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La Corte di Giustizia UE sentenzia che la legge italiana non assicura l'indipendenza del gestore dell'infrastruttura ferroviaria
È assicurata, invece, l'indipendenza dell'organismo di regolamentazione
3 ottobre 2013
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sentenza odierna relativa al ricorso presentato dalla Commissione Europea contro l'Italia, ha stabilito che la legge italiana non consente di assicurare l'indipendenza del gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, cioè di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), società che pur essendo dotata di personalità giuridica autonoma fa parte del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane (FS) che comprende anche Trenitalia, la principale impresa ferroviaria italiana. RFI è incaricata del calcolo dei diritti di accesso alla rete per ogni operatore e della loro riscossione, sulla base delle tariffe fissate dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ricordando che la liberalizzazione del trasporto ferroviario nell'UE mira ad obbligare gli Stati membri a garantire alle imprese del settore un accesso equo e non discriminatorio alla rete ferroviaria, i giudici hanno spiegato che con il suo ricorso la Commissione Europea ha fatto valere, anzitutto, che la normativa italiana non garantisce l'indipendenza di gestione del gestore dell'infrastruttura. Il diritto dell'Unione, infatti, conferisce agli Stati membri il compito di istituire un quadro per l'imposizione dei diritti nel rispetto dell'indipendenza gestionale del gestore dell'infrastruttura, cui spetta determinare i diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura e provvedere alla loro riscossione. Per contro, secondo la Commissione, riservandosi il potere di fissare il livello dei diritti di accesso alla rete, l'Italia priverebbe il gestore di uno strumento essenziale di gestione.
La Corte di Giustizia dell'UE ha sottolineato che i sistemi di determinazione dei diritti di utilizzo e di assegnazione della capacità devono incoraggiare i gestori ad ottimizzare l'utilizzo dell'infrastruttura nell'ambito stabilito dagli Stati membri e che il ruolo dei gestori non può quindi limitarsi a calcolare l'importo del diritto in ciascun caso, applicando una formula fissata in precedenza mediante decreto ministeriale. Al contrario, essi devono disporre di un certo grado di flessibilità nella fissazione dell'importo dei diritti.
La Corte ha rilevato che la normativa italiana prevede che la determinazione dei diritti, fissata di concerto con il ministero, vincoli il gestore. Sebbene il ministero eserciti un mero controllo di legittimità - hanno specificato i giudici - detto controllo dovrebbe tuttavia spettare all'organismo di regolamentazione, nel caso di specie all'Ufficio per la Regolazione dei Servizi Ferroviari (URSF). Pertanto - secondo la Corte - la legge italiana non consente di assicurare l'indipendenza del gestore.
In merito all'addebito mosso dalla Commissione Europea alla normativa italiana di non rispettare l'indipendenza dell'organismo di regolamentazione in quanto l'URSF è costituito da funzionari del ministero e quest'ultimo continua ad esercitare un'influenza sul gruppo FS, che detiene Trenitalia, la Corte di Giustizia dell'UE - respingendo la tesi della Commissione - ha osservato che invece, con i loro interventi legislativi successivi, le autorità italiane hanno inciso sulla costituzione dell'organismo di regolamentazione e hanno ridefinito progressivamente la sua autonomia organizzativa e contabile, in particolare con la legge n. 27, del 24 marzo 2012 che istituisce una nuova autorità di regolamentazione dei trasporti. Inoltre i giudici hanno ricordato che, secondo la direttiva europea, l'organismo di regolamentazione può essere il ministero dei Trasporti e che, pertanto, la Commissione Europea, per concludere che esso non è indipendente, non può far leva sulla sola circostanza che l'URSF appartiene a tale ministero.
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