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L'Autorità Portuale di Ravenna chiede al governo italiano di far redigere una «vera» due diligence sullo studio della Piattaforma d'Altura di Venezia
Se fosse così produttivo - denuncia l'ente - «non servirebbe neanche parlare con MSC, Maersk, Contship o altri, basterebbe chiamare un fondo di private equity»
9 dicembre 2014
L'Autorità Portuale di Ravenna non ritiene affatto che la piattaforma portuale d'altura progettata dall'ente portuale di Venezia possa promuovere lo sviluppo, oltre che dello scalo veneziano, anche degli altri porti dell'Alto Adriatico. Replicando all'affermazione del presidente dell'authority veneziana, Paolo Costa, il quale - a sua volta rispondendo ad una stroncatura del progetto sentenziata da un alcuni parlamentari - ha sostenuto che «lo sviluppo del porto di Venezia è il miglior contributo che si possa dare anche allo sviluppo di Trieste e Ravenna, così come di Capodistria e Fiume, perché è necessario che l'intero Alto Adriatico raggiunga le dimensioni di scala minime per competere sul mercato europeo» ( del 4 dicembre 2014) l'ente ravennate sottolinea che «allo sviluppo del porto di Ravenna ci pensa l'Autorità Portuale di Ravenna con tutti gli operatori del suo porto, il quale - precisa l'authority - non riceve alcun contributo dalla Piattaforma d'Altura di Venezia».
Sul contributo economico al progetto veneziano è incentrata la replica dell'ente portuale di Ravenna che, nella sua pungente contestazione titolata “La Legge di Stabilità non è un bancomat per Venezia”, ricorda di aver «più volte rappresentato al professor Paolo Costa la nostra opinione su quello studio, basata sui pochi documenti presentati ufficialmente al governo italiano. Il punto - conferma l'ente - però non è questo. Il punto è se valga o meno la pena investire miliardi di euro per fare una struttura con 20 metri di fondale in mezzo al mare, avendo già in Alto Adriatico 20 metri di fondale naturale a Trieste. La posizione dell'Autorità Portuale di Ravenna, che ragiona davvero in un'ottica di sistema, è sempre stata (anche quando si era, inascoltati, nel NAPA [l'associazione dei porti dell'Adriatico settentrionale, ndr]) che il porto di Trieste debba essere l'hub in Adriatico per le grandi navi portacontainer. Opinione condivisa, nel corso di meeting tecnici, da MSC, Maersk e Contship. Se l'Autorità Portuale di Venezia è convinta che l'offshore abbia un'elevata valenza, utilizzi le proprie risorse per finanziarlo e non quelle derivanti dalla Legge di Stabilità».
L'opinione di inforMARE
Mai come in questi giorni il progetto del nuovo porto offshore di Venezia è sotto attacco, forse perché le purtroppo residue risorse pubbliche non consentono (finalmente) di distrarre l'attenzione di tutti dalla fattibilità e utilità dei progetti infrastrutturali oggi sul tavolo. Ognuno ritiene, a torto o a ragione, che i propri programmi siano più concreti e più lungimiranti e - come Ravenna - teme che altri piani infrastrutturali meno fondati possano surrettiziamente appropriarsi di fondi pubblici.
Bene fa Paolo Costa a difendere la Piattaforma d'Altura, convinto com'è che possa rappresentare il futuro della portualità di Venezia e dei porti della regione. Sembra tuttavia che mai come oggi il presidente dell'Autorità Portuale lagunare sia stato lasciato solo sul campo di battaglia, dove si combatte per proteggere o uccidere il progetto.
Mai come in questi giorni Costa ha bisogno di alleati se vuole garantire che il progetto per il futuro della portualità veneziana abbia un futuro.
Sembra che a Paolo Costa non restino che due sole alternative. O fa nome e cognome del gruppo armatoriale, terminalistico o logistico che ha veramente intenzione di investire denari nell'iniziativa oppure convince la comunità cittadina e portuale di Venezia e del Veneto a fare quadrato attorno al progetto.
Per imboccare la prima strada utile a mettere al riparo la Piattaforma d'Altura dai ripetuti e sempre più insistenti assalti non bastano più le manifestazione d'interesse. Costa ha bisogno che un'importante azienda internazionale dello shipping lo affianchi apertamente in uno scontro che altrimenti verosimilmente lo vedrà sconfitto, assediato com'è da tutti i lati. Una strada impervia, data la sempre minor propensione dei grandi gruppi ad investire in Italia, ma non impossibile come ha dimostrato - anche se in tempi un poco meno difficili - la danese A.P. Møller-Mærsk con il progetto della piattaforma container in costruzione nel porto di Savona Vado che sarà gestita dalla filiale terminalista APM Terminals. Un alleato sarebbe utile anche a convincere una volta per tutte i possibili investitori e finanziatori privati nazionali e internazionali, anche loro prodighi nel manifestare interesse ma restii ad impegnare risorse senza intravedere un ritorno economico sul vicino orizzonte.
La seconda via appare altrettanto ardua. Le istituzioni e gli operatori economici locali non hanno mai palesato con convinzione il loro sostegno al progetto, o così almeno si è percepito a distanza dalla Laguna. Con tutto ciò rimane un percorso più idoneo ad indurre i finanziatori pubblici, più inclini ad ascoltare le voci del territorio e dell'elettorato, ad allargare i cordoni di una borsa ormai pressoché vuota.
Costa dà l'impressione di essere convinto che sia percorribile un altro itinerario. Però il suo tentativo di evidenziare che la Piattaforma d'Altura spanderà benefici anche sugli altri porti della regione non produce frutti. Il fuoco nemico è sempre più vicino. Istituzioni e operatori delle comunità vicine non ne sono affatto convinti, anzi sono ostili.
Costa dovrebbe abbandonare il suo approccio ecumenico. Sarebbe un bene per Venezia. Ma lo sarebbe anche per la portualità italiana. È giunto infatti il momento di decidere quali progetti sono attuabili e quali no.
Bruno Bellio
L'Autorità Portuale di Ravenna esorta Venezia a seguire il suo esempio: «Ravenna, che ormai si configura sulla base dei numeri come il primo porto dell'Adriatico - ricorda l'ente - ha varato a maggio 2012 il progetto “Hub Portuale di Ravenna” avendo in cassa poco meno di cinque milioni di euro. Ad ottobre 2012 il progetto è stato approvato dal CIPE, che ha deliberato un contributo pubblico di 60 milioni di euro, con la clausola che l'Autorità Portuale di Ravenna avrebbe dovuto fornire copia dei contratti degli investitori privati o delle delibere dei loro consigli di amministrazione e copia del contratto di finanziamento bancario. L'Autorità Portuale di Ravenna ha fornito copia delle delibere suddette, in conseguenza delle quali la Corte dei Conti ha registrato la delibera CIPE ad inizio giugno 2013 (dopo otto mesi dall'approvazione del CIPE). A fine 2013 l'Autorità Portuale di Ravenna ha fornito al CIPE copia del contratto di finanziamento firmato con la BEI (Banca Europea per gli Investimenti), che ha pubblicamente definito il nostro progetto come una “best practice”) e, il 26 ottobre 2014, ha consegnato il progetto definitivo per l'approvazione finale pre-bando di gara. Tutto ciò per “soli” 60 milioni di euro. Parallelamente, l'Autorità Portuale di Ravenna ha avviato la procedura di esproprio per acquisire 220 ettari di aree e realizzare la nuova Piastra Retroportuale e Logistica più grande d'Italia. Riassumendo: due anni e mezzo di tempo per portare ad approvazione un progetto strategico da 240 milioni di euro, dei quali 60 (il 25% del totale) CIPE e 180 in autofinanziamento. Soltanto il 16% di tale importo è destinato alla realizzazione del nuovo Terminal Container, che verrà realizzato dai privati, sulla base di impegni già firmati, per circa 200 milioni di euro e il cui business plan ha tenuto conto dell'assunto che solo Trieste può essere l'hub dei container nell'Alto Adriatico».
«L'Autorità Portuale di Ravenna - ha fieramente sottolineato l'ente - ha messo tutti i suoi asset sul tavolo e ha chiesto solo un piccolo contributo allo Stato, che per darlo ha preteso garanzie precise che hanno comportato un notevole allungamento dei tempi ed impegni importanti assunti dal nostro Comitato Portuale».
«Per questi motivi, al di là dei contenuti e della reale valenza dello studio sulla piattaforma d'altura di Venezia - spiega l'authority ravennate - si ritiene inaccettabile che un qualunque progetto infrastrutturale italiano, di qualunque tipo e di qualunque territorio, riceva fondi dalla Legge di Stabilità, come se quest'ultima fosse una sorta di bancomat a disposizione degli amici».
«Non abbiamo nulla contro Venezia né tanto meno contro il signor vice ministro Baretta - prosegue l'Autorità Portuale di Ravenna - anzi. Ci permettiamo però di affermare che i problemi del porto di Venezia non possono essere scaricati sul sistema Italia, sulla base di studi preliminari e, soprattutto, che le regole del gioco devono essere uguali per tutti. L'Autorità Portuale di Venezia avrebbe dovuto presentare un progetto preliminare al CIPE, ai sensi della Legge Obiettivo. Ad approvazione del CIPE, avrebbe dovuto ottenere, se del caso, fondi pubblici. Invece ha già ottenuto cinque milioni di euro a valere sul 2013, in Legge di Stabilità 2012, e chiede altri 95 milioni in Legge di Stabilità 2014. In un Paese normale questa si chiama “distorsione del mercato”: se l'Autorità Portuale di Ravenna avesse avuto i suoi 60 milioni in Legge di Stabilità, avrebbe guadagnato due anni e mezzo di tempo».
«Al professor Paolo Costa, cui rinnoviamo la nostra sincera stima ed amicizia - puntualizzano inoltre i colleghi di Ravenna - ci permettiamo di far presente di non aver mai incontrato, nella nostra trentennale carriera, un'infrastruttura con un IRR (Tasso di Rendimento Interno) annua lorda del 13%. Se così fosse non servirebbe neanche parlare con MSC, Maersk, Contship o altri, basterebbe chiamare un fondo di private equity (che investe normalmente, sulle infrastrutture, ad un tasso di rendimento interno che va dal 12% al 15%) e chiedere a questo, senza scomodare il governo italiano o la Commissione Europea, di montare un project financing, con equity e finanziamento bancario. Non ci sarebbe nessun bisogno di contributo pubblico. Più semplicemente, il vice ministro Baretta potrebbe chiedere il supporto del Fondo Strategico Italiano della Cassa Depositi e Prestiti, braccio armato economico-finanziario del Ministero dell'Economia, senza scomodare né la Legge di Stabilità né il Piano Junker, nel quale dovrebbero essere inseriti solo progetti con un livello di maturità (consegna dei lavori entro il 2015) che l'offshore di Venezia non ha».
L'Autorità Portuale di Ravenna propone quindi «al governo italiano di far redigere una vera due diligence dalla BEI, dalla Banca Mondiale o da un ente terzo a sua scelta, sia sullo studio della Piattaforma d'Altura di Venezia, che sul progetto definitivo dell'Hub Portuale e della Piattaforma Logistica di Ravenna. Altrimenti - conclude - non si aggancia la “ripresa dell'Italia”, obiettivo primario del nostro premier Matteo Renzi quando ha lanciato l'idea del Piano Junker. Lo Stato Italiano non può e non deve spendere più soldi “al buio” e facciamo appello proprio al primo ministro, Matteo Renzi, perché chiarisca la sua posizione sul progetto veneziano».
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