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Demolizione navale: Greenpeace accusa, l'India si difende
L'organizzazione ambientalista afferma che nei cantieri indiani non si adottano precauzioni contro l'amianto. Rappresentanti indiani del settore affermano che le informazioni sono false
23 agosto 1999
Un dura polemica tra i rappresentanti di Greenpeace e il presidente dell'associazione indiana dei demolitori di navi, primo paese del mondo in questo settore, ha elettrizzato lo svolgimento di un forum organizzato in Olanda. L'organizzazione ambientalista ha denunciato ancora una volta le pietose condizioni di sicurezza che caratterizzano il lavoro dei dipendenti di numerosi cantieri asiatici di demolizione di navi e i danni che l'attività di questi stabilimenti - che trattano materiali tossici, e in particolare l'amianto - produce sull'ambiente. Ha rincarato la dose la signora Tineke Netelenbos, ministro olandese dei Trasporti: "la demolizione di navi in Asia - ha detto senza mezzi termini - è un disastro per l'umanità e per l'ecologia".
Dolorosamente colpito da queste parole e dagli attacchi portati contro una florida e redditizia industria del suo paese P.S. Nagarseth, presidente dei demolitori di navi indiani, si è dichiarato profondamente scioccato dagli interventi, che - ha affermato - sono fondati su informazioni false. Nagarseth ha accusato le organizzazioni ecologiche di non tener conto delle condizioni delle popolazioni che vivono al di sotto della soglia di povertà nei paesi in via di sviluppo.
Anche il liberiano Gerald Cooper ha accusato Greenpeace di diffondere informazioni false, sostenendo inoltre che i governi assumono decisioni solo quando un incidente ha destato l'interesse dell'opinione pubblica.
Thilo Bode, direttore di Greenpeace International, ha cercato di sottrarsi alla polemica ed ha chiesto che siano formulate norme precise sull'attività di demolizione e che vengano definite una volta per tutte le quantità massime di materiali tossici o pericolosi da impiegare nei cantieri navali, sia nella costruzione che nella demolizione.
Richard Krauks, della società Eckhart Marine specializzata nel trattamento dei rifiuti, ha proposto invece di tassare di un cent USA ogni tonnellata di petrolio trasportato per alimentare un fondo destinato ad aiuti ai cantieri di demolizione.
Rafael Gutierrez, rappresentante dei cantieri europei di costruzione e di riparazione navale, ha messo in guardia da tentativi di regolamentazione che finirebbero per strangolare l'attività di smantellamento delle navi. Una situazione che avvantaggerebbe gli armatori di navi immatricolate in registri di comodo, che avrebbero un'opportunità in più per non far demolire le loro vecchie navi e per farle navigare ancora. Secondo Gutierrez sarebbe necessario "accompagnare" i cambiamenti del mercato della demolizione navale con opportune misure tecniche e finanziarie. Più singolare invece la richiesta di concedere ai governi la possibilità di affondare in mare aperto navi che non inquinino l'ambiente marino.
A parte le posizioni intransigenti e bizzarre assunte sia nello schieramento ambientalista che in quello cantieristico, è evidente che tali opinioni hanno comunque contribuito in maniera determinante ad accelerare l'assunzione di responsabilità da parte della comunità internazionale e delle organizzazioni mondiali preposte alla regolamentazione dell'attività marittima. Ne è un esempio la decisione dell'International Maritime Organization (IMO) di occuparsi delle demolizioni navali, programmando un meeting su questo tema nel marzo 2000.
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