 Federagenti si chiede se i soldi investiti dallo Stato nei porti
nazionali siano risorse ben spese. Un dubbio che sino a ieri
appariva un'eresia se formulato ad alta voce da esponenti delle
aziende marittimo-portuali. I denari impiegati nei porti, sino a
poche ore fa, erano anzi, per gli imprenditori, troppo pochi
rispetto a quelli che i porti immettevano nelle casse statali. Fino
a ieri la perplessità manifestata per alcuni investimenti nei
porti era espressa da rappresentanti delle comunità portuali
più che altro per il timore che questi determinassero
un'indebita concorrenza a danno di attività, magari le loro,
già ben consolidate.
A scagliare oggi la prima pietra è l'apostata Paolo
Pessina, presidente della federazione degli agenti marittimi
italiani, che ha chiesto la creazione di «un database dei
terminal non solo container, progettati o in costruzione nei vari
porti italiani, e quindi una mappa che evidenzi, da un lato, le
tipologie di traffico e, dall'altro, la domanda effettiva del
mercato per tali tipologie di merci e servizi in determinate aree
del Paese».
Sui porti, recentemente, è scrosciata una pioggia di
soldi. Un rapporto del 2022 realizzato dalla Struttura Tecnica di
missione per l'indirizzo strategico, lo sviluppo delle
infrastrutture e l'alta sorveglianza del Ministero delle
Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, dall'Unità
di Missione PNRR Infrastrutture e dalla Direzione generale per la
vigilanza sulle Autorità di sistema portuale, il trasporto
marittimo e per le vie d'acqua dello stesso dicastero in
collaborazione con Assoporti quantificava in oltre dieci miliardi di
euro il fabbisogno complessivo a copertura della pianificazione
programmata per il settore portuale, di cui oltre nove miliardi già
resi disponibili, risorse in gran parte derivanti dal Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dal Piano Nazionale
Complementare (PNC) e da altri programmi.
Una ingente massa di acqua piovana che, in parte più o
meno consistente, confluisce in rivoli destinati ad essiccarsi e a
non irrigare colture che potrebbero dare frutti. Parlando di una
revisione del PNRR «che appare inevitabile alla luce dei
ritardi che incombono sulla maggioranza delle opere finanziate
attraverso questo strumento straordinario», Pessina ha
rilevato che, «per alcune tipologie di traffico, l'offerta
portuale italiana, dopo l'ultimazione dei lavori previsti nel PNRR,
potrebbe risultare più che doppia rispetto alla crescita
attesa del mercato, senza contare il fatto - ha evidenziato il
presidente di Federagenti evocando la locuzione “cattedrali
nel deserto” - che potrebbero finire sotto i riflettori le
decisioni di edificare infrastrutture portuali in territori dove
questi terminal e queste banchine non hanno senso, se non quello di
soddisfare campanilismi e clientele».
Ricordando che oggi il PNRR stanzia nei soli porti 3,8 miliardi
di euro, ai quali sommare gli stanziamenti specifici per gli scali
del Sud (2,6 miliardi), quelli alle ferrovie (più di dieci
miliardi fra alta velocità e linee ferroviarie nel
Mezzogiorno) più finanziamenti per il comparto logistico,
Pessina ha osservato che «molti hanno dimenticato che quelli
che sono oggi i principali terminal container del Paese, quello di
Gioia Tauro e quello di Genova-Prà, erano stati progettati
(sulla base di scelte e valutazioni errate del mercato) come hub per
l'importazione del carbone ed erano diventate cattedrali nel deserto
salvate per un'intuizione imprenditoriale o manageriale». A
quanto dice oggi il presidente di Federagenti, sembrerebbero allora
ben spesi i soldi in queste due opere portuali che anni fa
sembravano cattedrali nel nulla. E qui sembra svaporare la necessità
di creare un database come quello richiesto da Pessina.
Ma quello che forse Pessina intende è che la stagione
delle piogge sta per finire e che i prossimi governi nazionali e le
prossime governance portuali dovranno fare i conti con terreni
imbevuti d'acqua ma, ieri come in futuro, improduttivi. Per il
presidente di Federagenti, «oggi è indispensabile che
il Paese si interroghi con serietà su quello che gli è
necessario e su quello che invece non è frutto di valutazioni
economiche attente». Evidentemente, per Pessina oggi è
imprescindibile fare quello che sicuramente era meglio fare ieri.
«Ci rendiamo conto - ha concluso Pessina - quanto sia
complesso applicare criteri di buon governo a opere pubbliche, ma
siamo disposti a nostra volta a rimboccarci le maniche e aiutare i
decisori pubblici a spendere bene e in modo non avventato risorse
che, anche nei territori beneficiari di progettazione non basata
sulla domanda del mercato, potrebbero essere dirottate su reali
necessità».
Ma la progettazione è in gran parte ormai alle spalle e
le precipitazioni atmosferiche stanno diminuendo. La prima pietra di
Pessina sembra scagliata nel vuoto. Se nessuno dice quali sono le
opere pubbliche portuali che non incontrano la domanda del mercato,
e non lo fanno neppure gli agenti marittimi che pure avrebbero le
competenze per esprimersi in tal senso, figuriamoci attendersi che
lo facciano politici che, a differenza degli imprenditori, hanno a
che fare con l'elettorato.
Bruno Bellio
|