Nella prima parte del 2023 il traffico delle crociere nei porti italiani ha superato i livelli raggiunti nel 2019 tranne che nei porti adriatici a causa della forte riduzione dell'attività nel porto di Venezia conseguente le difficoltà di transito delle navi nella Laguna determinatesi a partire già dal 2014 con il divieto di passaggio nel Canale della Giudecca e poi con la legge 103/2021 per la salvaguardia di Venezia. Lo denuncia Alessandro Santi, presidente di Federagenti, la federazione degli agenti marittimi italiani, spiegando che, come rilevato dall'agenzia marittima Cemar, quest'anno il numero di crocieristi risulta in crescita del +4% rispetto al 2019, con l'intero 2023 che si prevede sarà chiuso con quasi 12,9 milioni di passeggeri, mentre in tutto l'Adriatico si registra, nello stesso periodo, una flessione del -29%, con una riduzione di circa 800mila passeggeri rispetto alle statistiche pre-Covid. «Come era ampiamente prevedibile - ha osservato Santi - il blocco totale delle crociere nel bacino di San Marco e la conseguente esclusione, in totale assenza di soluzioni transitorie che potessero consentire alle navi passeggeri di comunque trovare accosti in laguna, ha generato un effetto domino su tutto il bacino Adriatico, privato della destinazione che rappresentava il maggiore motivo di attrazione».
Rilevando che il calo a Venezia è stato mitigato solo per una piccola parte dagli altri porti adriatici e che l'uscita dal mercato di Venezia si è tradotta in un dirottamento verso l'estero di molti servizi, come ad esempio le provviste di bordo e alcuni servizi tecnici manutentivi che ora vengono espletati in particolare nei porti greci, e dell'utilizzo degli aeroporti e delle strutture ricettive nazionali, il presidente di Federagenti ha sottolineato che «il caso delle crociere a Venezia rischia di risultare paradigmatico di una incapacità, nel caso manifestata dal governo Draghi, di assumere decisioni coerenti con la necessità di salvaguardare l'ambiente, ma anche il tessuto economico di interi territori, rimarcando come, per altro, la fuga dei crocieristi abbia innescato un fenomeno di sostituzione attraverso una crescita, fuori controllo, di turismo low cost che proprio nel caso di Venezia sta evidenziando in modo drammatico, la fragilità di una città il cui modello oggi sembra adattarsi maggiormente al concetto di “riserva” proposto da molte istituzioni internazionali a difesa del sito che alle reali necessità dei cittadini».