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Filt, Fit e Uilt invitano ad abbassare i toni della querelle sull'impiego di marittimi italiani
Riferendosi alla diatriba Onorato/Grimaldi, esortano tutte le parti a confrontarsi con il sindacato
1 giugno 2017
Le rappresentanze sindacati Cgil Cisl e Uil di categoria del settore marittimo prendono le distanze dalla querelle tra Vincenzo Onorato ed Emanuele Grimaldi, che guidano rispettivamente i gruppi armatoriali Moby/Tirrenia e Grimaldi e che ripetutamente hanno esposto una visione diametralmente opposta di come uno ritiene che l'altro si affidi alla marineria italiana, con il primo che denuncia il mancato impiego di marittimi italiani da parte del secondo che a sua volta bolla come pretestuose le accuse e in grado piuttosto di alimentare la disoccupazione ( del 9 e 10 maggio 2017)
Ricordando di aver ancora all'inizio di questa querelle espresso un'opinione sull'attuale sistema del Registro Internazionale, Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti di categoria, ribadiscono «che non è nostro interesse sostenere l'una o l'altra posizione, perché - spiegano - siamo convinti che dovremmo agire sulla base di fattori strategici e non contingenti. Ci è sufficientemente chiaro il danno che immediatamente si sarebbe venuto a creare di fronte ad un tono troppo aggressivo e a contenuti che richiederebbero analisi approfondite e non tifoserie».
«Un appello, il nostro - specificano le organizzazioni sindacali - che rimasto inascoltato non ha potuto evitare che la polemica si indirizzasse sul piano della concorrenza commerciale tra due delle più importanti società di trasporto marittimo. Non a caso nel corso dell'audizione alla IX Commissione Trasporti della Camera, in occasione del dibattito sulla modifica della legge 30/98, abbiamo rilevato una carenza di analisi di base ed una quasi assenza del rapporto costi/benefici».
Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti osservano che «ogni Paese con tradizioni marinare ha un registro di bandiera, uno può differire dall'altro e risultare più competitivo per questioni legate a fattori burocratici, di costi, di obblighi a cui si devono attenere gli armatori che vi iscrivono le proprie flotte, ma ciò dipende molto dalla struttura fiscale e sociale di cui i Paesi stessi si dotano. È innegabile - precisano - che il Registro italiano, nei primi anni di vigenza della legge 30/98, ha dato impulso alla stabilizzazione delle società sotto la bandiera italiana e, nel rispetto di vincoli internazionali riferiti al cabotaggio insulare e costiero definito in sede comunitaria, i dati a consuntivo sull'entità della flotta nazionale e il ricorso al personale italiano/comunitario sono evidenti. Ma si può fare sempre di più e meglio. Come organizzazioni sindacali già allora non ritenevamo sufficiente il numero minimo di italiani/comunitari per avere accesso ai benefici fiscali della Tonnage Tax, così come non lo riteniamo sufficiente neanche oggi, ma avere avviato una discussione solo su una parte della legge da riformare potrebbe non garantire una visione di prospettiva».
«Il tema della forte presenza di personale extracomunitario a bordo di navi battenti bandiera italiana - rilevano Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti - non è un qualcosa che appartiene a questo settore da pochi anni, ma è una realtà consolidata e che si esprime a livello globale anche in tutte le altre bandiere della flotta mercantile mondiale. È complesso fare una puntuale analisi della carenza di occupazione marittima italiana sulle nostre navi se prima non si sciolgono nodi strutturali che penalizzano il nostro sistema di adeguamento professionale alle esigenze del mercato del lavoro a bordo. Potremmo pensare, come avviene molto spesso sui social, che sia sufficiente risolvere il tutto con la promulgazione di una legge o con qualche sciopero o protesta. Se fosse cosi sarebbe molto semplice: sarebbe sufficiente chiedere una legge sul lavoro ogni mese con una contestuale manifestazione e sciopero e tutto sarebbe risolto. Ma purtroppo non è cosi».
«Il settore marittimo - ricordano le organizzazioni sindacali - è storicamente il più globalizzato. Immaginare di porre vincoli o protezionismi in singoli Stati rischia di mettere a rischio la sua rilevanza economica, la sua occupazione nazionale. L'occupazione marittima italiana si incentiva con altri elementi e presupposti ed ha dinamiche molto più complesse e variabili. Il mondo dello shipping sta cambiando e cambia giorno dopo giorno. L'automazione e l'innovazione continue obbligano a nuove sfide in termini di organizzazione del lavoro e di professionalizzazione. L'iter formativo che un giovane intraprende per arrivare a diventare un lavoratore marittimo deve essere coerente con ciò che il mercato richiede, sia in termini di qualifiche sia in termini di certificazioni. Il sistema di gestione dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro marittimo non funziona e non tiene conto delle dinamiche sia tecnologiche che professionali in atto».
«Dobbiamo puntare - chiariscono Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti - a riformare un settore che fatica persino a tenere il conto delle proprie matricole. Senza parlare dei costi necessari a qualificare il proprio patrimonio professionale, spesso a carico degli stessi lavoratori marittimi, per renderlo spendibile sul mercato delle professioni anche a livello internazionale. Deve essere un obiettivo comune, ricordandoci che il mondo dello shipping è in piena evoluzione con strategie che vanno ben oltre i confini del modesto dibattito odierno. Dobbiamo, quindi, lavorare per un nuovo sistema di collocamento centralizzato ed informatizzato, andando a superare il sistema delle chiamate presso le Capitanerie, impegnando queste ultime a tenere aggiornati i documenti che certificano chi è a bordo delle navi e chi fa che cosa».
«Dobbiamo avere - proseguono Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti - un quadro certo dei fabbisogni formativi e di indirizzo per poter meglio comprendere cosa i nostri centri di formazione stanno facendo e sotto quale controllo. Dobbiamo operare fin dal prossimo rinnovo contrattuale del settore marittimo, che scade tra pochi mesi, affinché la formazione e l'aggiornamento di tutti i marittimi siano a carico degli armatori; avvicinare sempre di più le caratteristiche di garanzia e tutela del turno particolare a quello del CRL, riducendo contestualmente la forte precarietà che si vive in questo settore. Allo stesso tempo, per dare un segnale forte all'occupazione italiana, dobbiamo operare affinché si aumentino i numeri del fabbisogno nelle tabelle di armamento in modo da ridurre i forti carichi di lavoro che stanno gravando sull'attuale personale marittimo, aumentando di fatto le occasioni di lavoro per i nostri giovani. Inoltre occorre fare azioni di lobbing tutti insieme, convincendo la politica e le istituzioni a far riconoscere il lavoro marittimo come lavoro usurante e permettere cosi lo sblocco del turnover».
«Come Filt, Fit e Uiltrasporti - ricordano ancora i sindacati - abbiamo già intrapreso un percorso di questo tipo, con un tavolo aperto presso il MIT. Invitiamo il Ministero a cogliere il buon lavoro fatto nel settore portuale per farsi protagonista attivo e rimettere al centro del dibattito politico/istituzionale i temi del mare e del suo rilancio, che non può prescindere da un luogo istituzionale dedicato esclusivamente al settore. Ritorniamo ad affrontare i problemi in termini strategici, evitando di farli diventare solo temi a carattere emergenziale e mediatico. Certo, le ultime vicende di cronaca politica/giudiziaria non aiutano riflessioni serene utili ad esprimere un giudizio di merito sul mondo armatoriale o di lupi...di mare. Tuttavia non saranno questi brutti eventi a farci desistere dal cercare insieme ai lavoratori, confrontandoci con le associazioni di rappresentanza datoriale e istituzionali, soluzioni e forme ottimali per garantire stabilità occupazionale a chi è già inserito negli organici e a chi pensa di costruire il proprio progetto di vita lavorando a bordo delle navi. Riteniamo fondamentale che tutti sotterrino “l'ascia di guerra” e si mettano intorno ad un tavolo composto da sindacati, istituzioni ed armatori per trovare le soluzioni che riescano a contemperare le aspettative del mondo armatoriale con quelle dei marittimi, a partire da un aumento significativo di personale italiano sulle nostre navi oltre ad un chiaro miglioramento delle condizioni di lavoro a bordo».
«Pertanto - concludono Filt, Fit e Uilt - invitiamo tutti gli attori ad abbassare i toni e se davvero hanno a cuore la marineria italiana, settore fondamentale per la nostra nazione, inizino a confrontarsi con il sindacato perché solo in questa maniera possiamo trovare quei punti in comune indispensabili per vincere le sfide del mercato globale. Se facciamo squadra, nel rispetto degli interessi particolari che ciascuno di noi rappresenta, ci saranno sicuramente le condizioni per rilanciare il settore marittimo, ma se si vuole continuare con i proclami a chi è più “bravo e virtuoso” denigrando gli altri, non ci saranno passi avanti in senso positivo. Il sindacato confederale è pronto a fare la sua parte. Al governo e al parlamento chiediamo di guidare un processo, che se lasciato nelle mani di armatori uno contro l'altro o di politici molto legati a singole lobbies porterà solo danni al Paese».
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