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Greenpeace boccia il porto di Piombino quale sede per lo smantellamento della Costa Concordia
Giannì: auspichiamo che la bonifica e la rottamazione avvenga nei limiti della legalità, in uno degli ex cantieri navali presenti in Europa
10 marzo 2014
Per Greenpeace «ad oggi non esistono soluzioni praticabili per lo smaltimento della Costa Concordia in Italia». Anzi, per lo smantellamento del relitto della nave da crociera naufragata all'inizio del 2012 all'Isola del Giglio - secondo l'associazione ambientalista - «anche in Europa le possibilità restano vaghe e limitate: nel 2012 - ha ricordato Greenpeace Italia - la Commissione Europea ha escluso le navi dalla Convenzione di Basilea che vieta lo smaltimento dei rifiuti tossici navali in Paesi non di area OCSE, senza prevedere la bonifica preliminare (pre-cleaning). Questo ha contribuito allo smantellamento dei cantieri europei destinati alla demolizione delle navi e ha favorito la pratica dell'esportazione delle navi da rottamare in Turchia e altri Paesi asiatici.
Dimenticando gli interventi normativi che hanno favorito la pratica dello smantellamento in Paesi extraeuropei, molti politici, compreso il commissario dell'industria Antonio Tajani, hanno auspicato la realizzazione di un polo di smaltimento a Piombino».
«Queste dichiarazioni - ha affermato il direttore delle campagne di Greenpeace Italia, Alessandro Giannì - sono irrealistiche. Per la costruzione di un vero e proprio bacino di demolizione navale occorrerebbero almeno due anni e il futuro industriale di questo progetto è azzerato dalle norme recentemente adottate in Europa». «Auspichiamo - ha aggiunto Giannì - che la bonifica e la rottamazione della Costa Concordia avvenga nei limiti della legalità, in uno degli ex cantieri navali presenti in Europa, secondo le linee guida di smaltimento delle navi elaborate dalla Convenzione di Basilea, che prevede la bonifica degli scafi prima della rottamazione. Ma prima ancora della rimozione e del trasferimento della Concordia è assolutamente necessaria la sua messa in sicurezza».
Greenpeace ha denunciato nuovamente come «lo smaltimento non regolato delle navi in Europa abbia sviluppato un business di riciclaggio di acciaio nei paesi del Terzo mondo, di cui beneficiano gli armatori europei, a discapito dell'ambiente e dei lavoratori dell'Asia del sud. Lo sviluppo di questo commercio illegale - ha spiegato l'associazione ambientalista - è dovuto al risparmio sui costi legati alla mano d'opera, alla pessima gestione dei rifiuti pericolosi presenti nelle navi e al miglior prezzo sul mercato dell'acciaio recuperato. Il disastro della Concordia - ha rilevato Greenpeace Italia - ha portato Costa Crociere e Carnival - la compagnia statunitense che ne è proprietaria - sotto i riflettori di tutto il mondo. Per questo, per motivi di immagine, è verosimile e auspicabile che lo smaltimento non avverrà in Paesi come India e Turchia, dove la demolizione costerebbe circa il 30% in meno. Ad esempio, la Carnival ha rottamato la nave Costa Allegra, che si è incendiata pochi settimane dopo il disastro della Costa Concordia, nel sito di Alyaga in Turchia, semplicemente cambiando il nome della nave in Santa Cruise, e la bandiera: da italiana a Sierra Leone. Il sito di Alyaga, tra quelli candidati anche alla demolizione della Costa Concordia - ha denunciato ancora Greenpeace - è ben noto per la pratica dello spiaggiamento, vietata dal regolamento UE 1257/2013, come documentato delle immagini ottenute da Greenpeace poche settimane fa».
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