
|
CENTRO ITALIANO STUDI CONTAINERS | ANNO XVII - Numero 3/99 - MARZO 1999 |
Trasporto intermodale
Il dilemma dell'intermodalismo europeo
Chiunque si trovi a guidare un veicolo attraverso l'Europa
settentrionale oggi è sin troppo consapevole dell'intasamento
che affligge le sue principali direttrici di traffico e dell'inquinamento
ambientale; peraltro, sorgono spontanee due domande: perché
non è ancora stato fatto nulla al riguardo? Inoltre, quali
speranze vi sono per il futuro?
Una risposta in breve alla prima domanda è che negli ultimi
anni in Europa sono state fatte un sacco di cose in ordine alla
congestione stradale ed all'inquinamento, ma che all'apparenza
tutto ciò è sempre troppo poco ed è stato
fatto troppo tardi, il che costituisce il nocciolo del problema.
La maggior parte dei miglioramenti, sfortunatamente, è
stata apportata con soluzioni a breve termine, quali ulteriori
connessioni autostradali oppure un instradamento più efficiente
del traffico che attraversa le città.
Ciò sorprende abbastanza, data la fenomenale crescita
del trasporto terrestre fatta registrare negli ultimi cinque anni.
Il trasporto marittimo di containers da solo nel medesimo periodo
è aumentato del 65% ovvero di 10 milioni di TEU. La crescita
del traffico interno all'Unione Europea, naturalmente, è
stato ancora maggiore, se possibile, e d'altronde questo era tra
gli obiettivi primari dell'organizzazione stessa.
Brian Stone, nella sua qualità di consulente in materia
di trasporto intermodale, ha così concluso in occasione
della conferenza Intermodal 98, svoltasi a Rotterdam nello
scorso mese di dicembre: "Si è dovuto riconoscere
che i miglioramenti minimi o marginali non bastano al fine di
ottenere un sistema di trasporto sostenibile in Europa. Ciò
che si richiede è un approccio più radicale al problema,
destinato a far fronte all'eccessiva domanda odierna così
come a quella di domani".
Vi sono molti in Europa che ritengono che il trasporto intermodale
potrebbe avere molta strada da fare per conseguire questa meta.
Questa è stata, certamente, l'opinione diffusa in occasione
di Intermodal 98.
La DGVII (Direzione Trasporti della Commissione Europea) è
pervenuta a questa conclusione sin dal 1991, quando aveva promulgato
la propria prima direttiva (la 440/91) sull'esigenza di una deregolamentazione
e liberalizzazione nel settore ferroviario. L'opinione di allora
era - e lo è ancora - che vi fosse bisogno che le ferrovie
europee divenissero più "interoperabili" e più
aperte ad una concorrenza maggiormente, allo scopo di migliorare
l'efficienza.
Detto ciò, si deve ammettere che il solo trasporto ferroviario
non è una formula magica: ci hanno pensato anni di disinvestimento.
Qualcuno potrebbe anche sostenere che il sistema ferroviario odierno
sta già scricchiolando, ma pochi potrebbero contestare
l'affermazione secondo la quale esso potrebbe essere utilizzato
con maggiore efficacia. Anche un trasferimento del 5% di traffico
stradale alla ferrovia potrebbe comportare un notevole effetto
sull'intasamento e sull'inquinamento, in particolar modo nei periodi
di punta nelle zone industriali. La programmazione per migliorare
il trasporto, le opzioni di raccordo costiero ed i servizi su
chiatte fluviali costituiscono una parte ulteriore della soluzione
intermodale, ma il problema principale resta quello delle ferrovie.
Al momento attuale, solo l'Europa orientale (ovvero i Paesi della
vecchia Unione Sovietica) e la Spagna dispongono di uno scartamento
ferroviario diverso rispetto a quelli dell'Europa Occidentale,
di modo che si potrebbe pensare che una maggiore "interoperabilità"
ferroviaria nella regione sia facile da ottenere. Ma, come è
stato frequentemente ricordato ai partecipanti ad Intermodal
98, il poter disporre dello stesso scartamento ferroviario
in Europa occidentale è solo un tratto della strada che
bisogna percorrere verso il conseguimento di un sistema ferroviario
pan-europeo maggiormente efficiente.
Anche i sistemi nazionali di segnalazione e quelli relativi ai
binari debbono essere resi compatibili, così come la fornitura
di energia di trazione tra Paesi vicini, quali la Germania e l'Italia.
Inoltre, vi sono numerose difformità normative in ambito
europeo inerenti al personale ed alla responsabilità di
cui bisogna parlare. Ad esempio, come ha chiarito Peter Jacobse,
direttore dei servizi intermodali della Sea-Land, "le obsolete
condizioni di responsabilità della CIM - Convenzione sul
Commercio Internazionale - non possono più essere assolutamente
riferite all'attuale moderno settore dei treni-navetta in Europa
e hanno urgente bisogno di essere ammodernate".
L'idea della DGVII era stata che, separando le responsabilità
nazionali in ordine a binari ed a trazione e consentendo il libero
accesso a tutte le infrastrutture ferroviarie dell'Unione Europea,
molte di tali difficoltà sarebbero state superate attraverso
le naturali forze di mercato. Anche i clienti volevano assistere
ad un cambiamento ed alla comparsa di migliori alternative all'autotrasporto.
Tutto bene, sino a qui, in linea teorica, ma ciò cui si
è poi tristemente assistito in realtà è stata
una successione di tattiche dilatorie messe in atto dagli Stati
membri e dalle loro organizzazioni ferroviarie; talvolta, per
buone ragioni tecniche, ma più spesso in apparenza motivate
da null'altro che da un buon protezionismo di vecchio stampo e
da avidità commerciale (cioè, le normali forze che
stanno dietro all'attività imprenditoriale).
Com'è stato chiarito da un certi numero di relatori all'Intermodal
98, le società ferroviarie nazionali semplicemente
non sono abituate alle normali forze della concorrenza, ed è
pertanto comprensibile che non abbiano poi tanta voglia di cambiare.
Il risultato finale è che fino ad oggi, a meno che non
si pervenga ad un accordo privato tra società ferroviarie,
tutti i treni in transito da un Paese europeo ad un altro, compresi
i cosiddetti treni-blocco, continuano a dover cambiare la motrice,
unitamente ai macchinisti ed a tutti i documenti di carico. Anche
se questi attraversamenti delle frontiere normalmente non costituiscono
un problema, frequentemente brillano dei segnali di avviso, quali
ritardi e costi amministrativi, specialmente nei casi in cui occorre
dare priorità ai convogli passeggeri.
Nel numero dello scorso dicembre del notiziario del gruppo britannico
Rail Freight, si afferma che il trasporto merci ferroviario internazionale
è attualmente caratterizzato da:
- prezzi di accesso troppo alti;
- insufficienti direttrici internazionali che comportano tempi
di viaggio eccessivi e scarsa qualità del servizio;
- mancanza di priorità negli orari da cui consegue una
scarsa affidabilità.
Tutti questi punti sono stati sottolineati varie volte da molti
relatori nel corso di Intermodal 98, tra cui Werner Kulper,
presidente della UIRR (Unione Internazionale delle Società
di Trasporto Combinato Ferroviario e Stradale) e Van den Broek
Humphreij, direttore generale della EVO, l'Associazione degli
Utenti del Trasporto olandesi, ed entrambi è presumibile
che sappiano che cosa vuol dire lavorare con le società
ferroviarie europee.
Comunque sia, mentre la quota ferroviaria del mercato del trasporto
merci in Europa ha continuato a calare (dal 35% circa del 1970
al solo 15% del 1997), il trasporto stradale e fluviale si sono
affrettate a prendere il suo posto. Si tratta di cifre alquanto
grezze, che in qualche modo celano la crescita ed il progresso
intermodale in zone particolari come il Regno Unito ed altri mercati
interni simili, ma che servono d'altro canto a dimostrare come
il settore ferroviario negli ultimi anni sia stato un settore
di attività quiescente.
In altre parole, a meno che non si riesca a persuadere il settore
ferroviario pan-europeo a cambiare, esso potrà anche continuare
a vincere delle battaglie, ma potrebbe alla fine perdere la guerra.
I recenti scioperi ferroviari in Francia, Belgio, Lussemburgo,
Grecia, Spagna e Portogallo contro la deregolamentazione e la
liberalizzazione in nome della sicurezza dei posti di lavoro,
rappresentano una lampante dimostrazione di quanto si va dicendo.
La situazione non è semplice ed è stata chiarita
dal Dott. Wim Blonk, direttore del dipartimento ricerche e sviluppo
dei trasporti presso la DGVII: "Quale scopo ha la lotta per
la sicurezza del posto di lavoro in un settore che è già
moribondo? Non sarebbe meglio battersi per una causa migliore?".
Ad esempio, nella sola Francia, che è stata uno dei Paesi
che più hanno fatto la voce grossa contro la liberalizzazione
ferroviaria europea, si stima che l'occupazione nel settore ferroviario
sia già diminuita di più del 40% - ovvero di 76.500
posti di lavoro - dal 1970.
Pertanto, a che cosa è dovuto tutto il chiasso che c'è
attualmente? Fondamentalmente, tutto deriva da tre nuove iniziative
- allo stato di bozza - pubblicizzate dalla DGVII a metà
dello scorso anno, che, nel caso divenissero vere e proprie normative,
impedirebbero ai governi nazionali ed alle loro società
ferroviarie di bloccare ulteriormente la liberalizzazione ferroviaria
per mezzo di "incomprensioni e/o interpretazioni errate".
Il primo di tali disegni di legge sostituisce la direttiva 95/19,
che definisce più chiaramente i rispettivi ruoli degli
operatori ferroviari e della parte responsabile della gestione
delle infrastrutture ferroviarie. Ovviamente, le due parti debbono
essere mantenute del tutto separate, il che oggi non è
sempre così. Essa fornisce altresì una risposta
maggiormente particolareggiata alla spinosa questione del prezzo
relativo ad un accesso concorrenziale ai binari.
La seconda rimpiazza la direttiva 95/18, ridefinendo chi dovrebbe
essere considerato quale operatore ferroviario responsabile (vale
a dire, non solo i soggetti esistenti), di conseguenza con accesso
a tutte le direttrici libere o corridoi di trasporto merci transeuropei.
Il terzo disegno di direttiva costituisce una modifica alla 91/440,
che definisce - tra molte altre cose - come si debbano spartire
i profitti e le perdite tra i servizi merci e quelli passeggeri,
nonché tra strutture ed operazioni, allo scopo di evitare
il rischio di finanziamenti incrociati.
Attraverso questo processo di revisione delle direttive, Bruxelles
ha così cominciato un nuovo giro di consultazioni e trattative
con gli Stati membri e le organizzazioni ferroviarie. Resta ancora
da vedere dove ciò condurrà, ma - com'è già
stato dimostrato - la resistenza al cambiamento è senza
dubbio ancora molto forte.
Molti continuano ad essere dell'opinione che la liberalizzazione
e la deregolamentazione ferroviaria comporteranno solamente una
diffusa disoccupazione. Le associazioni sindacali francesi sono
state particolarmente esplicite su questo punto. Secondo Jean
Macaire, direttore della SNCF, società ferroviaria nazionale
del Paese, il non essere riusciti a fornire un servizio efficiente
di trasporto merci ferroviario finora deriva in maggiore misura
dalla carenza di investimenti governativi che dalla preferenza
accordata ai convogli passeggeri e dalla concorrenza sleale da
parte dell'autotrasporto. Aggiunge Macaire: "Queste sono
le questioni che dovrebbero essere affrontate prima di parlare
di deregolamentazione o liberalizzazione".
Il peggio è che non viene effettuato alcun tentativo di
camuffare la scarsa qualità del servizio attualmente offerto
ovvero di cercare di prevedere quando ci si potrà aspettare
che esso migliori. Jean-Michel Dancoisne, presidente della CNC
(Compagnie Nouvelle de Conteneurs), la branca della SNCF che provvede
ai servizi al dettaglio della SNCF, ha così descritto la
situazione: "La SNCF è un tunnel buio, e non è
ancora chiaro quanto lungo esso sia".
Altri, tuttavia, argomentano che, da quando è stato deregolamentato,
il settore del trasporto merci ferroviario degli Stati Uniti è
migliorato in modo significativo, dato che ora vengono offerti
servizi più rapidi e regolari. Di conseguenza, la sua quota
del mercato containerizzato è cresciuta dal 38% al 41%
nel periodo 1990-1996, rispetto al corrispondente calo in Europa
dal 19% al 14%.
Quella delle tariffe più eque se confrontate ai prezzi
praticati dall'autotrasporto è una questione tra le più
dibattute, poiché apre un dibattito generale sul livello
sugli oneri che ciascun governo dovrebbe applicare per l'accesso
alle reti stradali e ferroviarie.
Ad esempio, quali prezzi si dovrebbero applicare per l'utilizzazione
delle ferrovie e delle strade, o del territorio sul quale esse
sono situate, o, a tale riguardo, per la riduzione dell'inquinamento
acustico/atmosferico?
Nell'ambito di una dettagliata presentazione intitolata "Analisi
della manutenzione delle infrastrutture ferroviarie sottoposte
ad usura", Jim Blaze, direttore pianificazione strategica
della Zeta-Tech, ha approntato un possibile approccio relativo
alle ferrovie, basato sull'esperienza fatta negli Stati Uniti.
La cosa sorprendente è che esistono società esterne
che si sono specializzate persino a questi livelli quanto a particolari,
di modo che non vi sono scuse per l'ignoranza.
L'applicazione di tariffe all'uso delle strade è un argomento
più spinoso, dal momento che vi rientra la questione ambientale.
Prima di passare a tale argomento nel contesto della concorrenza
leale fra strada e rotaia, il dott. Erwin Bauer, presidente della
commissione trasporto combinato nell'ambito della RFU (Unione
Trasporti Stradali), ha ricordato ai delegati che "il settore
dell'autotrasporto rappresenta una tradizione di successi da cui
il settore ferroviario potrebbe imparare molto".
In parole povere, la sua quota di mercato in Europa è
cresciuta dal 68% circa del 1990 al 75% del 1997, senza contare
il trasporto su brevi distanze. Il trasporto ferroviario è
stato seccamente battuto su tutti i fronti. Si deve rammentare
che tale incremento va ad aggiungersi al generale tasso di crescita
annuo a doppia cifra nel trasporto terrestre europeo già
menzionato. Bauer sostiene che questi risultati si sono potuti
conseguire solamente offrendo ai clienti il servizio che richiedono.
"Nessun'altra modalità di trasporto è così
adeguata alle esigenze della clientela" ha dichiarato.
Mentre alcuni sostengono che questi incrementi sono stati conseguiti
sulla base di oneri sovvenzionati per l'utilizzazione della rete
stradale europea, si può d'altro canto ribattere che se
un po' più di una frazione di quanto il settore dell'autotrasporto
ha pagato nel corso degli anni fosse stata reinvestita nello sviluppo
di strade, la congestione non sarebbe certamente così grave
com'è oggi.
Il pensiero di Bauer, perciò, è che invece di concentrarsi
sulla questione della concorrenza sleale, il settore ferroviario
farebbe bene a concentrarsi su ciò che serve ai suoi clienti,
e poi a darsi da fare per fornirglielo; questa opinione sembrerebbe
essere supportata da buone ricerche di mercato di fonte indipendente.
Tornando alla politica di trasporto ferroviario dell'Unione Europea,
come già detto in precedenza, il disegno di direttiva 95/18
ravvisa che un incremento dell'efficienza possa derivare non solo
da una maggiore competitività degli attuali operatori ferroviari,
ma anche dall'ingresso di nuovi soggetti sul mercato. Ciò
costituisce un punto importante, nonché giudicato imprescindibile,
poiché, com'è stato chiarito in occasione di Intermodal
98 da Klaus Giesen, capo dello sviluppo societario centrale
nell'ambito della Thyssen Haniel, "il trasporto oggi verte
tutto sulla logistica. Il processo decisionale globale, il marketing
globale, l'orientamento alla clientela su scala mondiale e la
flessibilità dei servizi non possono essere ignorati".
Ovvero, messa in un altro modo, i fornitori del servizio, tra
cui le società ferroviarie, hanno bisogno di pensare in
termini di produzione di soluzioni trasportistiche totali piuttosto
che in termini di mera fornitura di uno o due collegamenti nella
catena. Continua Giesen: "Dobbiamo lasciarci alle spalle
le tradizionali strutture imprenditoriali. Ora ci vogliono fornitori
di servizi logistici, fornitori di reti e gestioni di telecomunicazioni
e di procedure".
Le imprese ferroviarie monopoliste, se prima di ascoltare queste
parole non avevano alcun dubbio circa la liberalizzazione, adesso
sicuramente se ne sono tornate di corsa a casa per vedere se gli
riesce di approntare qualche altra difesa.
Ma quelle parole non fanno altro che esprimere ciò che
tantissimi altri hanno affermato in occasione della conferenza,
e chiaramente sono rappresentative di un inarrestabile processo
di cambiamento. Forse ciò è dovuto al fatto che
diverse società ferroviarie hanno intavolato trattative
inerenti ad alleanze relative ai passaggi trasfrontalieri. In
altre parole, ciò cui abbiamo assistito dal 1991 è
rappresentato da tattiche dilatorie, mentre i soggetti più
importanti stanno preparandosi una situazione migliore.
La DB (Deutsche Bahn), compagnia ferroviaria nazionale tedesca,
ad esempio, recentemente ha intavolato trattative circa una fusione
con la compagnia ferroviaria nazionale olandese NS (Nederlandse
Spoorwegen). Salvo approvazione da parte della Direzione dell'Unione
Europea per la Concorrenza (DGIV), l'intenzione è quella
di fondere le branche di servizio al dettaglio di entrambe le
società (DB Cargo e NS Cargo) in una compagnia congiunta
denominata RCE (Rail Cargo Europe).
La DB Cargo è già azionista della POLZUG (Polen-Hamburg
Transport Gmbh), che effettua servizi di treni-blocco containerizzati
alla volta della Polonia e dell'Europa Orientale unitamente alla
PKB (Ferrovie Statali Polacche). Essa ha, per giunta, appena siglato
una lettera di intenti con la propria controparte finlandese,
la VR Cargo, finalizzata all'incremento della percentuale ferroviaria
delle merci trasportate dalla Germania alla Finlandia.
Più a sud, sembra essere in fase di realizzazione un altro
asse ferroviario, dal momento che si dice che la branca ferroviaria
al dettaglio della CFF (Ferrovie Svizzere) sia sul punto di formare
un'associazione con il suo corrispondente italiano, la FS S.p.A.
Ed in Belgio, la branca congiunta per il dettaglio delle società
ferroviarie nazionali SNCB/NMBS, la IFB (Inter Ferry Boats), ha
già costituito un'alleanza con la sua controparte francese
CNC, e poi separatamente - con la NS Cargo.
Mentre tutte queste trattative andavano avanti, alcuni dei soggetti
coinvolti hanno anche investito notevolmente in mezzi di trazione
in grado di passare da un sistema di rete nazionale ad un altro,
letteralmente solo premendo un pulsante.
Il sistema ferroviario nel Regno Unito è notevolmente
diverso, nel senso che la concorrenza trasfrontaliera viene naturalmente
avvertita come una minaccia non grave, ma si può notare
come quella struttura ferroviaria sia stata adeguata alle direttive
di Bruxelles in misura maggiore di quanto non sia accaduto altrove.
La vecchia organizzazione ferroviaria britannica di stampo monopolistico
è stata smantellata un po' di tempo fa e non esiste più.
L'infrastruttura ferroviaria nazionale, per quanto riguarda i
binari, è ora gestita dalla Railtrack, una società
quotata alla borsa del Regno Unito, mentre per quanto attiene
alle operazioni vi sono due distinte compagnie ferroviarie in
attività, la Freightliner e la EWS (English Welsh and Scottish
Railways). La Freightliner, che è stata acquistata dalla
British Rail ad opera della sua stessa dirigenza, è specializzata
nel trasporto dei contenitori marittimi da e per i porti britannici.
La EWS, che appartiene in gran parte alla statunitense Wisconsin
Central Transportation Corp, è invece specializzata nel
trasporto del traffico interno britannico e nel traffico intercontinentale
che passa attraverso il Tunnel della Manica. Quest'ultima attività
è stata acquisita allorquando la EWS ha acquistato la RfD
(Railfreight Distribution) un paio d'anni fa.
Nel mezzo di questa struttura vi è una direzione delle
ferrovie gestita dal governo britannico che si occupa di far sì
che tutte le parti si attengano ai termini degli accordi relativi
alle rispettive concessioni. Si tratta di una situazione controversa
per motivi facilmente comprensibili, di modo che si capisce facilmente
perché qualsiasi trattativa a Bruxelles finalizzata ad
applicare tale sistema all'intera Europa fino adesso non sia stata
accolta favorevolmente. Ancora una volta, è lunga la strada
per l'unione europea.
Dato che si parla così tanto della possibilità
di costituire alleanze ferroviarie in Europa, sarebbe interessante
essere presenti alle riunioni che si svolgono tra la DGIV e la
DGVII in ordine a tali consorzi, perché se ne potrebbe
trarre la conclusione che se tali alleanze costituiscono l'unico
modo realistico per andare avanti, allora bisognerebbe metterle
in atto. D'altro canto, esse rientrano senza dubbio negli ideali
pan-europei da tempo promossi dalla DGVII.
Nel corso della propria relazione sulle sfide che i vettori marittimi
a lungo raggio si trovano a dover fronteggiare in Europa per quanto
riguarda le tratte terrestri, Tim Harris, dirigente in capo della
P&ON (P&O Nedlloyd), ha espresso la preoccupazione che
tali alleanze in campo ferroviario possano ostacolare l'efficienza
dei nuovi arrivati, ovvero dei soggetti emergenti, nel mercato
ferroviario. Ed è facile capire il perché. La NDX,
associazione commerciale costituita un paio d'anni fa dal gigante
ferroviario statunitense CSX unitamente alla DB Cargo ed alla
NS Cargo, è stata recentemente rilevata dalla DB, principalmente
a causa della concorrenza troppo dura. Il futuro a lungo termine
della Intercontainer-Interfrigo, società originariamente
costituita dalla maggior parte delle principali società
ferroviarie europee al fine di fornire servizi pan-europei, sembra
sempre più a repentaglio, anche se recentemente essa ce
l'ha messa tutta per smentire tale previsione.
Harris afferma di volere soltanto che la ERS (Navette Ferroviarie
Europee), società ferroviaria appartenente alla P&ON,
alla Maersk ed alla Sea-Land, sia messa in condizione di competere
con qualsiasi altro soggetto sullo stesso piano; ciò, peraltro,
diverrà probabile solamente se la DGVII riuscirà
a tradurre in pratica le sue attuali direttive.
Per quanto attiene al futuro, è chiaro che la DGIV deve
decidere subito se sia il caso di continuare a tollerare i monopoli
ferroviari. Probabilmente non sarà così, ma vi sono
molti che pensano che la fusione tra DB Cargo e NS Cargo sia già
un fatto compiuto.
I tribunali europei naturalmente non sono più estranei
a tali controversie. A marzo dello scorso anno, la DB è
stata sanzionata con un'ammenda pari ad 11 milioni di ECU per
l'abuso di una posizione dominante in Germania. Sono state imposte
dalla società in questione tariffe di trasporto ferroviario
discriminatorie in ordine al mercato del trasporto terrestre di
contenitori marittimi da e per la Germania attraverso porti tedeschi,
belgi od olandesi. La SNCB, la NS, la Intercontainer e la Transfracht
sono state allo stesso modo riconosciute colpevoli di aver utilizzato
un sistema di tariffe concordate sulle medesime tratte.
In uno degli interventi conclusivi dell'Intermodal 98,
Blonk della DGVII ha sostenuto che solo l'adeguamento dell'attuale
normativa, e non l'introduzione di nuove normative, ora sembra
necessario per riuscire a schiudere come si vorrebbe il sistema
ferroviario dell'Unione Europea. Blonk ha dichiarato che su questo
punto vi è già un accordo di maggioranza (ma non
ancora l'unanimità) tra gli Stati membri dell'Unione Europea.
Ulrich Stockmann, membro tedesco del Parlamento europeo che siede
in Commissione Trasporti, ha rilasciato dichiarazioni ugualmente
incoraggianti. Egli infatti ha invitato i delegati a non abbattersi:
molte delle preoccupazioni espresse in occasione di Intermodal
98 sono già state prese in considerazione dalla sua
commissione, ma se fino ad ora gran parte del dibattito si è
concentrato sulla necessità di un sistema di trasporto
sostenibile, adesso vi è anche la volontà politica
di fare qualcosa perché ci si arrivi concretamente. Ciò
può non voler dire molto - ha dichiarato Stockmann - ma
almeno rappresenta un piccolo passo in avanti in termini di pensiero
e di pianificazione. Il tempo dirà se si tratta di pura
retorica politica od invece di nutrimento per la speranza.
(da: Containerisation International, febbraio 1999)
|