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COUNCIL OF INTERMODAL SHIPPING CONSULTANTS
ANNO XXXV - Numero 15 GIUGNO 2017
PORTI
VERSO UN'ECONOMIA DI CONDIVISIONE DEI TERMINAL PORTUALI?
C'è un sacco di eccitazione riguardo a quella che viene
chiamata "economia di condivisione".
È geniale: si fanno soldi mediante l'intelligente
mutualizzazione del patrimonio.
Il vantaggio per le imprese: meno necessità di
investimenti patrimoniali.
Il suo esempio primario: la Uber.
Il trasporto marittimo di solito non viene associato a tali cose
interessanti.
Piuttosto, il contrario.
A quasi ogni conferenza sullo shipping, la gente parla del
misterioso Uber del trasporto marittimo che verrà e
perturberà quasi tutto.
Molti di noi sembrano essere in attesa della attraente economia
condivisa allo scopo di aggiornare finalmente l'arrugginito settore
del trasporto marittimo.
Quello che si dimentica facilmente è che il settore del
trasporto marittimo containerizzato è già un'economia
condivisa.
Quasi tutti i vettori globali condividono le proprie navi
attraverso accordi di condivisione delle stesse od alleanze.
Ci sono tre di queste grandi alleanze che assieme dispongono del
95% della quota di mercato negli importanti traffici containerizzati
est-ovest.
Il trasporto marittimo containerizzato presenta barriere
all'ingresso molto alte, pertanto gli accordi di condivisione delle
navi potrebbero essere la cosa più vicina all'economia
condivisa che il settore potrebbe conseguire.
E questo è abbastanza perturbante: comporterà
drastiche conseguenze per il modo in cui i porti sono gestiti.
Nel corso degli ultimi decenni, molti consensi hanno ottenuto i
meriti del "modello portuale proprietario".
In questo modello le operazioni di movimentazione dei carichi
vengono lasciate ad operatori privati che investono in gru,
attrezzature ed assunzioni di manodopera portuale, mentre l'autorità
portuale pubblica funge da proprietaria: dà le concessioni e
determina le regole e gli investimenti nelle infrastrutture comuni.
Il predominio di questo modello potrebbe non essere esagerato:
oggi circa il 90% di tutti i porti sono di tipo proprietario ed il
modello è al nucleo dello Strumento per la Riforma dei Porti
della Banca Mondiale che ha ispirato molte riforme portuali.
Tuttavia, i tempi sino cambiati ed il porto proprietario è
molto meno sostenibile in un mondo di alleanze forti e delle mega
navi che le hanno agevolate.
Perché?
Le mega navi portano grossi picchi di carico che richiedono
l'impiego di molte gru, di molto equipaggiamento e di molti
portuali: più di quanto sarebbe necessario per le navi più
piccole, anche se i quantitativi di carico restano gli stessi.
Pertanto: meno ritorni dagli investimenti.
Ci sono solo tre alleanze, e così perdere una o due
alleanze a vantaggio di un terminal vicino diventa una questione di
vita o di morte.
Pertanto, i terminal potrebbero sentirsi costretti ad effettuare
investimenti che non hanno senso finanziario per loro, dato che
l'alternativa sarebbe quella di perdere un terzo, la metà o
tutto il carico, cosa che significherebbe essere comunque in
perdita.
Un dilemma impossibile.
Ma vediamo come sarebbe l'economia condivisa.
Mutualizzare il patrimonio dei terminal nello stesso porto
sarebbe un modo per uscire dal dilemma.
Potrebbe esserci un gruppo comune di gru, attrezzature da
piazzale, spazio in piazzale e forza lavoro in ogni porto che
potrebbe essere utilizzato dai terminal che ne hanno bisogno in un
momento particolare (i picchi) ma non negli altri momenti.
Tali accordi di condivisione del patrimonio potrebbero
contribuire ad utilizzare meglio i beni dei terminal portuali,
proprio come gli accordi di condivisione di navi aiutano le
compagnie di navigazione ad utilizzare meglio le proprie navi.
Questo modello dei beni terminalistici condivisi funzionerebbe
verosimilmente meglio nei terminal con linee di banchina e piazzali
adiacenti, di modo che la mutualizzazione sarebbe possibile senza
altri costi al di fuori della rimozione della recinzione fra i
terminal, permettendo il libero flusso di gru a ponte ed
equipaggiamento da piazzale.
In alcuni casi, questo potrebbe essere più difficile, ma
anche qui la mutualizzazione di beni e forza lavoro, così
come depositi containerizzati congiunti e gruppi di forza lavoro,
potrebbero agevolare l'utilizzazione dei terminal.
L'esito logico di un tale sviluppo potrebbe essere l'emersione
di un nuovo modello di amministrazione portuale: una sorta di
porto-strumento privato, in cui l'organizzazione congiunta di
operatori di terminal portuali può normalmente pianificare
l'impiego di strumenti comuni (equipaggiamento, forza lavoro, spazio
nei piazzali) in quel porto.
Essi si fanno concorrenza, ma altresì collaborano.
Una cosa assai diversa dall'attuale porto proprietario.
Ma accadrà mai?
La risposta alla domanda dipende da quali regolatori avranno
voglia di farsi portar via la facoltà di legiferare in
materia antitrust per i terminal portuali.
Tali esenzioni esistono per il trasporto marittimo di linea,
pertanto perché no per le attività terminalistiche?
La coerenza politica richiederebbe che sia le linee di
navigazione sia gli operatori terminalistici disponessero di tali
esenzioni oppure nessuno dei due.
Consentire l'economia condivisa nel trasporto marittimo
containerizzato ma non nei terminal container è insostenibile
e merita una revisione.
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