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CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XX - Numero 10/2002 - OTTOBRE 2002 |
Legislazione
L'impatto sui terminals britannici della direttiva europea
sui porti
Il 17 giugno 2002, la Commissione Europea ed i governi dell'Unione
Europea hanno finalmente trovato l'accordo sul testo della direttiva
sull'accesso al mercato per i servizi portuali. Sebbene l'approvazione
del testo definitivo da parte del parlamento europeo fosse prevista
per il mese di settembre, l'accordo intervenuto tra la Commissione
Europea ed i governi degli Stati membri rappresentava per la direttiva
il principale ostacolo da superare prima di diventare la normativa
vincolante per tutti i porti che movimentano più di 1,5
milioni di tonnellate o 200.000 passeggeri all'anno.
Il passaggio della direttiva attraverso il processo legislativo
è stato assai movimentato, dal momento che la dirigenza
dei porti britannici aveva descritto le prime bozze del provvedimento
emanate dalla Commissione come "irrimediabilmente difettose",
"assolutamente inappropriate" e "disastrose".
Persino il governo del Regno Unito aveva descritto la direttiva
come un provvedimento "con scarsa attinenza pratica al mondo
reale".
La direttiva era stata portata avanti dalla Commissione in un
momento particolarmente delicato per il settore britannico dei
porti containerizzati a lungo raggio, dal momento che i tre principali
gruppi portuali stanno cercando di sviluppare nuovi terminals
a Dibden Bay a Southampton (promosso dalla Associated British
Ports ed attualmente sotto indagine ricognitiva circa la pianificazione),
a Bathside Bay a Harwich Haven (Hutchison Port Holdings) ed a
Shellhaven on the Thames (P&O Ports), tutti situati nell'Inghilterra
sud-orientale. L'ultima versione della direttiva include alcune
importanti modifiche, ma anche la versione emendata sarà
"disastrosa" per il settore britannico dei porti containerizzati
a lungo raggio o i cambiamenti concordati all'ultimo momento a
giugno la renderanno maggiormente accettabile?
Gli scali marittimi containerizzati del Regno Unito fin dall'inizio
hanno sostenuto che c'era scarsa necessità di aumentare
la concorrenza all'interno dei porti, dal momento che c'è
già una notevole concorrenza tra i porti dell'Europa
nord-occidentale. Essi sostengono che il mercato che dev'essere
preso in considerazione nel contesto della politica europea sulla
concorrenza è quello degli scali marittimi containerizzati
dell'Europa nord-occidentale, dato che i porti del Regno Unito
si trovano a dover competere non solo l'uno con l'altro in relazione
ai traffici interni britannici, ma anche con i principali scali
marittimi del continente in relazione ai traffici di trasbordo.
La Tabella 1 mostra come la capacità di trasporto marittimo
che fa scalo nel Regno Unito, in termini di TEU settimanali, si
suddivide fra i cinque porti containerizzati marittimi.
TABELLA 1: CAPACITA' SETTIMANALE IN TEU DEI SERVIZI MARITTIMI A LUNGO
RAGGIO CONTAINERIZZATI CHE FANNO SCALO NEI PORTI DEL REGNO UNITO
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Rotta | Felixtowe
| Southampton | Tilbury
| Thamesport | Liverpool
| Totale |
Transatlantica | 41.543 |
9.206 | 3.964 | 10.887
| 9.426 | 75.026 |
Estremo Oriente | 59.770 |
53.755 | - | 9.416
| - | 122.941 |
Altre rotte | 22.982 | -
| 7.853 | 12.220 | -
| 43.055 |
Totale | 124.295 | 62.961
| 11.817 | 32.523 | 9.426
| 241.022 |
% del mercato | 52 | 26
| 5 | 13 | 4 |
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Fonte: Banca dati MDS Transmodal Containership - giugno 2002
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I dati suggeriscono come nessun porto abbia una posizione dominante
su una particolare rotta: Felixtowe movimenta il 56% del mercato
transatlantico in termini di capacità TEU settimanale,
ma Southampton, Liverpool e Thamesport hanno ciascuno una significativa
quota di mercato del 12-15%; nel mercato asiatico, Felixtowe movimenta
il 49% della capacità marittima ma è seguita da
vicino da Southampton, che detiene il 44% del mercato.
Il grado di concorrenza infra-portuale in relazione al traffico
marittimo è mostrato anche nella Tabella 2, che fornisce
un'analisi della distribuzione dei containers da ciascun porto
nel proprio hinterland. Mentre determinati porti presentano vantaggi
geografici naturali, l'analisi mostra che tutti i porti dispongono
di hinterland nazionali.
TABELLA 2: DISTRIBUZIONE REGIONALE STIMATA DEI CONTAINERS
DAGLI SCALI MARITTIMI CONTAINERIZZATI DEL REGNO UNITO
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| Felixtowe | Southampton
| Tilbury | Thamesport
| Liverpool |
South East | 34% | 47%
| 57% | 49% | 17%
|
North West | 13% | 11%
| 8% | 10% | 36%
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Yorkshire & Humberside | 11%
| 8% | 6% | 7% |
11% |
West Midlands | 10% | 8%
| 5% | 9% | 9% |
East Midlands | 8% | 6%
| 4% | 7% | 5% |
East Anglia | 8% | 1%
| 4% | 3% | 2% |
Scotland | 4% | 5%
| 3% | 4% | 5% |
Wales | 4% | 4%
| 4% | 5% | 6% |
South West | 4% | 4%
| 6% | 4% | 3% |
North | 3% | 3%
| 3% | 3% | 5% |
Fonte: MDS Transmodal GB Freight Model Ver 4.1
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Gli scali containerizzati marittimi del Regno Unito, tutti appartenenti
a privati e da essi finanziati, si sono lamentati per un bel po'
di anni dei finanziamenti pubblici assicurati ai loro concorrenti
continentali dalle autorità nazionali e regionali. La direttiva
sull'accesso al mercato per i servizi portuali non è stata
strutturata per affrontare la questione del modo migliore per
far sì che esista un campo di gioco livellato tra i porti
quali fornitori di infrastrutture nell'Europa nord-occidentale,
dato che essa si concentra solo sulla promozione dell'accesso
ai porti per un numero maggiore di fornitori di servizio.
Pur dopo l'accordo di giugno, il principio fondamentale della
direttiva resta il medesimo: incrementare la concorrenza nell'ambito
di ciascun porto e ridurre i costi per le linee di navigazione.
Agli scali marittimi containerizzati che limitano il numero dei
fornitori di servizi verrà chiesto - a tempo debito - di
dare il via ad un procedimento leale e trasparente al fine di
selezionare almeno un altro fornitore di servizio. La direttiva
stabilisce altresì il principio che i vettori dovrebbero
essere in grado di movimentare il proprio traffico. In qualche
modo la Commissione Europea ha tentato di applicare lo stesso
modello utilizzato per liberalizzare le ferrovie europee, in cui
la gestione delle infrastrutture ferroviarie è stata separata
dalle operazioni inerenti i servizi in rete.
In alcune parti fondamentali, l'ultima versione differisce notevolmente
dalle prime bozze prodotte dalla Commissione Europea. Vi è
l'opportunità per un porto di essere designato dal governo
britannico quale "autorità competente" a gestire
le procedure di selezione in ordine agli ulteriori fornitori di
servizi, mentre l'autorità portuale può determinare
il numero di operatori sulla base della propria "politica
di sviluppo pubblicata" per il porto. L'obbligo di autorizzare
almeno due fornitori di servizio indipendenti per ciascuna categoria
di carico è stato sostituito dall'obbligo per la "autorità
competente" di consentire il numero più elevato di
fornitori di servizio "appropriato secondo le circostanze".
Il numero di fornitori di servizio può essere limitato
solamente per motivi di sicurezza od ambientali, ovvero se vi
è una effettiva carenza di spazi o di capacità.
Ad esempio, se c'è un solo terminal containers nel porto,
sarebbe motivo di sicurezza ed efficienza avere due stivatori?
Tuttavia, le decisioni prese dalle autorità portuali saranno
sottoposte al vaglio di un'autorità più alta (forse
l'autorità per la concorrenza nel Regno Unito) e, se contestate,
potrebbero essere portate di fronte ad un giudice. La nuova versione
perciò assicura maggiore flessibilità in ordine
alle modalità con cui la direttiva può essere tradotta
in legge nazionale, consentendo maggiori attenzioni verso le questioni
nazionali e locali.
La durata delle autorizzazioni per i fornitori di servizio è
stata aumentata nella nuova versione della direttiva: da cinque
a dieci anni per i fornitori di servizi che non effettuano investimenti
significativi nei terminals; da 10 a 15 anni per i fornitori di
servizi che hanno effettuato investimenti significativi in beni
mobili; e da 25 a 36 anni (con una possibile estensione decennale
a determinate condizioni) per i fornitori di servizi che hanno
effettuato investimenti significativi in beni immobili o in beni
mobili "considerati onerosi dalle competenti autorità".
I periodi di transizione consentiti dalla direttiva stanno a
significare che gli accordi esistenti potrebbero, in teoria, rimanere
in vigore per gli operatori terminalistici sino a 36 anni a partire
dalla data di ricezione della direttiva nella normativa britannica.
Un suo nuovo articolo stabilisce che ad un fornitore di servizi
subentrante può essere chiesto di risarcire l'operatore
di servizi in carica nel caso ne rilevi in parte le operazioni
terminalistiche mediante una concessione od un altro tipo di accordo.
Tutte queste modifiche dovrebbero rendere la direttiva più
accettabile ai principali porti britannici, senza pregiudicare
l'esigenza di consentire un maggiore accesso alle infrastrutture
portuali per una fascia più ampia di fornitori di servizi.
Il potenziale impatto sul settore degli scali marittimi containerizzati
britannici varierà a seconda delle diverse strutture proprietarie
ed operative esistenti, ma è probabile che finisca per
comportare effetti su tutti quanti in misura maggiore o minore.
I terminal contenitori marittimi presso i porti di Felixtowe,
Liverpool e Thamesport appartengono ai proprietari del porto che
ne gestiscono altresì le operazioni; a Southampton, la
ABP affitta il terminal container marittimo alla Southampton Container
Terminal, sebbene la ABP abbia una partecipazione di minoranza
nell'operatore terminalistico; a Tilbury, il terminal containers
è affittato ad una società diversa, la Tilbury Container
Services, che a sua volta appartiene congiuntamente alla Port
of Tilbury, alla P&O Ports ed alla ABP.
I porti del Regno Unito hanno perciò conservato almeno
una significativa partecipazione azionaria nelle società
che gestiscono i terminal containers nei propri porti, ma un comunicato
stampa emesso dalla Commissione Europea dopo l'accordo di giugno
ha chiarito che le autorità portuali che sono "commercialmente
attive" in terminals operativi non dovrebbero poter scegliere
se dev'esserci concorrenza in ambito portuale e con chi competere.
La direttiva avrà un impatto significativo sulle strutture
proprietarie ed operative nell'ambito degli scali marittimi containerizzati
del Regno Unito? A giudizio della società di consulenza
MDS Transmodal, la direttiva sicuramente segnerà la fine
dello scalo marittimo containerizzato britannico integrato verticalmente,
dal momento che la direttiva applica concretamente al Regno Unito
un "modello europeo continentale" di gestione portuale,
che prevede la separazione della proprietà dei porti dalle
operazioni terminalistiche. Anche se resterà possibile
per un'autorità portuale gestire un terminal contenitori
marittimo nell'ambito del proprio scalo, tali porti dovranno -
in caso esistano sufficiente spazio e capacità - dare il
via ad una procedura di selezione al fine di consentire ad un
altro stivatore di operare dal proprio porto.
In seguito ai nuovi accordi transitori inclusi nell'ultima versione
della direttiva, che consente agli attuali accordi di rimanere
in vigore per un periodo che può arrivare sino a 36 anni
dalla data di accoglimento della direttiva, essa non ha bisogno
di comportare effetti immediati sui terminal containers già
attivi. Tuttavia, dato il costo sia della manutenzione che dell'operatività
delle infrastrutture e delle sovrastrutture dei terminal contenitori
marittimi, e data l'incertezza circa i flussi di entrata a lungo
termine in un ambiente sempre più concorrenziale, alcuni
porti potrebbero agire più rapidamente per far sì
che le loro strategie commerciali si adattino completamente alle
esigenze della nuova direttiva.
La direttiva, nella sua versione più recente, con tutta
probabilità condurrà allo sviluppo di nuova capacità
marittima containerizzata nell'Inghilterra sud-orientale, realizzata
sulla base di concessioni. E' più probabile che i proprietari
dei porti ora si concentrino sullo sviluppo delle infrastrutture
primarie di tutti i nuovi sviluppi relativi a scali marittimi
containerizzati, offrendo siti terminalistici ad operatori indipendenti
specializzati nel settore e ad importanti linee di navigazione
in cerca di propri ormeggi dedicati.
Uno degli impatti più notevoli potrebbe essere quello
di tipo culturale, dal momento che i porti del Regno Unito sono
costretti ad adeguarsi ad un ambiente politico in fase di cambiamento.
I porti britannici appartenenti a privati sono stati abituati
ad una scarsa "interferenza" da parte del settore pubblico.
Ciò ha comportato notevolissimi vantaggi sia per il governo
del Regno Unito, che ha potuto così evitare l'utilizzazione
del denaro pagato dai contribuenti a titolo di imposte per contribuire
allo sviluppo delle infrastrutture portuali, sia per i porti,
che sono stati messi in grado di sviluppare le proprie strategie
commerciali ed i propri piani di investimento senza dover sottostare
in linea di massima alle direttive del settore pubblico.
Nel 1980, il governo del Regno Unito ha stabilito di non effettuare
più controlli in ordine alle decisioni relative agli investimenti
portuali e nel 1989 ha abrogato la normativa nazionale sul lavoro
portuale, che aveva limitato il lavoro portuale nei tradizionali
scali marittimi di Londra, Southampton e Liverpool ai "portuali
registrati", cosa che aveva comportato maggiori costi salariali,
meno ore lavorative ed altre prassi limitative. Mentre il porto
non regolamentato di Felixtowe era libero di prosperare nel corso
degli anni '80, lo sviluppo dei traffici attraverso Southampton
e Liverpool aveva subito una battuta d'arresto. Con l'abrogazione
della regolamentazione del lavoro portuale, Southampton in particolare
ha potuto riconquistare qualche quota di mercato.
Dal 1989, i principali scali marittimi del Regno Unito hanno
usufruito di una libertà senza precedenti circa l'influenza
del settore pubblico nel processo decisionale in ordine agli investimenti
ed allo sviluppo delle strategie commerciali, e si riconosce generalmente
che il successo del settore portuale britannico ha tratto vantaggi
dall'abrogazione della regolamentazione del settore pubblico.
Malgrado la maggiore attenzione del ministero del lavoro circa
gli interventi sul mercato per assicurare vantaggi pubblici più
ampi ed il suo sviluppo di una politica integrata dei trasporti,
la nuova amministrazione ha in genere mantenuto il proprio approccio
del tipo "lavarsene le mani". Essa si è infatti
rifiutata di attivarsi per qualsivoglia "piano strategico"
dei porti, malgrado l'attuale indagine ricognitiva relativa alla
pianificazione dello sviluppo di Dibden Bay e le proposte di ulteriore
capacità portuale containerizzata sul Tamigi ed a Harwich
Haven, ed a dispetto dell'importanza dei porti nell'ambito della
sua più ampia strategia trasportistica integrata. Il governo
britannico ha dichiarato esplicitamente la propria politica "non
interventista" nel proprio documento sulla politica portuale:
"Il governo non gestisce il settore portuale o quello dello
shipping. Il governo non decide le strategie commerciali del settore
portuale, né direttamente né finanziando i suoi
investimenti; né gestisce le operazioni portuali".
La direttiva potrebbe segnare formalmente la fine di un periodo
ventennale in cui i porti sono stati per lo più liberi
dall'influenza del settore pubblico. Il governo del Regno Unito
potrebbe consentire alle autorità portuali di fungere quali
"autorità competenti" ai sensi della direttiva
con il diritto di scegliere gli operatori, ma le decisioni dei
porti sarebbero poi comunque assoggettate ad approvazione da parte
delle autorità britanniche sulla concorrenza. I porti potrebbero
essere obbligati a pubblicare "politiche di sviluppo"
per i propri scali. Dovranno tenere una distinta contabilità
per i servizi portuali da essi gestiti e poi presentarla al governo.
I criteri di selezione per i fornitori di servizio ed i dettagli
relativi alle procedure di selezione dovranno tutti essere pubblicati.
Nel complesso, è probabile che la direttiva costringa i
porti ad essere più trasparenti e che vi possa essere un
maggior controllo pubblico delle loro attività.
Ma la direttiva riuscirà a conseguire il risultato sperato
dalla Commissione Europea? In ultima analisi, essa riuscirà
a comportare minori costi per i vettori attraverso i propri più
ampi criteri in termini di fornitura dei servizi? La risposta
è probabilmente sì, dal momento che le linee di
navigazione potranno usufruire di una maggiore possibilità
di scelta tra gli operatori terminalistici nell'ambito di un particolare
porto, e dato che potranno passare ad un altro fornitore di servizi
senza incorrere nei notevoli costi aggiuntivi che comporta il
passaggio ad un porto diverso. Attualmente costa circa 70 sterline
movimentare un contenitore attraverso uno scalo marittimo containerizzato
nel Regno Unito, ed in genere di più sul continente europeo
- compresi lo stivaggio, il deposito contenitori ed il carico
sui veicoli stradali - il che rappresenta una notevole percentuale
dei costi complessivi da porta a porta.
Non sorprende che i vettori ed i caricatori siano stati in genere
sostenitori entusiasti della direttiva. Essa, dato anche il principio
del "far da sé" ivi contenuto, quasi certamente
fa aumentare la probabilità che i principali vettori si
assicurino terminali propri nell'ambito dei più importanti
scali marittimi del Regno Unito, consentendo loro di esercitare
un grado maggiore di controllo sui propri costi. Tale strategia
darebbe alle principali linee di navigazione un vantaggio concorrenziale
sui propri rivali minori che si servono di terminals che accolgono
più utenti.
Dal punto di vista dei porti, l'ultima versione della direttiva
della Commissione Europea sui servizi portuali rappresenta un
notevole miglioramento rispetto alle precedenti versioni prodotte
dalla Commissione stessa. E' improbabile che essa abbia un impatto
"disastroso" sul settore degli scali marittimi del Regno
Unito, dal momento che nel testo sono previsti periodi di transizione
ragionevolmente generosi a protezione degli attuali accordi: i
porti britannici conserverebbero un certo grado di controllo su
chi fornisce servizi di stivaggio utilizzando le proprie infrastrutture
e, se ad uno stivatore appartenente al porto fosse chiesto di
cedere i propri diritti ad operare, al nuovo operatore potrebbe
essere chiesto di pagare un risarcimento.
Alla fine, tuttavia, i porti perderanno il diritto di conservare
il monopolio sulle attività di stivaggio nell'ambito dei
propri scali ed è probabile che ciò significhi -
prima o poi - che i porti adotteranno una struttura del tipo proprietario-inquilino,
con gli stivatori indipendenti nel ruolo di chi utilizza le infrastrutture
portuali. La direttiva, quasi certamente, condurrà ad un
grande sforzo amministrativo a causa dei requisiti contabili richiesti
ed alla previsione di procedure formali per la selezione di operatori
terminalistici indipendenti.
La direttiva fornirà altresì maggiore spazio alle
cause nei confronti dei porti da parte di coloro che perderanno
le gare d'appalto per le concessioni terminalistiche. L'approvazione
della direttiva potrebbe segnare la fine di un periodo ventennale
in cui i porti britannici privatizzati hanno potuto perseguire
le proprie le proprie strategie commerciali (con considerevole
successo) senza dover quasi subire l'influenza del settore pubblico.
I "vincitori" sul lungo periodo dovrebbero essere i
clienti dei porti, dato che avranno una scelta maggiore e saranno
messi in grado di ridurre i propri costi.
Molto dipenderà da come il governo britannico sceglierà
di recepire la direttiva nella propria normativa nazionale nonché
dalla sua futura interpretazione giuridica. In ogni caso, dal
punto di vista dei porti britannici, qualcosa di buono potrebbe
derivare dal processo politico derivante dall'accordo su una direttiva
rispetto alla quale essi hanno fatto un'aspra resistenza.
Gli stati membri dell'Unione Europea hanno manovrato per spingere
la riluttante Commissione Europea a prendere in considerazione
nei dettagli le questioni della concorrenza infra-portuale, del
finanziamento pubblico delle infrastrutture e degli aiuti statali.
Resta da vedere se tutto risulterà in qualche proposta
pratica da parte della Commissione.
(da: Containerisation International, settembre 2002)
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