Oggi al Consiglio europeo degli Affari esteri si discuterà
della situazione in Medio Oriente e in questo contesto si dovrebbe
affrontare in maniera informale la questione dell'istituzione di una
missione di contrasto agli attacchi condotti dai ribelli Houthi
contro le navi nel Mar Rosso meridionale e nel Golfo dello Yemen. Il
condizionale è d'obbligo in quanto una proposta per la
creazione di una forza militare idonea a garantire la sicurezza del
traffico marittimo nella regione, che vedrebbe la partecipazione di
Francia, Germania e Italia e di altre nazioni europee, non è
in agenda. La nuova missione, che - ha anticipato il “Financial
Times” - verrebbe denominata “Aspides” e dovrebbe
essere autorizzata da una nuova riunione del Consiglio del prossimo
mese, avrebbe caratteristiche analoghe a quelle dell'operazione
“Agenor” promossa ad inizio 2020 dalla Francia
nell'ambito dell'iniziativa “Emasoh” per salvaguardare
la sicurezza del traffico marittimo nello stretto di Hormuz, che è
basata principalmente sull'impiego di forze navali, e avrebbe
carattere difensivo distinguendosi così dall'operazione
“Prosperity Guardian” attivata dagli USA e dal Regno
Unito per difendere le navi in transito nello stretto di Bab
el-Mandeb dagli attacchi di droni e missili provenienti dalle coste
dello Yemen e dagli assalti di imbarcazioni con uomini armati.
Il quotidiano britannico “Financial Times” ha
specificato che la missione “Aspides” potrebbe essere
avviata ai sensi dell'Articolo 44 del Trattato sull'Unione Europea
in base al quale “il Consiglio può affidare la
realizzazione di una missione a un gruppo di Stati membri che lo
desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tale
missione”.
Intanto il Centro studi di Unimpresa ha fatto il punto
sull'impatto sul traffico marittimo nel canale di Suez determinato
dagli attacchi degli Houthi contro le navi che sono dirette o
provengono dalla via d'acqua egiziana. Ricordando che attraverso
Suez passa quasi il 20% delle merci trasportate su mare nel mondo e
il 30% delle navi portacontainer, il Centro studi di Unimpresa
osserva che il forte clima di incertezza che deriva dalla crisi del
Mar Rosso comporta problemi, immediati e forse in arrivo: passa nel
Canale di Suez, del resto - si ricorda - il 16% del valore
dell'import italiano, con ingenti acquisti dalla Cina (secondo
mercato di approvvigionamento per noi dopo la Germania), dall'Asia,
dal Golfo Persico. Uscendo nel Mediterraneo - specifica l'analisi -
moltissime navi portacontainer fanno tappa e scalo nei porti
italiani, come Gioia Tauro, Altre navi, quelle che portano in Italia
il gas da Qatar fino al rigassificatore di Rovigo, sono bloccate, e
in quello scalo portuale si lavora il 13% del fabbisogno italiano di
gas.
Il Centro studi rileva che la diversificazione di questi mesi
consente all'Italia una buona autonomia, grazie al fatto che ormai
quote importanti di gas, rispettivamente del 33 e del 14%, arrivano
dall'Algeria con il Transmed, e dall'Azerbaigian con il Tap. Ma
rischi di aumento dei prezzi del gas e della benzina sono dietro
l'angolo (si parla del +4 e del +10%). E comunque è alta
l'incidenza dell'import per petrolio greggio e raffinato.
Il perdurare di questa situazione - evidenzia il Centro studi -
costituirebbe un problema visto che in Italia ben l'85% del traffico
merci viaggia su gomma. Il rallentamento del traffico marittimo, che
avrebbe conseguenze più pesanti sulla operatività di
porti come Genova e Trieste, si traduce anche in danni per alcune
componenti forti dell'economia italiana: sono a rischio 500 milioni
di euro che rappresentano l'export di produzione agricola e
alimentare verso i Paesi del Medio Oriente, l'India, il sud-est
asiatico. Oltre un terzo delle importazioni per la filiera italiana
della moda, infatti, passa attraverso il canale di Suez . Più
in generale - sottolinea il Centro studi di Unimpresa - sarebbe un
problema soprattutto per le piccole e medie imprese, non in grado di
assorbire con le quantità l'aumento dei noli di trasporto.
«La crisi del Mar Rosso - ha commentato il presidente di
Unimpresa, Giovanna Ferrara - può avere effetti negativi
sull'inflazione e potrebbe portare la Banca Centrale Europea a
ritardare il taglio del costo del denaro: basterebbe poco, sul
fronte dei prezzi, per dire addio al ritorno a una politica
monetaria espansiva dopo quasi due anni di pesanti restrizioni
creditizie con i tassi altissimi. Questa situazione richiede una
risposta ampia, che non può essere solo italiana. Il nostro
Paese, che si trova al centro delle conseguenze di quanto sta
accadendo a Suez, non può farcela da solo: mai come in questo
caso l'Unione Europea deve dare una risposta compatta che metta a
fattor comune le esigenze di tutti i partner europei. Gli effetti
della crisi per ora non sono da allarme rosso, ma occorre muoversi
in anticipo e non attendere il corso degli eventi».