- Che uno degli obiettivi del premier britannico Boris Johnson dopo aver portato lo scorso 31 gennaio il Regno Unito fuori dall'Unione Europea fosse quello di fare della Britannia uno dei fulcri di libero scambio dei commerci mondiali proponendo benefici tributari al fine di attirare merci e investimenti non era certo un mistero, né che tale strategia potesse essere radicale, tanto da fare dell'isola una sorta di “nazione extradoganale”.
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- In questa strategia sembra inquadrarsi la consultazione presentata oggi dal governo di Londra sulla creazione di porti franchi in tutto il Regno Unito al fine di dare impulso all'attività economica, «assicurando - si legge in una nota del Dipartimento del Commercio internazionale - che città, regioni e paesi in tutta la nazione possano iniziare a beneficiare delle opportunità dell'uscita dall'UE».
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- Il piano prevede di istituire sino a dieci porti franchi con un regime doganale differente rispetto al resto della nazione, con lo scopo di favorire i commerci, attrarre investimenti, aumentare la produttività e nel contempo generare opportunità di lavoro a beneficio di alcune delle comunità più svantaggiate del Regno Unito. Il piano prevede che queste aree franche possano essere istituite sia in zone adiacenti ai porti marittimi sia nell'entroterra, comprendendo potenzialmente anche impianti produttivi già esistenti. Lo status di porto franco verrebbe assegnato a conclusione di una procedura di gara.
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- Alla consultazione formale avviata dal governo ha già risposto informalmente la British Ports Association (BPA). A prima vista questa organizzazione, che non rappresenta solo molti porti britannici gestiti dalle municipalità, ma anche Trust Ports gestiti da soggetti di natura non pubblica ed anche importanti porti privati, non dovrebbe vedere di buon occhio la proposta governativa di istituire sino a dieci porti franchi, che evidentemente godrebbero di vantaggi rispetto agli altri scali portuali nazionali. E così è, dato che se da un lato la BPA ha espresso il proprio favore alla pubblicazione della consultazione dall'altro l'associazione ha evidenziato la necessità di evitare i limitare il modello dei freeport a solo dieci scali, ma piuttosto di estenderlo a tutti i porti. In particolare, l'associazione ha chiesto di rimuovere il limite al numero potenziale di porti franchi e di includere piuttosto un pacchetto di misure molto più ampio che - ha spiegato BPA - potrebbe apportare benefici ad un'ampia gamma di porti di tipo differente del Regno Unito. Ricordando che il Regno Unito ha 125 porti commerciali, l'associazione ha specificato che lo status di porto franco apporterà benefici ai porti in misura differente sulla base della loro tipologia di traffici e di attività e in base allo loro specializzazione. Ovviamente - ha chiarito la BPA - alcuni saranno più interessati di altri, ma ce ne saranno più di dieci che vorranno trarre benefici e il governo non dovrebbe porre un arbitrario limite a questa ambizione.
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