|
COUNCIL OF INTERMODAL SHIPPING CONSULTANTS | ANNO XXIV - Numero 10/2006 - OTTOBRE 2006 |
Porti
Necessità di fare squadra per i porti neozelandesi
Quando Neville Darrow si dimise da presidente del maggior porto containerizzato neozelandese, la Ports of Auckland, avvertì che i porti del paese avrebbero avuto bisogno di consolidarsi, pena il rischio di diventare dei meri scali di raccordo per i più grandi porti australiani.
La ragione di tale situazione, a suo giudizio, consiste nella crescente pressione sui porti in seguito alla concentrazione del potere nel settore marittimo nelle mani di pochissime compagnie di navigazione a livello mondiale.
I motivi che stanno alla base dell'avvertimento di Darrow sono chiari: l'allargata Maersk Line controlla il 40% dei traffici containerizzati della Nuova Zelanda e la compagnia di navigazione in questione è in procinto di effettuare una revisione in ordine ai porti che essa serve in Nuova Zelanda.
Attualmente la Maersk scala nove porti: un retaggio della combinazione dei propri servizi con quelli effettuati dalla P&O Nedlloyd. Il direttore nazionale della Maersk New Zealand, Tony Gibson, si domanda se nove porti in Nuova Zelanda siano la cosa giusta. "La risposta, probabilmente, è no" afferma. "Ci ritroviamo con un eccesso di capacità nei terminals, e con un eccesso di capitalizzazione, e questo non va bene per la NZ Inc.".
La Maersk fa scalo ad Auckland, Tauranga, Napier, New Plymouth, al Centreport di Wellington, a Nelson, Lyttelton, Timaru ed al Port of Otago. La domanda è quali di questi manterrà in qualità di scali diretti e quali invece saranno sostituiti da raccordi interni o costieri.
Sia Gibson che Darrow concordano sul fatto che esiste un serio eccesso di capacità presso i terminal contenitori neozelandesi. Darrow è convinto che la necessità di razionalizzazione sia ancora più "stringente" dal momento che sono richiesti investimenti per accogliere le navi che diventano sempre più grandi.
Egli prevede una maggiore collaborazione tra le due porte d'accesso settentrionali di Auckland e Tauranga ma, finora, di cooperazione o razionalizzazione portuale in Nuova Zelanda se n'è vista poca.
A febbraio, la CCHL (Christchurch City Holdings) ha cercato di acquisire la totalità delle quote del porto di Lyttelton di cui non disponeva già, e ha costituito una società operativa con la Hutchison Port Holdings di Hong Kong.
Quando la notizia è stata annunciata, il settore portuale della Nuova Zelanda sembrava pronto per un cambiamento epocale, ma sembra che l'attimo non sia stato colto, dal momento che il Porto di Otago continua a tenersi stretta la propria quota del 15%. L'iniziativa di Otago ha indotto la HPH a ritirarsi (almeno momentaneamente).
Nessuno sa se Otago riuscirà nell'impresa di indurre i due porti dell'Isola del Sud a realizzare qualche sorta di collaborazione. Né si sa quale livello di collaborazione sarà consentita tra i porti dalla Commissione del Commercio.
Se qualche iniziativa congiunta venisse considerata come una collusione, essa limiterebbe immediatamente le opportunità di lavorare in tandem.
Forse, però, le decisioni dei principali vettori vinceranno le titubanze del settore portuale neozelandese e lo costringeranno, presto o tardi, ad una razionalizzazione.
(da: PortStrategy, settembre 2006, pag. 19)
|