Ieri a Marghera, nell'ambito di un convegno organizzato da
Assosped Venezia e ANASPED, si è parlato del Regolamento
europeo n. 956 del 2023 che ha introdotto un'imposta sul carbonio a
carico dei prodotti ad elevate emissioni di carbonio che sono
importati nell'UE e, in particolare, delle ripercussioni, dei rischi
e delle eventuali opportunità che la norma, che definisce un
meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), può
avere per gli spedizionieri doganali. «In effetti - ha
spiegato l'avvocato Sara Armella - dall'analisi della norma come è
scritta ora, sono emersi dei profili di responsabilità
soprattutto nei confronti del rappresentante indiretto di quei
soggetti importatori che non sono residenti nella UE. Questo - ha
evidenziato - è un aspetto che deve essere cautamente
considerato perché comporta l'assunzione del rischio di
sanzioni amministrative che però hanno un'entità
economica significativa. Abbiamo visto come cautelarsi da questo
rischio: contratti di mandato, assicurazioni, scelta molto attenta
degli operatori per i quali assumere la responsabilità di
dichiarante CBAM, posto che eventuali responsabilità mettono
a rischio il rappresentante indiretto del soggetto non residente.
Detto questo - ha precisato Armella - è giusto però
sottolineare che questa è una grande svolta dal punto di
vista della sostenibilità ambientale, l'idea di andare a
penalizzare le produzioni inquinanti che danneggiano tutti noi, è
un aspetto sicuramente positivo. Dal punto di vista professionale,
può essere anche un'opportunità, qualcuno lo ha detto,
perché le aziende importatrici sono impreparate di fronte a
questo nuovo adempimento, e la capacità e l'esperienza degli
spedizionieri è certamente fondamentale».
Più rischi che opportunità sono intravisti dal
presidente dell'Associazione Spedizionieri Doganali Venezia:
specificando che è «un tema fondamentale per i
doganalisti ma anche per le imprese, perché va a toccare
quelle che, come ha evidenziato bene l'avvocato Sara Armella, sono
le responsabilità e i rischi che il rappresentante indiretto
si trova ad affrontare», Marco Corda ha chiarito che il
proprio personale parere «è che in caso di soggetti non
residenti nell'Unione Europea e che hanno bisogno quindi della
rappresentanza indiretta, il rischio che pone l'operazione allo
spedizioniere doganale è un rischio non arginabile e quindi
da non assumere».
Che il tema sia assai sentito dalla categoria lo ha evidenziato
il presidente di Assosped Venezia, Andrea Scarpa, osservando che la
nutrita partecipazione al convegno testimonia che si tratta di «un
tema che per noi doganalisti è cruciale e lo diventa sempre
di più man mano che ci avvicineremo al 2026 quando la norma
sarà pienamente operativa. Lì - ha avvertito - i nodi
verranno tutti al pettine, adesso siamo in una fase transitoria però
come è emerso oggi, è una norma da approcciare con
grande attenzione: farsi carico di rischi così imponderabili,
come occuparci di stabilire la quantità di emissioni dirette
e indirette che sono correlate alla produzione di un bene di cui
seguiamo la importazione - ha rilevato Scarpa - è fonte di
molte preoccupazioni. Noi siamo doganalisti non possiamo entrare nel
merito di quello che i produttori ci dichiarano rispetto a quanto
immettono nell'atmosfera per produrre, ad esempio una penna. E
quindi, se si vogliono fare le dichiarazioni CBAM, bisognerà
avere alle spalle una solida tutela assicurativa, di contratto,
altrimenti, la mia idea è che lo facciano direttamente gli
importatori, noi gli daremo l'assistenza ma poi la responsabilità
la dovranno assumere loro».
Dal convegno, introdotto anche dagli interventi di Massimo De
Gregorio, presidente di ANASPED, e di Franco Letrari direttore
interregionale Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Veneto e
Friuli Venezia Giulia, è emersa appunto la questione cruciale
della responsabilità che ci si assume nel essere dichiarante
CBAM: innanzitutto la corretta identificazione delle merci soggette
al regolamento CBAM, cosa non così semplice come potrebbe
apparire ad un osservatore esterno; poi la difficoltà, se non
la impossibilità, di avere certezza sulla bontà delle
dichiarazioni che attestano le quantità di emissioni dirette
e indirette legate alla produzione del bene oggetto
dell'importazione. Una questione di non facile soluzione che
coinvolge non solo gli importatori, ma gli stessi produttori dei
beni, spesso restii a divulgare dati attraverso i quali pensano sia
possibile risalire ad aspetti critici o comunque riservati dei loro
processi di lavorazione.