia Unica.
Due anni dopo D'Alessandro, amareggiato soprattutto per il mancato sostegno alla sua azione da parte di settori imprenditoriali che glielo avevano assicurato, lasciò il Consorzio Autonomo del Porto per occupare incarichi dirigenziali in aziende private ed essere sostituito alla guida del CAP dall'ammiraglio Giuseppe Francese, subito chiamato ad affrontare una nuova crisi innescata all'inizio del 1989 dai provvedimenti autoritativi assunti dall'allora ministro della Marina Mercantile, Giovanni Prandini, per riformare la legislazione portuale e nel contempo scardinare il monopolio del lavoro nei porti affidato alle compagnie portuali abolendo la riserva di manodopera portuale e concedendo ai privati la facoltà di reclutare direttamente manodopera. Ma questa è un'altra storia di cui D'Alessandro non fu più protagonista preso com'era dagli impegnativi incarichi dirigenziali ottenuti in aziende come Agusta, Zanussi, Pirelli e Fiat.
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