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STUDI E RICERCHE
Il CSIS esorta il governo USA a contrastare il sistema dual-use civile-militare adottato dai cantieri navali cinesi
Perplessità sul sistema di tasse portuali proposto dall'USTR, ma non sulla sua introduzione che costerebbe oltre otto miliardi di dollari all'anno alle prime dieci compagnie che scalano porti USA
Washington
11 marzo 2025
«Il crescente predominio della Cina nel settore della
cantieristica navale mondiale presenta sfide critiche per l'economia
e la sicurezza nazionale per gli Stati Uniti e per i suoi alleati».
L'avvertimento è contenuto in un rapporto pubblicato oggi dal
think tank americano Center for Strategic and International Studies
(CSIS) che esamina le implicazioni della sorprendente crescita
dell'industria navalmeccanica cinese che - ricorda il documento -
solo vent'anni fa era un attore quasi irrilevante in questo mercato.
Il rapporto specifica che questa rapida espansione è
stata resa possibile dal suo modello di cantieristica dual-use,
ovvero attiva sia nel segmento della produzione di navi commerciali
che di navi militari. Tale duplice uso, secondo l'analisi del CSIS,
rappresenta una sfida critica per gli USA in quando sta consentendo
di colmare il divario con le forze navali statunitensi, tanto che
ora la Marina Militare della Repubblica Popolare Cinese schiera più
navi da guerra dell'US Navy e - rileva il rapporto «è
sulla buona strada per schierare una flotta di 425 navi entro il
2030, sostenuta da una base industriale che è in grado di
rimpiazzare e riparare le navi molto più velocemente rispetto
ai cantieri statunitensi».
Il rapporto sottolinea che, «dal punto di vista economico,
le politiche industriali della Cina stanno marginalizzando le
industrie cantieristiche statunitensi e alleate. Giappone e Corea
del Sud, un tempo dominanti, stanno perdendo quote di mercato anche
in settori avanzati come la produzione di navi cisterna per il gas
naturale liquefatto Anche i costruttori navali europei affrontano
una crescente concorrenza mentre la Cina si espande in mercati ad
alto valore come le navi da crociera. Il settore della cantieristica
navale commerciale statunitense è stato quasi cancellato, con
la sua quota di mercato calata nel 2024 a solo lo 0,11% del totale
globale».
Il rapporto esorta quindi l'adozione da parte degli USA di
misure decisive per affrontare le sfide poste dall'industria cinese
della cantieristica navale, con politiche incentrate su diversi
obiettivi a partire dall'attivo contrasto alla “fusione
civile-militare” adottata dai cantieri cinesi «interrompendo
gli afflussi di capitali e di tecnologia esteri nei cantieri navali
cinesi» e dalla riduzione del «predominio della Cina
nell'industria cantieristica mondiale». «Esperienze
passate in settori come quelli dei pannelli solari e delle batterie
per veicoli elettrici, nei quali le aziende statunitensi e alleate
sono state quasi completamente estromesse dal mercato dalla
produzione cinese a basso costo - spiega il documento - offrono
pertinenti avvertimenti su ciò che può accadere senza
un intervento. Adottare misure per limitare la sproporzionata
influenza della Cina promuoverà la sicurezza economica non
solo degli Stati Uniti, ma anche di alleati chiave degli USA come la
Corea del Sud e il Giappone. L'erosione del predominio del mercato
cinese sosterrà anche indirettamente il primo obiettivo di
limitare la capacità di Pechino di sfruttare la sua industria
cantieristica commerciale per supportare la sua modernizzazione
della flotta militare attraverso la sua strategia della fusione
civile-militare».
Inoltre, il rapporto esorta a «incoraggiare l'affiliazione
ad importanti alleati degli Stati Uniti, cioè la Corea del
Sud e il Giappone, come contrappeso alla Cina». A tal
proposito, il documento rileva che «c'è troppa domanda
mondiale e non abbastanza capacità al di fuori della Cina (i
cantieri navali cinesi attualmente coprono il 62% del portafoglio
ordini globale sino al 2033). È altrettanto irrealistico -
osservano gli autori del documento - aspettarsi che gli Stati Uniti
diventino nel breve-medio termine un attore importante nel mercato
globale della costruzione navale. Raggiungere anche una quota di
mercato del 5% richiederebbe un aumento di quasi 50 volte della
produzione nazionale. Mentre gli Stati Uniti possono adottare misure
per aumentare la propria capacità industriale - precisa il
rapporto del CSIS - dovrebbero anche dare priorità al
rafforzamento della competitività della Corea del Sud e del
Giappone rispetto alle loro controparti cinesi. Questa rappresenta
la strategia più efficiente e praticabile per espandere le
opzioni di mercato alternative al di fuori della Cina». Il
documento invita, pertanto, a promuovere la capacità di
costruzione navale nazionale degli USA in segmenti chiave per la
sicurezza nazionale piuttosto che concentrarsi sulla concorrenza
diretta con la Cina.
L'analisi dell'americana CSIS, che sembra rispondere ai
desiderata espressi dal presidente Donal Trump, suggerisce anche di
introdurre un sistema scalabile di tasse portuali da applicarsi alle
compagnie di navigazione che operano navi costruite in Cina sulla
falsariga del sistema proposto dall'United States Trade
Representative, «ma - specifica il rapporto - con notevoli
cambiamenti. Il problema principale con la proposta dell'USTR -
spiega il documento - è che è ideata per imporre oneri
sull'acquisto di qualsiasi nave di fabbricazione cinese. Non fa
distinzioni tra quali navi cinesi vengono acquistate. Di
conseguenza, il regime raggiunge solo obiettivi economici».
Secondo il rapporto del CSIS, «una proposta meglio progettata
potrebbe raggiungere gli stessi obiettivi economici e al contempo
raggiungere obiettivi chiave per la sicurezza nazionale».
«Prendendo in esame anche un campione limitato dei tipi di
attività interessate dalla proposta dell'USTR - prosegue il
rapporto - si rivelano gli impatti di vasta portata che potrebbe
avere sui settori del trasporto marittimo e della cantieristica
navale». Riferendosi ai primi dieci operatori di navi
portacontainer che servono i porti degli Stati Uniti e basandosi
solo sulla quota di navi costruite in Cina nella loro flotta, il
rapporto rileva che «come minimo, le tasse valutate su queste
dieci compagnie, che rappresentano collettivamente circa il 70% del
traffico di portacontainer nei porti degli Stati Uniti,
ammonterebbero ad oltre otto miliardi di dollari all'anno». Il
rapporto precisa infatti che, sulla base degli scali effettuati nei
porti USA nel periodo 2019-2024 e della quota di navi costruite in
Cina nell'ambito della sua flotta, la MSC, che è l'operatore
leader mondiale del mercato, dovrebbe pagare tasse portuali sulla
base della proposta dell'USTR pari a 2,00 miliardi di dollari
all'anno; la Maersk pagherebbe tasse annue pari a 1,24 miliardi, la
CMA CGM pari a 1,30 miliardi, la Hapag-Lloyd a 702 milioni, la ONE a
921 milioni, la cinese COSCO a 650 milioni, la Evergreen a 297
milioni, la statunitense Seaboard Marine a 458 milioni, la ZIM a 331
milioni e la cinese OOCL a 276 milioni di dollari. Il rapporto
raccomanda quindi che, «invece di assegnare tasse di attracco
basate solo sulla quota di navi totali costruite in Cina all'interno
della flotta di una compagnia», vengano definite tasse che
«siano in parte ponderate sulla base dei cantieri cinesi che
hanno costruito quelle navi. Ciò - si spiega - consentirebbe
di esercitare una maggiore pressione sulla Cina prendendo di mira
cantieri navali specifici».
Tra le altre raccomandazioni, si invita ad adottare misure per
attrarre investimenti esteri nell'industria navalmeccanica
statunitense, «incoraggiando e incentivando i principali
player globali, in particolare la Corea del Sud e il Giappone, ad
investire nei cantieri navali statunitensi. La politica - prosegue
il documento - dovrebbe anche corteggiare le aziende europee, che
sono leader mondiali nei settori high-tech dell'industria
cantieristica. Ciò porterebbe posti di lavoro, competenze e
capitali tanto necessari nell'industria statunitense».
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