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Secondo Fincantieri gli appalti sono essenziali per la costruzione delle navi, mentre per i sindacati il sistema non funziona
Bono: «la quotazione in Borsa è andata benissimo». «Fosse per noi - ha sostenuto l'amministratore delegato del gruppo - metteremmo microchip negli scarponi dei lavoratori»
30 luglio 2014
Per il gruppo navalmeccanico Fincantieri gli appalti e l'indotto sono indispensabili per la costruzione delle navi, mentre per i sindacati Cgil, Cisl e Uil il sistema degli appalti nella cantieristica non funziona. In occasione dell'audizione odierna presso la II Commissione del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, l'amministrazione delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, ha spiegato che «da uno studio è emerso che la cantieristica navale crea il maggior numero di ricaduta di crescita e indotto: il rapporto - ha precisato - è di 1 a 5,5. Senza gli appalti, senza l'indotto - ha sottolineato Bono - noi non potremmo fare le navi, ecco perché siamo molto attenti a questo aspetto. Senza appalti non potremmo trovare saldatori e quant'altro e dunque non potremmo andare avanti. Solo il 20% - ha specificato - è con apprendistato, tutti gli altri sono a tempo indeterminato. Noi, quando parliamo di mobilità, parliamo di mobilità interna. Tra 10 anni ci perderemo moltissimi “maestri” che non sapremo come rimpiazzare anche perché abbiamo distrutto tulle le scuole professionali, dei mestieri. La preoccupazione per il futuro, se c'è, non è sulla mancanza di mercato, ma questa».
Secondo le tre sigle sindacali, invece, quello appalti e cantieristica, ovvero indotto e Fincantieri, è un sistema che non funziona e che - hanno ricordato nel corso dell'audizione - i sindacati stanno denunciando da anni. Da parte dei rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil sono emerse preoccupazioni che hanno origini vecchie e che sono state fatte arrivare sino ai tavoli della magistratura con esplicite denunce. Tra le loro proposte, piuttosto che riscrivere un Protocollo di controllo e gestione degli appalti (oggi vige quello del 2007) che non serve a risolvere le carenze di Fincantieri, meglio un rapporto diretto con i lavoratori, raccogliere le loro lamentele e poi semmai rivolgersi alla magistratura; tenere alto il livello qualitativo dell'indotto garantito dalle ditte locali, formarlo ancora di più per salvaguardarne la professionalità già alta; inserire un sistema di timbratura di entrata e uscita per verificare quante ore veramente un lavoratore sta in quella fabbrica e che il dato sia confrontato con quanto viene pagato; non intervenire - hanno sottolineato i rappresentanti dei tre sindacati - solo a livello regionale, scorporando Monfalcone dagli altri stabilimenti, anche se si tratta del più grande, perché il gruppo è internazionale e si deve fare un discorso complessivo.
A proposito di Monfalcone e degli altri cantieri del gruppo, l'amministratore delegato di Fincantieri ha espresso un'altra preoccupazione: «un'altra carenza, che magari emergerà più tra 10 anni ma noi lo stiamo denunciando già ora - ha detto Bono - è che le navi da crociera sono sempre più grandi e tra un po' i bacini non lo saranno abbastanza, perciò anche Monfalcone, che pure è il più grande, non sarà sufficiente. Inoltre, andrebbero modificate alcune regole se vogliamo che l'industria viva. Ad esempio, se noi verifichiamo che uno ruba, non lo possiamo licenziare perché per la privacy non possiamo essere noi a scoprirlo, ma la polizia. Cose così fanno morire l'impresa».
«Quanto alla sicurezza - ha proseguito Bono - le regole che valgono per noi, valgono anche per gli altri, appalti e subappalti».
L'amministratore delegato di Fincantieri si è soffermato anche sul recente ingresso in Borsa di Fincantieri ( del 30 giugno 2014). «La quotazione in Borsa - ha sostenuto Bono - è andata benissimo, con più di 55mila italiani che hanno sottoscritto le nostre azioni e con più di 350 milioni di euro portati a casa». I sindacalisti invece si sono limitati a rilevare che la quotazione non risulta essere stata un'operazione di successo.
Bono si è anche lamentato per la difficoltà di trovare lavoratori italiani: «noi - ha evidenziato - non abbiamo delocalizzato, avremmo potuto farlo invece no. Però siamo costretti a chiamare gli stranieri perché gli italiani non li troviamo». «In alcune occasioni - ha aggiunto - ci hanno contestato anche l'applicazione del contratto: ma allora, i contratti valgono o no? Tra sindacati non sono sempre d'accordo su ciò che vogliono, e non è facile metterli tutti insieme e capire come accontentarli. Molti giovani sindacalisti - ha accusato Bono - non hanno mai visto un cantiere, parlano solo per interposta persona. Lo scorso anno abbiamo fatto 250.000 ore di formazione: vorremmo che tutti facessero la loro parte come la fa Fincantieri e smetterla con la cultura dell'antagonismo a tutti i costi. Noi - ha concluso Bono - abbiamo già messo le verifiche delle entrate e delle uscite; non solo, fosse per noi metteremmo microchip negli scarponi dei lavoratori per sapere dove sono esattamente, quando lavorano sulle navi, specie quando accadono inconvenienti: sarà una rivoluzione che ci contesteranno, ma ci dovremo arrivare».
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