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TRASPORTO MARITTIMO
Interferry accoglie positivamente l'accordo IMO sulla decarbonizzazione dello shipping, ma ritiene la strategia troppo complessa
L'associazione degli armatori greci delusa per il mancato riconoscimento del ruolo essenziale dei combustibili di transizione come il GNL
Victoria/Pireo
15 aprile 2025
Interferry, l'associazione internazionale delle compagnie di
navigazione che operano flotte di traghetti, ha accolto con favore
le nuove norme concordate la scorsa settimana presso l'International
Maritime Organization (IMO) per la riduzione delle emissioni di gas
serra prodotte dalle navi, provvedimenti che l'associazione ha
definito oggi di portata storica
(
dell'11
aprile 2025). Tuttavia, se Interferry si è dichiarata
molto lieta «che gli Stati membri dell'IMO abbiano raggiunto
un accordo, in modo che gli operatori possano disporre di una base
più chiara per le loro decisioni di investimento», il
direttore degli Affari Regolamentari dell'associazione, Johan Roos,
ha specificato che «questo accordo è meglio di nessun
accordo, ma se avessi potuto scegliere - ha affermato - avrei optato
per qualcosa di più semplice. Vediamo già come gli
operatori incontrino difficoltà con la rendicontazione
dettagliata per i requisiti di intensità di carbonio del
programma FuelEU Maritime - ha spiegato - e questo schema IMO
promette di essere ancora più complicato, e purtroppo non
allineato con FuelEU».
Interferry ha illustrato la complessità della nuova
strategia di decarbonizzazione dello shipping che - ha ricordato - è
stata definita dopo oltre 15 anni di discussioni. L'associazione ha
spiegato che, in base a un nuovo strumento denominato Global Fuel
Standard introdotto nell'Allegato VI del MAPROL dell'IMO, le navi
dovranno ridurre nel tempo la loro intensità di gas serra
annuale prodotta dal carburante (Gas Fuel Intensity - GFI).
Tradizionalmente - ha ricordato Interferry - la riduzione della
quantità di carburante è stata l'approccio principale
per perseguire la riduzione dei gas serra, ma il GFI obbliga
piuttosto l'operatore di una nave che opera a livello internazionale
a ridurre il contenuto medio di carbonio dell'energia utilizzata per
la propulsione della nave o per qualsiasi servizio ausiliario
(produzione di elettricità per il fabbisogno della nave,
ecc.)
A partire dal 2028 - ha spiegato inoltre Interferry -
le navi dovranno confrontare il proprio GFI annuo individuale,
comparandolo con la media globale del 2008 (anno di riferimento IMO,
il cui valore è pressoché invariato nel 2024), che si
Year
Base target
Direct compliance
2028
4,00%
17,00%
2029
6,00%
19,00%
2030
8,00%
21,00%
2031
12,00%
25,00%
2032
17,00%
30,00%
2033
21,00%
34,00%
2034
26,00%
39,00%
2035
30,00%
43,00%
attesta a 93,3 gCO2eq/MJ. Questa unità di misura si intende
in grammi di CO2 equivalenti per mega-joule di energia utilizzata a
bordo. Questi valori di emissione dovranno tenere conto anche delle
emissioni derivanti dalla produzione del carburante, ovvero il
cosiddetto approccio “well-to-wake”, che - ha rilevato
l'associazione - aggiungeranno un livello di complesse valutazioni
e, in ultima analisi, linee guida su quali valori di CO2 equivalenti
attribuire ai diversi carburanti. Esistono forze in gioco - ha
osservato Interferry riferendosi a posizioni ripetutamente espresse
da diverse associazioni ambientaliste tra cui l'europea Transport &
Environment - che mirano a ridurre al minimo l'ammissibilità
dell'uso di biocarburanti ai fini della conformità,
indirizzando così il settore direttamente verso i carburanti
elettrici. Nell'ambito del meccanismo di conformità per il
GFI, le navi vengono confrontate con due curve diverse, che possono
essere approssimativamente correlate ai livelli di ambizione
dichiarati dall'IMO per le emissioni di gas serra rispetto al 2008,
come concordato nella strategia IMO sui gas serra del 2023, espressi
come le meno ambiziose “obiettivo di base” riduzioni
assolute delle emissioni e i requisiti più ambiziosi di
riduzione della “conformità diretta”.
Queste due curve - ha specificato l'associazione - svolgono un
ruolo chiave nella strategia di conformità per gli operatori
navali. Per ogni tonnellata di CO2eq emessa oltre l'obiettivo di
base, l'operatore (Nave A nel grafico) è tenuto ad acquistare
una “Remedial Unit” al prezzo di 380 dollari/tonnellata
di CO2eq. Inoltre, per ogni tonnellata di CO2eq emessa oltre il
livello di “conformità diretta”, l'operatore (sia
la Nave A che la Nave B nel grafico) deve acquistare una “Remedial
Unit” al prezzo di 100 dollari/tonnellata di CO2eq. Con
fattori di riduzione sempre più stringenti su base annua - ha
rilevato Interferry - i costi per le remedial units saranno presto
molto elevati. Per evitare di pagare tali costi, l'operatore può
invece acquistare combustibili a basse emissioni di
carbonio.
Questo meccanismo - ha sottolineato l'associazione
- mira a rendere i combustibili non verdi notevolmente più
costosi, stimolando il mercato dei combustibili puliti. Infine, le
navi che supereranno i requisiti di intensità più
stringenti (Nave C nel grafico) genereranno “Surplus Units”
che potranno essere utilizzate per compensare altre navi della
flotta (Nave A) o accumulate per il futuro.
Al fine di
promuovere la transizione ecologica, parte dei ricavi delle remedial
units sarà gestita dall'“IMO Net-Zero Fund” che,
tra gli altri obiettivi, faciliterà l'adozione di tecnologie,
combustibili e/o fonti energetiche a emissioni di gas serra pari a
zero e prossime allo zero.
Il MEPC 83 - ha ricordato
Interferry riferendosi alla riunione della scorsa settimana del
Marine Environment Protection Committee dell'IMO che ha raggiunto
l'accordo - ha inoltre preso in considerazione proposte a lungo
dibattute per integrare il GFI con un'imposta fissa per ogni
tonnellata di carburante acquistata, raccogliendo fondi per un
sistema IMO completo volto a sostenere finanziariamente alcune
categorie di Paesi in via di sviluppo. Nonostante il forte dissenso
di diversi Paesi - ha precisato l'associazione - questa proposta non
ha ottenuto un sostegno sufficiente, il che ha in parte innescato
una procedura di voto per l'accordo sul GFI. È prevedibile -
ha rilevato Interferry - che alcuni Paesi contestino l'accordo
durante la prossima sessione di ottobre, probabilmente richiedendo
un secondo turno di votazione per l'adozione di questo nuovo
strumento.
Concludendo, Interferry ritiene comunque la strategia concordata
dal MEPC troppo complessa: «già riscontriamo come gli
operatori incontrino difficoltà con la rendicontazione
dettagliata per i requisiti di intensità di carbonio del
programma FuelEU Maritime - ha evidenziato Roos - e questo schema
IMO promette di essere ancora più complicato, e purtroppo non
allineato con il FuelEU».
Se la grande maggioranza delle associazioni armatoriali
nazionali, con qualche eccezione, non si è espressa
sull'accordo raggiunto venerdì dal MEPC, a manifestare
perplessità circa le misure proposte è stata la greca
Union of Greek Shipowners (UGS) che ha rilevato come «il fatto
che questo accordo si basi sulla maggioranza semplice di 63 Stati
membri, con diverse nazioni che hanno espresso riserve, solleva
particolari preoccupazioni circa il realismo degli obiettivi
perseguiti. Nello sforzo di conciliare interessi contrastanti e
diverse priorità di gruppi di Stati membri
dell'organizzazione - ha osservato l'associazione greca - l'accordo
internazionale contiene elementi sia positivi che problematici».
«Accogliamo con favore - ha spiegato la presidente dell'UGS,
Melina Travlos - gli aspetti positivi dell'accordo IMO, tra cui il
riconoscimento del principio “chi inquina paga” e lo
spostamento dei costi di conformità sull'operatore
commerciale della nave. Tuttavia, il mancato riconoscimento del
ruolo essenziale dei combustibili di transizione, come il gas
naturale liquefatto, compromette gli investimenti fatti e gli sforzi
del settore per abbandonare il carbone. In ogni caso - ha assicurato
Travlos - lo shipping greco continuerà a impegnarsi nel
percorso di decarbonizzazione del nostro settore, aprendo la strada
all'adozione di soluzioni internazionali adeguate, fattibili ma
soprattutto realistiche».
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