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CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XVIII - Numero 7-8/2000 - LUGLIO/AGOSTO 2000 |
Studi e ricerche
Il problema dei danni ai contenitori
Nello scorso decennio si è assistito ad un brusco aumento
dei reclami assicurativi inerenti agli incidenti sulle portacontainers;
in tale contesto, i danni materiali e da infradiciamento ed i
contenitori finiti in mare hanno rappresentato almeno il 60% delle
perdite di tutto il periodo in questione relativamente al P&I
Club del Regno Unito.
Secondo il suddetto gruppo di assicurazioni marittime, che è
il più importante a livello mondiale, il costo medio di
tali incidenti è stato pari a 362.000 dollari USA; in questo
ambito, le navi più grandi (oltre le 10.000 tonnellate
di stazza lorda) hanno attirato più reclami di quelle piccole.
E' poi forse sorprendente che il tonnellaggio più giovane
sia apparso maggiormente vulnerabile rispetto alle unità
più vecchie, dato che il 66% dei reclami ha riguardato
navi con meno di 15 anni di età. Può darsi che i
modelli progettualmente più moderni di portacontenitori
- che nel caso delle più grandi unità post-Panamax
consentono lo stivaggio in coperta sino a sette file di box in
altezza - stiano inducendo i vettori marittimi a sospingere sino
all'estremo margine i limiti tecnologici sia delle navi che dei
congegni di fissaggio e blocco dei contenitori. Come ha dichiarato
un armatore, "tutto ciò, in vista della massimizzazione
delle nostre economie di scala e della riduzione dei costi unitari".
Ernst Vossnack, capo delle nuove costruzioni in pensione della
P&O Nedlloyd, comprende in pieno le esigenze dei vettori ma
lancia un avvertimento. "Ulteriori sviluppi in questa direzione
(stivaggio in coperta) sono uno sbaglio e comporteranno un incremento
del numero di box a bagno".
Ciononostante, il numero di incidenti e di conseguenti reclami
deve essere visto in prospettiva. Dal momento che non vi è
alcun database internazionale e che i vettori marittimi e le compagnie
assicurative sono riluttanti a rivelare le perdite reali, è
impossibile ottenere una stima affidabile in ordine a quanti degli
oltre 190 milioni di TEU movimentati ogni anno in tutti gli oceani
vengano perduti e/o danneggiati per mare.
Kim Balling della OOCL, peraltro, crede che si tratti di una
percentuale irrilevante. "I danni al carico si sono ridotti
clamorosamente dall'inizio della containerizzazione, dato che
la percentuale dei reclami spazia solamente dallo 0,001% allo
0,002%". Altri vettori concordano con lui ed il dirigente
di una società con sede in Europa afferma che "esiste
il pericolo che certi interessi stiano cercando di suscitare una
tempesta in un bicchier d'acqua".
Il P&I Club del Regno Unito attribuisce molti dei reclami
alle poco accurate tecniche di imballaggio e stivaggio dei carichi
e ritiene che una maggiore accortezza in questo settore potrebbe
ridurre i reclami in modo significativo. "Non è così
facile controllare la qualità e la quantità del
carico nei containers" fa notare Herry Lawford, direttore
prevenzione danni nei servizi del P&I Club del Regno Unito.
"Sebbene i carichi trasportati siano sempre al riparo da
occhi indiscreti, non ci si può permettere di trascurarli".
Avverte infatti Lawford: "In 30 anni di portacontainers,
abbiamo appreso nel modo più brusco che limitarsi a mettere
il carico in una scatola metallica non garantisce che esso arrivi
in buone condizioni. Al giorno d'oggi, al contrario dei giorni
in cui i carichi venivano stivati da operatori professionisti,
gran parte di essi viene stivata a terra da persone che non hanno
proprio idea di ciò che il mare possa fare".
In particolare, Lawford ha evidenziato i danni correlati alle
"errate dichiarazioni e/o alla deliberata ignoranza dei limiti
di peso, al superamento dei limiti di impilaggio ed allo sforzo
eccessivo cui sono sottoposti i sistemi di fissaggio, le coperture
dei boccaporti e le chiusure superiori delle cisterne". Sostiene
infatti: "Tutti questi difetti accrescono le probabilità
di collasso delle stive".
Vi è inoltre la questione inerente alla forza intrinseca
del contenitore stesso. Come commenta un osservatore di questo
settore, "essenzialmente, i contenitori pieni sono progettati
per essere impilati su nove strati, ed è proprio nelle
guide cellulari che gli angoli vengono rinforzati a dovere. Tuttavia,
i containers da carico in coperta sono dotati di protezioni assai
minori e le forze di rollio e beccheggio della nave sono notevolmente
superiori. Si tratta di un problema reale che può comportare
il cedimento strutturale dei containers inferiori ed il conseguente
collasso della stiva".
Balling della OOCL, però, non è d'accordo. "I
blocchi d'angolo di un contenitore sono in grado di resistere
ad un bel po' di peso" ha detto "e, se c'è un
problema, esso riguarda la piastra del ponte di coperta".
Tuttavia, non tutte le imprese costruiscono i propri containers
con gli stessi criteri, per quanto dovrebbero essere osservate
le condizioni obbligatorie ISO, e questo può essere fonte
di ulteriori complicazioni.
Sebbene lo stivaggio inferiore e l'eccesso di carico rappresentino
fattori diffusi per quanto riguarda gli incidenti che determinano
la caduta fuori bordo dei containers, essi non costituiscono l'unica
ragione.
Ricerche effettuate dalla rivista Containerisation International
hanno rivelato come anche la progettazione delle moderne portacontainers
e dei moderni sistemi di fissaggio e blocco, oltre alle prassi
operative navali, sia in mare che in porto, nonché l'intensificarsi
delle pressioni commerciali da parte degli operatori di linea,
debbano in parte essere incolpati per l'aumento dei reclami assicurativi.
Inoltre, vi è il fenomeno naturale del tempo e delle mutevoli
situazioni climatiche.
Balling entra nei particolari: "La OOCL America è
stata investita da una "bomba meteorologica" e non c'è
stato assolutamente nulla che il comandante potesse fare dal punto
di vista nautico per evitare la tempesta".
Anche se questo incidente può essere additato come una
situazione-limite, vi sono sempre più numerose prove del
fatto che lo scenario climatico sta cambiando e che le tempeste,
specialmente negli oceani Atlantico e Pacifico, stanno diventando
più forti.
"Se le condizioni meteorologiche cambiano, cagionando altri
problemi, il settore ha il dovere di riesaminare le modalità
di fissaggio dei containers sul ponte" ha affermato John
Nicholls, direttore prevenzione perdite della TT Club con sede
a Londra, parlando in occasione di un recente convegno sul tema
"Il fissaggio dei contenitori sul ponte delle portacontainers"
svoltosi nei Paesi Bassi.
Molte linee di navigazione si servono di sistemi di monitoraggio
del tempo e per la ricerca delle navi basati su PC di bordo, come
l'ORION, finalizzati ad agevolare la pianificazione della navigazione.
La Mitsui OSK Lines, ad esempio, sin dall'inizio del 1997 ha fatto
installare il software in questione su tutta la propria flotta
transpacifica di portacontainers e ritiene che ciò abbia
rappresentato un importante fattore per il record in termini di
sicurezza ed affidabilità stabilito dal vettore.
Sul fronte della progettazione, il desiderio di vettori ed armatori
di ridurre al minimo il tonnellaggio lordo (ovvero, le dimensioni
degli scafi), massimizzando nel contempo lo stivaggio in coperta
costringe ad impilaggi più alti sulle navi a lungo raggio
e ad un bordo libero più basso sul tonnellaggio destinato
al cabotaggio. Infatti, in alcuni casi il 75% del carico di una
nave di cabotaggio/raccordo sta sul ponte. Ciò ha indotto
l'Istituto Nautico britannico a chiedersi se "non siano stati
oltrepassati i limiti di una sicurezza ragionevole".
Non vi è alcun dubbio che la pressione su tutte le compagnie
di navigazione della catena del trasporto di linea affinché
esse portino a compimento la prestazione, sia dal punto di vista
finanziario che in termini di integrità del proprio servizio
al proprio venditore (sia esso il vettore marittimo per il proprio
importatore/esportatore ovvero l'impresa terminalistica od il
porto per l'operatore navale), comporti delle conseguenze sulle
perdite di contenitori e sui danni al carico.
"Quando si è assoggettati a forti pressioni in ordine
ai tempi - e le operazioni di fissaggio saranno sempre effettuate
in queste condizioni - non tutti rispetteranno le regole, se vi
è una sola possibilità di risparmiare tempo: il
tempo é denaro" ha dichiarato il comandante Armin
Steinhoff, della amburghese Amt fur Arbeitsschutz; anche lui era
presente al convegno nei Paesi Bassi.
Si tratta di un'opinione condivisa in tutto e per tutto da Edmund
Brookes, vice presidente della commissione sicurezza ed ambiente
dell'Associazione Armatori della Comunità Europea. "Bisognerebbe
prestare una maggiore attenzione nei terminals affinché
si lavori ai sensi del codice CSS, caricando i containers più
pesanti in fondo alla stiva" ha dichiarato. "I sistemi
di fissaggio si basano su questa premessa e non funzionano in
modo adeguato se la nave viene caricata in altro modo". Egli
ha inoltre posto notevoli punti interrogativi sull'efficacia dei
blocchi semi-automatici.
Otto Rosier, consulente di ingegneria presso il Consiglio dei
Porti Nazionali dei Paesi Bassi, pensa che molti problemi siano
correlati alla mancanza di uniformità sul fronte delle
attrezzature, specialmente dei blocchi, e dalla scarsa comunicazione
tra armatori/operatori ed imprese terminalistiche/stivatori sulle
questioni quotidiane. Questa argomentazione è stata respinta
dal dirigente di una compagnia di navigazione di linea che ha
chiesto di restare anonimo. "La sicurezza è la nostra
prima preoccupazione ed i congegni di fissaggio e chiusura adoperati
dal personale portuale vengono piazzati secondo le istruzioni
del comandante" ha dichiarato. Ciononostante, le operazioni
terminalistiche di molti vettori sono diventate più complicate
e questo, unitamente all'esigenza di tempi di lavorazione più
rapidi, sembra avere introdotto nel sistema un livello di rischio
più alto.
Spiega Balling: "Alla OOCL, abbiamo simultaneamente operazioni
di carico e scarico presso molti dei porti che scaliamo, mentre
il momento fissato per la chiusura del carico spesso è
molto più in là di quanto non fosse solito essere
in precedenza. Detto ciò, la sicurezza è una nostra
priorità e le nostre navi lasciano sempre il porto in condizioni
idonee alla navigazione".
Esistono ulteriori pressioni e complicazioni nel caso che il
carico debba essere correlato ad altre navi di linea primaria
e/o feeder.
Di conseguenza, aumentano le possibilità che le navi salpino
dai porti con blocchi installati in modo non corretto e/o fissaggi
stretti in modo non appropriato. Dopo, c'è poco spazio
per correggere la situazione. "Stringere ulteriormente e
controllare l'elevato numero di fermagli e di aste non fa certamente
parte dei compiti degli equipaggi ridotti all'osso di oggigiorno,
e certamente non in una notte buia di cattivo tempo" ha detto
Vossnack.
Inoltre, ci si aspetta che la nave rispetti il proprio orario
ed offra per quanto possibile un viaggio rapido alla volta della
sua destinazione successiva. Ciò, di per sé, ha
implicazioni inerenti alla sicurezza. "Sebbene non si abbiano
informazioni sicure, vi sono le prove del fatto che le navi non
rallentano come dovrebbero durante le tempeste e che i comandanti
hanno meno potere decisionale a causa delle intense pressioni
ricevute dalle sedi centrali affinché rispettino gli orari"
ha dichiarato il comandante Hartmut G. Hesse, capo sezione carichi
dell'IMO (Organizzazione Marittima Internazionale). "La mancata
consegna in tempo nell'odierno ambiente commerciale può
comportare la perdita dell'attività".
Hesse pensa altresì che i containers più pesanti
vengano caricati sul ponte e che gli attuali congegni di fissaggio
e blocco non siano più adeguati. Egli sostiene che l'IMO
ha cercato di ottenere informazioni dalle linee di navigazione
circa la diffusione del problema dei contenitori perduti in mare,
ma che le linee sono state riluttanti a collaborare.
Vossnack concorda. "La causa della perdita dei containers
dovrebbe essere cercata non nella difettosità o nell'inferiore
qualità dei materiali di fissaggio, bensì nella
prassi di fissare i containers su boccaporti mobili alle parti
rigide della nave. Ciò cagiona lo sviluppo di forze estreme
tra queste parti" dichiara Vossnack. "E' impossibile
fissare adeguatamente un carico di contenitori in coperta su uno
scafo così flessibile".
Continua Vossnack: "L'unica soluzione sarà quella
di stabilire che gli impilaggi dei contenitori sul ponte debbano
essere ridotti ad un massimo obbligatorio per le navi che non
abbiano guide cellulari in coperta. I boccaporti aperti sono l'unico
modello progettuale in cui l'intero impilaggio è armoniosamente
collegato alla struttura della nave".
Tuttavia, fatta eccezione per le 7 navi da 3.604/4.181 TEU della
P&O Nedlloyd, per varie unità della Norasia Line e
per le nuove unità-frigo cellulari da 2.000 TEU della Dole,
oltre ad alcune unità minori della classe da raccordo,
la concezione in questione non è mai stata ampiamente adottata.
Principalmente, ciò è dovuto a vantaggi finanziari
limitati ed alla maggiore stazza lorda di questo tipo di nave
rispetto alle portacontainers di concezione tradizionale. Poiché
il tonnellaggio lordo viene spesso utilizzato quale mezzo di misura
per gli oneri portuali e di rimorchio, ciò significa costi
notevolmente più alti (dal 30 al 50 per cento in più),
anche se gli aspetti operativi e della sicurezza potrebbero essere
migliorati.
Vossnack ha dichiarato che l'unità di misura della stazza
lorda è un nonsenso scientifico che deve essere abolito.
"L'unità di misura dev'essere adeguata alla progettazione
della nave ed alla sicurezza. Vi è bisogno di provvedimenti
urgenti".
Hans Payer, membro del consiglio di amministrazione del Germanischer
Lloyd, è d'accordo. "La convenzione inerente al tonnellaggio
della nave per le navi a boccaporti aperti dev'essere modificata"
sostiene "ed il Germanischer Lloyd sta fornendo qualche consulenza
in merito in questo senso". Dal momento che detiene una quota
superiore al 30% nel mercato della classificazione delle portacontainers
in servizio e del 52% circa del registro ordinazioni delle nuove
costruzioni, si spera che il GL possa apportare il suo notevole
peso al dibattito.
Robert Baron, direttore della sicurezza presso l'Associazione
Commerciale Armamento di Baltimora, ritiene peraltro che non vi
sia nulla all'orizzonte a suggerire qualsivoglia correzione spontanea
alle attuali prassi. "La tecnologia non si occupa di questo
problema e tutte quante le portacontainers ordinate sono di tipo
convenzionale" ha dichiarato. "Ciò significa
che il settore avrà ancora a che fare con gli attuali problemi
di fissaggio e blocco per - almeno - un'altra generazione".
Aggiunge Baron: "Probabilmente, ci vorranno molti altri disastri
prima che l'IMO ed altri organismi normativi - compresi i Club
P&I - si rimbocchino le maniche, si mettano i guantoni da
box e si diano da fare".
Le compagnie di navigazione di linea, peraltro, hanno sentimenti
contrastanti in ordine alla concezione basata sui boccaporti aperti.
"Queste navi dovranno pur sempre navigare sull'acqua"
ha detto Balling, il quale fa notare come i reclami per danni
dell'acqua al carico saranno pur sempre superiori a quelli risultanti
dalla perdita di contenitori fuoribordo.
Payer non è d'accordo: "Le ricerche hanno dimostrato
che le navi a boccaporti aperti non sono più vulnerabili
alla corrosione dell'acqua rispetto alle unità di progettazione
convenzionale. E' una questione di sensibilità e di costi
operativi più elevati". Tuttavia, il dirigente ha
ammesso che, al momento attuale, "la concezione è
piuttosto stagnante".
Conclude Rosier: "Non si possono evitare del tutto i rischi,
ma l'obiettivo del nostro settore dovrebbe essere quello di eliminarli
nel modo più praticamente fattibile".
(da: Containerisation International, giugno 2000)
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