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Attorno ai marittimi italiani si sprecano gli appelli alla pace e gli incitamenti alla guerra
Tra i vari Onorato, Grimaldi, Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Federmar, sono più i fomentatori che quelli tesi ad un riavvicinamento
13 giugno 2017
Nei giorni scorsi Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno invitato ad abbassare i toni della polemica sull'impiego di marittimi italiani sulle navi delle flotte che fanno capo ad armatori italiani, confronto che è stato caratterizzato da un'accesa contrapposizione tra Vincenzo Onorato, l'armatore che guida il gruppo Onorato Armatori che opera servizi marittimi con le compagnie di navigazione Moby, Tirrenia CIN e Toremar, ed Emanuele Grimaldi, presidente della Confederazione Italiana Armatori (Confitarma) ed amministratore delegato del gruppo armatoriale Grimaldi che è costituito da una costellazione di compagnie tra cui Grimaldi Lines, Atlantic Container Line (ACL), Minoan Lines e Finnlines ( del 9 e 10 maggio e 1° giugno 2017).
L'appello delle tre organizzazioni sindacali è risultato inascoltato. Onorato, evidentemente convinto che l'esortazione di Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti fosse volta a tacitare le sue argomentazioni, ha reagito esprimendo sconcerto per le accuse mossegli dai tre sindacati, che - ha puntualizzato - lo hanno incolpato «di avere «un tono troppo aggressivo», evidenziando che il tema avrebbe necessità di «un'analisi approfondita e non tifoserie», e che hanno esortato studi e lavori per affrontare «le dinamiche complesse e variabili dell'occupazione dei marittimi italiani».
«Non un cenno, neppure velato - ha replicato Onorato - alla prossima legge europea oggi alla Commissione della Camera: l'Italia - ha chiarito l'armatore - estenderà le agevolazioni fiscali del Registro Internazionale Italiano anche alle compagnie che iscrivono le navi in altre bandiere dell'Unione Europea. Cosa vuol dire? Gli armatori italiani - ha rilevato Onorato - cambieranno bandiera, passando dall'italiana ad un'altra europea, conservando l'esenzione fiscale italiana e gli sgravi fiscali e contributivi per i marittimi. Liberi dalla bandiera italiana, potranno sbarcare quei pochi marittimi italiani che hanno ancora imbarcati e godere dell'immunità fiscale del nostro paese. Il danno e la beffa! Altro che difesa dell'occupazione! Altro che strategia occupazionale per i giovani! Il tutto poi a spese dello Stato italiano e dei contribuenti italiani che pagano le tasse, anche a favore degli armatori italiani che non le pagano e non favoriscono l'occupazione».
«E il sindacato che fa? Mi chiede - osservato Onorato - di abbassare i toni. Forse perché - ha aggiunto - a toni alti, verrà fuori, prima o poi, che l'unico interlocutore avuto dai governi che si sono succeduti dal 1998 - anno di promulgazione della legge sul Registro Internazionale - ad oggi sono stati gli armatori con la loro Confitarma (Confederazione da cui il gruppo di Onorato è uscito un anno e mezzo fa, ndr). I lavoratori - ha denunciato Onorato - sono stati abbandonati nelle mani dei padroni del mare. Ciò che delegittima il sindacato, quel sindacato, ovvero la Triplice che auspica “toni bassi” sulla vicenda, è un accordo siglato l'11 febbraio del 2003 con cui la Confitarma, leggasi gli armatori, concede un versamento di 190 euro per marittimo imbarcato sia italiano-comunitario che extracomunitario proprio alla Triplice! Ma - ha contestato ancora Onorato - la Triplice non è italiana? Non dovrebbe difendere gli italiani? E allora perché percepisce soldi anche per i marittimi extracomunitari? A me, più che un conflitto di interessi, sembra una vera porcheria. Un tesoretto che vale per la Triplice una decina di milioni di euro e sui soldi evidentemente non sputano neppure i sindacati».
Onorato ha concluso sottolineando che «oggi la nave sta rapidamente affondando, trascinando a fondo l'occupazione della nostra gente» e che, «per salvarla dobbiamo far approvare questa legge: navi con bandiera italiana in cabotaggio nazionale, a bordo imbarcati solo italiani-comunitari; navi con bandiera italiana in servizio internazionale, la tabella di sicurezza deve essere formata solo da marittimi italiani-comunitari. Solo con questi presupposti si potranno conservare i benefici fiscali del Registro Internazionale». Secondo Onorato, una legge siffatta «salverà migliaia di posti di lavoro e ne creerà altre migliaia, e che quando passerà al vaglio dell'Europa conserverà, anche per le altre bandiere europee, i requisiti per continuare a proteggere l'occupazione della nostra gente».
L'infiammata replica di Onorato - e, indubbiamente, la neppure velata accusa rivolta dall'armatore ai sindacati di difendere la posizione degli armatori di Confitarma perché da questi sovvenzionati anche per l'imbarco di marittimi extracomunitari - ha indotto Uiltrasporti e Filt Cgil a ribattere. La prima organizzazione sindacale ha ricordato che «l'attuale legge 30/98 in quasi 20 anni ha creato tanti posti di lavoro, più di 40.000, di cui almeno più di 30.000 marittimi italiani ed ha fatto balzare la marineria italiana da poche unità a più di 700 navi sotto la bandiera italiana».
«Si può fare di più? Certamente sì - ha osservato Uiltrasporti - e per farlo non siamo contrari a modifiche di legge migliorative o in extremis a una nuova legge, soluzione questa sulla quale abbiamo espresso alcuni dubbi, perché ci preoccupano i 30.000 italiani che oggi sono garantiti dall'attuale legge e che si trovano in bandiera italiana. Infatti, cambiando con l'accetta un quadro legislativo che comporta l'uscita di alcuni armatori dal nostro Registro Internazionale per un'altra bandiera estera cosa succederebbe a molti di questi lavoratori? Chi li imbarcherà?»
«Progettare nuova occupazione - ha evidenziato la segreteria nazionale di Uiltrasporti - è un atto di responsabilità che deve coinvolgere tutti, imprese, sindacato e governo, e certo non può avere come premessa la determinazione di condizioni che producono disoccupazione. Non è con leggi protezionistiche e per giunta nemmeno concertate con tutti i principali attori nazionali, che si vince la competizione tra imprese, oltretutto in uno dei principali settori più internazionalizzati dell'economia italiana, europea e mondiale. Questo non lo dice il sindacato, ma è dimostrato ampiamente dai comportamenti di tutte le principali economie mondiali, e d'altra parte neppure l'Unione Europea ce lo permetterebbe».
Uiltrasporti ha ribadito che è indispensabile una strategia condivisa: «per queste ragioni di tutela, di difesa e di sviluppo del lavoro marittimo italiano - ha spiegato il sindacato - siamo convinti che occorra grande senso di responsabilità, mettendoci tutti a sedere per trovare soluzioni condivise, che potrebbero successivamente anche trovare il recepimento legislativo. Senza una condivisione delle regole, in un mercato fortemente liberista come quello marittimo, contraddistinto da una grande dinamica varietà di tipologie differenti di navi e di trasporto con differenti caratteristiche commerciali e competitive, non ci potranno mai essere soluzioni al problema dell'occupazione e del lavoro a bordo degli equipaggi. Noi - ha precisato il sindacato - abbiamo evidenziato già alcune proposte e le stiamo già esponendo ai tavoli istituzionali e datoriali. Proposte che tengono anche conto non solo della occupazione dei marittimi ma anche della sua qualità. Sono troppe le segnalazioni che riceviamo, e senza distinzione di società, sugli eccessivi carichi di lavoro che delineano vere e proprie forme di sfruttamento incontrollato a bordo delle navi».
«Infine - ha proseguito Uiltrasporti - ci rendiamo anche conto che ognuno deve fare il proprio ruolo. È naturale che un datore di lavoro abbia una visione dei problemi del lavoro strettamente collegata alle opportunità e alle esigenze di profitto. Per questo esiste il sindacato, che in Italia ha una lunga storia di lotta e di difesa democratica del lavoro. Esiste perché i lavoratori comprendono e vogliono che il lavoro sia valutato dal punto punto di vista concreto di chi poi realizza con il proprio lavoro l'impresa della proprietà, senza benevolenze stucchevolmente caritatevoli o populistiche, ma con argomenti e fatti oggettivi di reale tutela e garanzia della dignità dei lavoratori».
Più secca la replica di Uiltrasporti relativamente ai fondi percepiti dal sindacato: «per quanto poi riguarda i contributi sindacali - ha chiarito la segreteria nazionale - il sindacato non riceve oboli o elargizioni da soggetti datoriali né è pagato da alcuno. I contributi sono trasparenti e previsti dallo Statuto dei lavoratori e dalle leggi specifiche in materia, per garantire l'esistenza e l'indipendenza del sindacato dai datori di lavoro e dai gruppi di interesse, i diritti del lavoro di chi già ce l'ha e di chi lo avrà, e le basi della democrazia di questo Paese. Purtroppo dobbiamo constatare che ormai da molto tempo il signor Vincenzo Onorato mostra un'accanita abitudine ad attaccare il sindacato in tutti i modi, come fosse una sorta di zimbello e non il rappresentante di migliaia di lavoratori, incluso molti suoi dipendenti. Non da ultimo, quando Uiltrasporti, alla vigilia dell'acquisizione da parte del suo gruppo di Tirrenia, sollevò il problema di una configurazione monopolistica nel settore traghetti per il collegamento con le grandi isole, egli non esitò a denunciare la Federazione dei Trasporti della Uil per diffamazione. Ma il tribunale diede piena ragione e soddisfazione alla Uiltrasporti, confermando le preoccupazioni di concentrazione di mercato del sindacato».
Uiltrasporti ha sollecitato piuttosto una disamina sui fondi pubblici che finiscono nelle casse del gruppo Onorato Armatori: «attualmente a distanza di pochi anni - ha rilevato il sindacato - la situazione dei collegamenti con le isole è mutata per una maggiore presenza di più operatori sulle stesse tratte. Ciò deve portare conseguentemente lo Stato a riflettere se siano ancora necessari i 72 milioni che annualmente contribuisce alla società Tirrenia per la continuità territoriale».
Un'esortazione conclusiva che non può non aver inasprito la stizza di Onorato, anche se Uiltrasporti ha terminato la sua lettera aperta sui marittimi italiani precisando che, «da ora, da parte nostra intendiamo spegnere ogni inutile ed improduttiva polemica. A noi - ha ribadito l'organizzazione sindacale - interessa il buon lavoro e lo sviluppo occupazionale sulle navi dei nostri marittimi. Per questo, ancora una volta e non ci stancheremo di continuare a farlo, rinnoviamo l'invito ad abbassare i toni e discutere tutti intorno ad un tavolo».
Altrettanto irritata la risposta della Filt Cgil, secondo cui «additare il sindacato è un operazione provocatoria e al tempo stesso anche poco originale». «Il dibattito in relazione alla legge 30/98 sul Registro Internazionale - ha osservato la Federazione dei Trasporti della Cgil - non lo si può ridurre al calcolo dei benefici agli armatori ed ai sindacati “di comodo”, come dice Onorato, ma riteniamo sia giusto richiamare parlamento e governo a stabilire un equilibrio tra quanto il contribuente investe e il ritorno sul piano fiscale e occupazionale ed auspichiamo una riforma seria e complessiva del settore e non a spot».
«Per quanto ci riguarda - ha specificato la Filt Cgil - quando la modifica alla legge 30/98 sarà effettiva ne prenderemo atto, la rispetteremo e faremo in modo che venga rispettata. Noi ci battiamo per quel personale marittimo che, tra i suoi diritti, incontra molte difficoltà nell'avere accesso alle forme di sostegno Inps in tempi normali, per il riconoscimento del lavoro marittimo tra quelli gravosi e usuranti, per tentare di evitare che debba caricarsi di costi impropri per mantenere i propri titoli e per quel personale che si misura con enormi difficoltà che non attengono a differenziazioni salariali a vantaggio di personale extra comunitario, ma di adeguamento professionale agli standard minimi per ottenere gli imbarchi».
«Per noi - ha sostenuto ancora la Filt Cgil rivolgendosi direttamente ad Onorato - valgono i rapporti e le relazioni che intratteniamo con le nostre controparti, compresa la sua, con le quali cerchiamo e spesso troviamo accordi e per le quali oggi convintamente riteniamo che il Registro Internazionale abbia garantito un interesse generale. Magari tra qualche anno si accorgerà di aver commesso un errore deontologico nei confronti di organizzazioni che hanno attraversato anche gli anni più bui e meno democratici della storia italiana e che, con grandissima umiltà e tanto rispetto, provano a rappresentare il lavoro anche davanti a chi, come lei, evidentemente pensa di svolgere tutte le parti in commedia: l'armatore, il capopopolo, il politico e l'unico sindacalista dei marittimi italiani».
Sul tema è intervenuta anche la Federmar-Cisal che, in una lettera inviata al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, ha denunciato «le responsabilità alle quali fa risalire la grave condizione di disoccupazione esistente tra i marittimi di questo paese». «È convincimento dell'organizzazione sindacale - ha spiegato il segretario nazionale della Federazione Marittimi della Cisal, Alessandro Pico - che in primo piano debba essere posto lo stesso Ministero dei Trasporti, totalmente assente in tutti questi anni nell'applicare quegli strumenti (Osservatorio del mercato del lavoro e riforma del collocamento) che il legislatore aveva posto a tutela dei marittimi italiani nell'apertura all'impiego dei lavoratori stranieri sulle navi della flotta nazionale».
Anche Federmar-Cisal non esita a lanciare il suo affondo: «è probabile - ha rilevato Pico - che il Ministero sia stato indotto a sottovalutare il problema occupazionale dei marittimi davanti alle posizioni delle associazioni armatoriali e dei sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil, parti sicuramente più attente a gestire il ricorso ai marittimi extracomunitari che i posti di lavoro per i naviganti di questo paese».
«Infatti - ha rincarato Pico - da oltre vent'anni è in piedi una sinergia di reciproco interesse tra Confitarma e sindacato confederale che di volta in volta, a forza di deroghe, ha allentato le maglie ed i vincoli nella formazione degli equipaggi, concedendo in pratica mano libera alle imprese armatoriali, sia della navigazione oceanica che del cabotaggio, nella sostituzione dei marittimi italiani con i non comunitari. Esiste, quindi, documenti alla mano, un legame tra Confitarma e sindacati confederali non solo di gestione ma anche di sostanza se annualmente alcuni milioni di contributi vengono versati dagli armatori nelle casse di queste organizzazioni».
Per Federmar, «con l'emanazione del decreto legislativo 221/2016, c'è la concreta possibilità di imprimere una radicale sterzata nella politica occupazionale del comparto marittimo di questo paese, trovando - come anche propugnato dall'armatore Onorato - un giusto equilibrio nella formazione degli equipaggi nel complesso della flotta (cabotaggio ed oceanica) in grado di conciliare le giuste aspettative dei lavoratori ad avere un'occupazione con la necessità delle imprese di sostenere la concorrenza delle altre marinerie. In conclusione - termina la lettera di Federmar-Cisal - una stoccata alla Confitarma per la minaccia di trasferire parte della flotta sotto altre bandiere, associazione che da sempre piange miseria per ottenere qualcosa in cambio».
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