- Su richiesta della Procura di Ravenna, il giudice per le indagini preliminari ha emesso un provvedimento interdittivo, stabilendo la sospensione dalle cariche per la durata di un anno, nei confronti del presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centro Settentrionale, Daniele Rossi, del segretario generale dell'ente, Paolo Ferrandino, e di Fabio Maletti, dirigente tecnico dell'authority portuale. Il provvedimento è stato assunto nell'ambito di un'indagine sull'affondamento del relitto della nave Berkan B da anni abbandonata nel porto di Ravenna e su un conseguente inquinamento ambientale.
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- Sulla vicenda è intervenuto il presidente della federazione degli agenti marittimi italiani. Ricordando che l'inchiesta di Ravenna si somma a quelle che hanno travolto altre Autorità Portuali, da quella di Livorno, dove solo in questi giorni, anche se l'inchiesta penale prosegue, il presidente del porto è stato reintegrato nel ruolo dal quale era stato interdetto mesi addietro, a quella in atto a Napoli, a quella penale che incombe sui porti di Bari e Brindisi, nonché a quella per abuso d'ufficio a Gioia Tauro, a cui - ha evidenziato - si aggiungono i rumours che riguardano anche altre Autorità di Sistema Portuale in particolare nel nord della penisola, il presidente di Federagenti, Gian Enzo Duci - ha sottolineato che «i casi sono due: o il ministro Delrio nella scelta dei presidenti e dei segretari delle Autorità di Sistema Portuale ha sbagliato tutto assegnando la governance dei porti a incompetenti o disonesti; oppure la riforma portuale colloca, per la sommatoria di norme e competenze, i vertici delle Autorità di Sistema Portuale in una posizione di martirio certo. Tertium non datur se non l'eventualità di affidare direttamente a magistrati inquirenti la guida di tutta la portualità italiana».
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- «Nel silenzio assordante della politica - ha proseguito Duci - si sta consumando una vera e propria carneficina nei porti e dei quadri dirigenti che dovrebbero guidarli in un momento per altro delicatissimo in cui le opportunità di ripresa potrebbero trasformarsi nel giro di poche settimane in clamorosi autogol. Oggi, e non è un paradosso, solo un manager con vocazione al martirio o un dirigente che non abbia nulla da perdere e che comunque non possa sperare in nessuna crescita professionale, potrebbe ragionevolmente accettare una carica, a decisione limitata e a rischio illimitato. Una carica che, alla luce dei fatti, della proliferazione delle inchieste giudiziarie, del recente caso Ravenna e dei rischi penali, è lo specchio di una riforma portuale fallita».
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- «Se i giudizi sulla governance dei porti, sulla centralizzazione delle scelte in organismi mai attivati - ha rilevato il presidente di Federagenti - possono essere oggetto di valutazioni contrastanti, certo la concentrazione di funzioni, competenze in un quadro normativo sconclusionato e tutto da interpretare, hanno creato le premesse per il più grande fallimento della portualità nazionale».
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- Evidenziando la necessità che venga posta in atto una misura di emergenza tale da evitare che i porti diventino la causa del più importante e insanabile blackout del sistema economico nazionale, Duci ha concluso specificando che «come operatori del settore non possiamo non denunciare quella che è ormai una libanizzazione del sistema portuale e le conseguenze che ne stanno già derivando, sia per il blocco di importanti lavori infrastrutturali, sia per la comprensibile e ormai quasi generalizzata tendenza dei vertici, ancora non travolti da inchieste, ad assumere qualsivoglia decisione e a ufficializzarla con una firma».
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