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CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XVII - Numero 10/99 - OTTOBRE 1999 |
Logistica
Il volto mutevole della logistica europea
Il concetto di contenitore marittimo standard in uso per tutte
le forme di trasporto intermodale in Europa negli ultimi anni
ha subito un brutto colpo. Può darsi anche che i containers
marittimi vengano ancora visti da molti come un'estensione logica
delle stive delle navi allorquando vengono utilizzati per il trasporto
terrestre, ma in Europa sono all'opera notevoli forze che minacciano
tale convinzione. La questione è importante per i vettori
marittimi che vogliono evitare di essere relegati alla sola funzione
di fornitori di spazi-containers da porto a porto.
Essa è importante anche per le linee di navigazione nel
momento in cui pianificano o gestiscono i servizi terrestri da
porta a porta. Ciò di cui i caricatori spesso non tengono
conto quando telefonano ad un vettore marittimo per un contenitore
vuoto, è il caso che non ve ne sia uno ad aspettarli. I
vettori marittimi perdono un sacco di tempo a cercare di prevedere
l'imprevedibile" a questo riguardo, di modo che qualsiasi
cosa attenga alla demografia del contenitore terrestre dev'essere
presa seriamente.
La questione è altrettanto importante anche per tutti
i fornitori di servizio che alimentano i servizi di trasporto
terrestre delle linee di navigazione, quali le ferrovie, i trasporti
fluviali, l'autotrasporto e gli operatori di depositi interni
per containers.
La prima minaccia al benessere del trasporto terrestre dei containers
marittimi proviene indirettamente dalla formidabile crescita dei
traffici infra-europei nel corso degli ultimi 10 anni. Può
anche darsi che i traffici globali siano aumentati in questo periodo,
ma nessuno di loro in maniera così rapida come quelli nell'ambito
dell'Unione Europea.
Una caratteristica dei carichi in questione è rappresentata
dal fatto che le altre modalità di imballaggio del carico
normalmente gli si adattano meglio del container marittimo. Gli
autocarri convenzionali sono di gran lunga più convenienti,
ed in molti casi offrono più carico utile. Persino lo swapbody
standard da 13,6 metri offre un carico utile migliore di quello
del normale contenitore marittimo da 40 piedi, ovvero da 12,2
metri (82 m3 rispetto a 76 m3). Di conseguenza,
attorno alla crescita dei traffici infra-europei si è sviluppato
un vasto settore di autotrasporto convenzionale, che ora è
altresì in grado di competere in modo più aggressivo
in ordine al trasporto terrestre dei carichi marittimi.
Johannes Fritzen, presidente di una delle maggiori imprese logistiche
d'Europa, la VW Transport, spiega: "Adesso siamo in grado
di caricare 96 pallets in un camion jumbo convenzionale, rispetto
ai soli 44 pallets di un normale contenitore da 40 piedi, di modo
che non aspettatavi che ci entusiasmi subito la prospettiva del
trasporto terrestre containerizzato". L'equazione è
più complicata di quella appena riferita, ma è significativo
il fatto che solamente il 22% del traffico containerizzato intercontinentale
della società venga movimentato secondo la modalità
da porta a porta.
Molte imprese continentali hanno ulteriormente sviluppato sistemi
di trasporto pan-europei che si basano più costantemente
sull'autotrasporto convenzionale, di modo che quando esse hanno
traffico marittimo a lungo raggio da spedire o da ricevere, allora
bisogna adattarlo al sistema. Ciò invariabilmente significa
dover inviare il carico ai porti per mezzo di autocarri convenzionali
(o viceversa per le importazioni).
La SCA Transforest è una di tali imprese. Essa è
una dei primi 10 produttori a livello mondiale di carta e derivati.
Come affermato da un portavoce della società con sede a
Rotterdam, poiché essa si trova costantemente a movimentare
prodotti in giro per l'Europa, le esportazioni intercontinentali
vengono raccolte in camion convenzionali nello stesso momento,
per lo più dalla Germania e dall'Austria, e quindi containerizzate
a Rotterdam. Attualmente, vengono spediti in questo modo dai 3.000
ai 4.000 containers da 40 piedi all'anno. Oltre al fatto che il
livello di utilizzazione dell'autotrasporto convenzionale è
migliore, un ruolo importante in questa equazione viene svolto
anche dalla scarsa disponibilità di contenitori terrestri
e dalla carenza di infrastrutture di movimentazione presso le
cartiere.
E' difficile ottenere informazioni statistiche che possano quantificare
la portata dei problemi del trasporto terrestre in relazione ai
contenitori marittimi in Europa, ma, secondo i dati dell'Unione
Europea, nel 1996 oltre il 73% del traffico comunitario è
stato movimentato su gomma. Solo una piccola parte di esso dovrebbe
essere stata caricata su contenitori.
Se si guarda al solo traffico intermodale, che - secondo i più
- rappresenta solamente la punta dell'iceberg, si scoprono alcuni
altri indicatori utili. Nel 1998, la UIRR (Unione delle Società
di Trasporto Combinato Ferro-Stradale) ed il suo socio francese
CNC hanno movimentato l'equivalente di 5.051.902 TEU in tutta
l'Europa, che consistevano per lo più di traffico intermodale
infra-europeo puro. La ICF (Intercontainer-Interfrigo), che è
il principale operatore intermodale europeo, assomma altri 647.000
TEU.
La Transfracht International, uno dei maggiori operatori europei
di contenitori marittimo-terrestri, d'altro canto, ha movimentato
solo 700.000 TEU. La ICF può aggiungere altri 602.000 TEU
di traffico containerizzato puro e la European Rail Shuttle, appartenente
alla Maersk, alla Sea-Land ed alla P&O Nedlloyd, possono aggregare
altri 148.000 TEU.
Un'altra meno appariscente ma non meno significativa minaccia
al trasporto containerizzato terrestre in Europa proviene indirettamente
dall'esigenza di servizi di gestione della catena della fornitura
maggiormente efficienti. Dai primi anni '90, molti produttori
sono stati guidati dalla necessità di sviluppare tecniche
produttive just-in-time, la riduzione della quantità di
capitali impiegati in materie prime e scorte e la domanda dei
clienti per consegne a tempo determinato.
Mike Pottinger, direttore della pianificazione della catena di
fornitura della Clarks Shoes International, recentemente ha riassunto
le esigenze di consegne a tempo definito affermando: "Vi
è una relazione empirica tra la disponibilità del
prodotto e le vendite. La gente entra nel negozio e, se il prodotto
che desiderano non è disponibile, probabilmente finirà
per scegliere un'altra marca".
Questa affermazione potrebbe sembrare ovvia, ma ciò che
la rende più vera oggi di quanto non fosse prima è
il minore periodo di tempo che la gente è disposta ad attendere
per avere ciò che vuole, in particolar modo in quei settori
in cui la differenziazione del prodotto è scarsa. Come
si sente dire spesso, viviamo sempre più in un'era di gratificazione
immediata.
Al fine di superare il problema, si è verificata una formidabile
crescita del numero dei produttori d'oltremare desiderosi di allestire
impianti produttivi o centri distributivi in prossimità
dei propri clienti. Invariabilmente, essi sono stati localizzati
nelle regioni costiere d'Europa, riducendo ulteriormente - pertanto
- la domanda di trasporto containerizzato terrestre a lungo raggio.
La Reebock International rappresenta un buon esempio dello scenario
in questione. Come spiega il direttore della logistica, Allan
Kenny, fino al 1994 la società è stata in grado
di vendere i propri prodotti quasi completamente attraverso il
proprio marchio. La marca era così richiesta, che ci si
aspettava che i dettaglianti, se volevano prodotti Reebock, dovessero
pazientare per averli. Cicli di consegna lunghi sette mesi non
erano insoliti.
La società era solita operare separatamente in ciascun
paese europeo, di modo che ad un certo momento la merce veniva
smistata dai produttori d'oltremare a qualcosa come 26 depositi
diversi, alcuni dei quali situati ben all'interno.
Il problema derivante ad un approccio di questo tipo, oltre al
disarmante quantitativo di tempo occorrente per far fronte alla
domanda dei clienti, era costituito dal fatto che - una volta
effettuate le ordinazioni - non vi era alcuna flessibilità
nel sistema che consentisse modifiche successive. Ad esempio,
se i clienti francesi avessero improvvisamente mutato le proprie
preferenze dalle scarpe verdi a quelle gialle, e diversi mesi
prima fossero state ordinate solo scarpe verdi, il far fronte
agli obiettivi di vendita avrebbe potuto diventare un incubo reale.
Con l'aumento della qualità del prodotto della concorrenza,
la situazione ha dovuto subire delle modifiche. Una delle soluzioni
scelte è stata quella di istituire magazzini di distribuzione
più centralizzati. Nel caso dell'Europa continentale, il
sito principale prescelto è stato Rotterdam, dove nel 1998
è stato inaugurato un centro per la distribuzione di 70.000
m2. Le dimensioni medie dei depositi nel porto sono
di 10.000 m2. I prodotti della Reebock adesso per lo
più vengono inviati in contenitori dai produttori d'oltremare
a questo centro distributivo. Ci si aspetta per quest'anno che
vengano movimentati da 8.000 a 10.000 containers. Da qui, le merci
vengono smistate, per lo più su camion convenzionali, ai
dettaglianti di tutta l'Europa continentale a seconda della domanda.
E questo processo si sta verificando presso altre società
di tutta l'Europa, guidato dagli ideali della gestione della catena
delle forniture, i quali richiedono che ai clienti venga dato
ciò che essi vogliono, quando lo vogliono e del colore
giusto con l'etichetta giusta. Una logica diffusa vuole che questa
funzione non possa più essere fatta abbastanza efficacemente
da oltremare.
La Hankook, che è il decimo produttore mondiale di pneumatici
e che ha sede in Corea del Sud, è un'altra società
che ha ritenuto necessario adottare un approccio di questo tipo
a Rotterdam. Attualmente, la società sta costruendo un
magazzino da 20.000 m2 nel Distripark Maasvlakte, da
dove i pneumatici e le batterie verranno distribuiti ai produttori
"just-in-time" di autoveicoli di tutta l'Europa. Ci
si aspetta che il flusso in entrata dei soli pneumatici nel deposito
sia di circa 10.000 TEU/anno.
Una particolare caratteristica del mercato europeo che incoraggia
ulteriormente l'accentramento dei sistemi distributivi è
costituita dal gran numero di diversi paesi coinvolti. Ad esempio,
se una società ha cinque containers in arrivo nell'Unione
Europea, è molto più facile per le dogane provvedere
alle relative operazioni sul lotto in una sola località
piuttosto che in cinque posti diversi di altrettanti paesi. Una
volta avvenuto lo sdoganamento in un paese membro, l'ingresso
in altri paesi della Comunità rappresenta una semplice
formalità.
Gran parte dei principali porti europei ha ben fronteggiato questo
problema mediante la realizzazione di più grandi - e migliori
- infrastrutture di "porto franco" al fine di incoraggiare
le imprese d'oltremare ad aprire in loco centri commerciali.
Rotterdam certamente da questo punto di vista non rappresenta
un'eccezione. Il porto ora gestisce tre diversi "Distripark",
ognuno dei quali appropriatamente situato in prossimità
dei propri terminal containers. Il particolare vantaggio di questi
parchi è costituito dal fatto che le merci possono essere
importate ed esportate in modo conveniente senza farle passare
attraverso alcuna formalità doganale, una volta fatto sì
che esse non lascino l'area di porto franco assegnata. D'altro
canto, sul luogo sono previste infrastrutture doganali per quelle
merci che necessitano di sdoganamento per la distribuzione interna.
Può darsi che alcuni dei centri distributivi siti nell'ambito
di questi parchi siano solo dei magazzini (o capannoni) sopravvalutati.
Altri sono molto più avanzati, tanto che assicurano i servizi
di imballaggio e di re-imballaggio, l'etichettatura e l'assemblaggio,
lo smistamento, la fatturazione ed il calcolo fiscale.
La gestione del magazzino di queste infrastrutture è quasi
assurta ad una vera e propria scienza, grazie allo sviluppo dei
moderni sistemi informatici che consentono un controllo delle
scorte molto maggiore rispetto a prima. Gli uffici centrali d'oltremare
ora possono inserirsi direttamente nelle registrazioni computerizzate
di questi magazzini per vedere all'istante che cosa è giacente
e che cosa no.
L'industria dei prodotti in scatola rappresenta un grosso utente
del porto di Rotterdam. Secondo la RMPM (Amministrazione Portuale
del Municipio di Rotterdam), circa 1,4 milioni di tonnellate di
merci inscatolate sono entrate nel porto nel 1997 (quasi 66.000
TEU) per essere distribuite ai dettaglianti di tutta l'Europa.
Mentre gran parte di questo traffico era - ed ancora è
- smistato direttamente dal porto ai clienti interni, una parte
sempre maggiore adesso passa attraverso i centri di distribuzione
del porto.
Come spiega Minco van Heezen, addetto stampa della RMPM, le operazioni
della società logistica Estron presso il Distripark Botlek
costituiscono un buon esempio di quello che accade quando ciò
si verifica.
La Estron si occupa della movimentazione della distribuzione
per l'Europa Centrale per conto del gigante americano Dole. Nel
1998, circa 45.000 pallets di frutta in scatola proveniente dall'Asia
e dal Sudafrica sono passati attraverso i suoi magazzini. I contenitori
vengono trasferiti dalla nave al Botlek su camion e quindi vengono
svuotati. Nel corso del processo le scatole vengono controllate
per accertare i danni e, se è necessario, vengono etichettate
e re-imballate, prima di essere smistate ai clienti della Dole
su camion o su traghetto. Il 40% circa del traffico viene distribuito
nel Regno Unito, mentre il 40% va in Germania.
Più a sud, la crescente tendenza verso i parchi distributivi
sembra essere ugualmente sostenuta. Secondo la divisione specializzata
il logistica del porto di Barcellona, la ZAL (Zona d'Activitats
Logistiques), dove il 15% (44.477 TEU) delle importazioni containerizzate
è stato deconsolidato presso le sue infrastrutture di magazzinaggio
nel 1997, questa percentuale è aumentata sino al 20% (68.820
TEU) nel 1998.
Senza dubbio, la localizzazione di questi centri di distribuzione
ha comportato un notevole effetto sulla domanda di trasporto terrestre
containerizzato. I paesi del Benelux, in ragione della loro localizzazione
centrale, hanno un grosso vantaggio rispetto agli altri paesi
dell'Europa settentrionale. L'Olanda ed il Belgio potranno anche
essere tra i membri di minore estensione dell'Unione Europea,
ma è certo che attraverso di loro passano più carichi
di quelli che transitano in qualsiasi altra zona. Una crescente
percentuale di essi ora passa attraverso centri distributivi piazzati
in posizione strategica. Il porto di Rotterdam, ad esempio, stima
che il 15% circa dei propri carichi containerizzati complessivi
venga consolidato o deconsolidato nella regione di Rotterdam.
Altri siti di successo nei Paesi Bassi sono Venlo e Breda, a
causa della loro localizzazione centrale interna e dei buoni collegamenti
stradali, ferroviari e fluviali. Anche lo spazio in termini di
terreno è molto più economico di quello delle aree
portuali, ma questo vantaggio dev'essere soppesato con quello
- per le località portuali - derivante dalle più
convenienti opportunità di traffico delle zone costiere.
Secondo le informazioni ottenute dal Consiglio Olandese della
Distribuzione Internazionale, approssimativamente il 35% del traffico
olandese complessivo nel 1998 è passato attraverso la propria
attività di "stazione di raccordo" per il traffico
transfrontaliero.
Così come i produttori hanno dovuto adattarsi alle maggiori
esigenze in termini di domanda da parte dei clienti europei, anche
i fornitori di servizi logistici europei hanno dovuto provvedere
al collegamento di quelle imprese che non erano più in
grado di "fare da sé". Secondo gli analisti della
Marketline (che fa parte della Datamonitor), il 24% circa del
mercato logistico europeo totale (in termini di valore) ora è
compreso in questa categoria (vale a dire, le società che
hanno affidato a terzi le funzioni di trasporto).
Questi fornitori di servizi logistici preferiscono località
interne più centrali per i propri magazzini a causa dell'importanza
del traffico infra-europeo e della maggiore vicinanza agli aeroporti
e, di conseguenza, alle opportunità di trasporto aereo
di merci.
La UPS Worldwide Logistics è una di queste società.
Sebbene si tratti essenzialmente di un fornitore terzo di servizi
logistici non proprietario di beni patrimoniali, essa conserva
peraltro una rete di centri distributivi piazzati strategicamente
al fine di attirare clienti da tutta l'Europa.
Il centro della rete è costituito dal proprio centro distribuzione
da 17.300 m3 situato a Roermond, nei Paesi Bassi, alla
frontiera con il Belgio e la Germania. Non è certo il centro
più grande della regione, ma dimostra bene la gamma dei
servizi che un tale centro distributivo è in grado di fornire.
La IBM è il suo cliente maggiore. Il personale della UPS
Worldwide legge e verifica elettronicamente il codice a barre
di tutti i prodotti della IBM che entrano o escono dal magazzino,
mettendo perciò chiunque abbia un accesso a distanza alle
proprie registrazioni di monitorare accuratamente il livello delle
scorte. Vi è anche un'infrastruttura destinata alla programmazione
di centinaia di dischi fissi dei computers in ogni momento, a
seconda del ricevimento di qualsivoglia richiesta da parte del
cliente. I computers vengono poi assemblati e smistati direttamente
ai clienti o dettaglianti della IBM. I sistemi di etichettatura
e di imballaggio costituiscono adesso una caratteristica essenziale
della maggior parte di questi magazzini.
La Emery Global Logistics è un altro fornitore di servizi
logistici che gestisce una infrastruttura interna simile (15.000
m3) situata ad Erseel, nei pressi di Eindhoven. La
società potrà anche sostenere che i suoi servizi
siano migliori in qualche modo, per qualche caratteristica o altro,
ma i suoi obiettivi sono grosso modo gli stessi: segnatamente,
assicurare un sistema di consegne che sia più rapido di
quello inerente ad altri sistemi più convenzionali.
Una domanda che frequentemente viene rivolta in ordine agli agenti
terzi di logistica non proprietari di beni patrimoniali quale
la UPS Worldwide è: "Quali esperienze hanno nel campo
dei trasporti europei, dato che non effettuano operazioni con
camion, treni, navi, aeroplani o contenitori, e, pertanto, che
ne sanno di cosa serve di più ai propri clienti?".
Nel tentativo di chiarire meglio le idee confuse che circondano
la moltitudine dei diversi partners logistici ora impegnati in
Europa in tale settore, Ian Chong, direttore per lo sviluppo delle
attività della UPS Worldwide, ha risposto: "E' vero
che noi non possediamo nulla di tutto ciò, ma sappiamo
come lavorano e possiamo scegliere quelli che vogliamo, piuttosto
che quelli che gli altri sono costretti ad utilizzare perché
fanno parte della propria organizzazione".
Continua Chong: "Queste scelte sono, tuttavia, solo una
piccola parte di quello che facciamo. Come specialisti della gestione
della catena delle forniture, siamo in condizione di offrire ai
nostri clienti molti servizi diversi, ma nel contesto di un pacchetto
complessivo, facendo sì che il flusso delle merci attraverso
la catena delle forniture diventi sempre più importante.
In genere, il 60% circa del capitale d'esercizio di un'impresa
manifatturiera viene impiegato in materie prime, merci in produzione
o scorte finite. Approssimativamente il 30% viene invece impiegato
in costi di gestione e di amministrazione mentre - ed è
questo il punto - solo il 10% circa è impiegato nella distribuzione".
In altre parole, le imprese manifatturiere hanno molto più
da guadagnare concentrandosi sul modo in cui le materie prime
vengono ordinate, trattate e destinate alle scorte di quanto non
possano ottenere dal mettersi a pensare quale sia il modo migliore
per movimentare la distribuzione. Questa può essere una
pillola dura da mandar giù per i conservatori nel settore
della distribuzione, ma - se i dati di Chong sono esatti - egli
può segnare un punto a proprio vantaggio.
A supporto di tale argomento, vi è da dire che recentemente
si è svolta un'interessante conferenza sull'argomento delle
"Migliori prassi nella logistica", organizzata dalla
NMHC (The National Materials Handling Centre) nel Regno Unito.
In quella occasione, la caratteristica ricorrente di molte relazioni
è stato costituita dal piccolo quantitativo di tempo dedicato
alla distribuzione fisica. E' stato chiarito che il miglioramento
del flusso di merci mediante la catena delle forniture è
un fattore molto più importante.
Pertanto, qual è il futuro degli armatori in ordine al
loro ruolo nella distribuzione interna europea? Senza dubbio per
loro questa è una materia di profonda riflessione, con
un sacco di variabili da prendere in considerazione. Il camion
convenzionale a lungo raggio è ovviamente la peggiore minaccia
per il settore, anche se da un lato esso può anche costituire
un mezzo innocente.
Anche se si potrebbe essere tentati di concludere che gli armatori
stanno combattendo una battaglia perduta, non si dovrebbe dimenticare
che il settore dell'autotrasporto si trova adesso a fronteggiare
un problema tutto suo e veramente grosso, il cui nome è
saturazione stradale. E dove ciò porterà, costituisce
materia di dibattito di per se stesso. Non vi è dubbio
che il trasporto intermodale attraverso l'Europa debba crescere,
e che - un giorno - esso possa ritrovarsi nella mani dei vettori
marittimi (chiaramente, se questi ultimi dureranno abbastanza).
(da: Containerisation International, settembre 1999)
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